Il Baretti - Anno II, n. 9/Il significato di Baudelaire

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Luca Pignato

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Neo-positivismo Anton Wildgans

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La poesia francese dell ’800.

Il significato di Baudelaire.

L’equivoco hughiano sovrastò su tutta la poesia francese della prima metà del secolo XIX, ma l’invadenza vistosa e giornalistica di Gauthier e redimerà evidenza di un Leconte de Lisle e di un Banville non valsero a confiscare la generazione successiva. Parnassiani e simbolisti si volsero al Baudelaire, che era stato confinato in una letteratura d’eccezione «genere satanico» e ne fecero il maestro dei nuovi ideali.

E in verità, il Baudelaire pose — così come gli antecedenti logici del simbolismo, e quindi di un vero e proprio romanticismo in quanto esaurì nella poesia tutta la sua vita esperimentandovela e trascendendovela (poiché appunto, romanticismo è questo concludersi nel soggetto, risolvendovi tutta la realtà, idea o simbolo) — anche i principi di un influsso lirico e di una teorica del Parnaso.

Certo uno dei motivi dell’opposizione parnassiana al disordine entusiastico della generazione del 1830 è da ricercare nella sentita necessità di ricostruire la consapevolezza volontaristica della creazione (il gusto) nell’affermazione razionalistica del fatto artistico.

Cotesta consapevolezza ebbe il Baudelaire nel delineare la reazione al romanticismo in nome dell’arte pura e nel suo opporre una disciplina di critica all’istrionismo romantico. Questo ci spiega il suo non breve tirocinio alla scuola d’un Poe: il Poetic Principle e la Philosophy of Composition sono l’estrema indicazione programmatica del Parnaso.

Certe sue parole a proposito della «poesia del cuore» dei romantici riecheggiano il Poe in maniera indubitabile. In una conversazione del Poe con Chivers, lo scrittore americano diceva: «Un puro poema è affatto scevro d’ogni elemento di passione. La passione non ha nulla a vedere con la pura poesia: perchè ogni goccia di passione che voi infondete in un poema non fa che... spoetizzarlo...

— Allora, domanda il Chivers, se ciò che voi dite è vero, i due terzi dell’opera di Shakespeare non valgono assolutamente nulla...

— Assolutamente nulla, per certo, disse egli».

La teoria della composizione del Corvo entrava per qualche cosa in quell’abito di padronanza stilistica e in quel calcolo espressivo che sono il segreto della perfezione dei fleurs du mal, come nell’orgoglio di cui il Baudelaire parla nella dedica dei Petits poèmes en prose di «un esprit qui regarde comme le plus grand honneur du poète d’accomplir juste ce qu’il a projeté de faire».

In fondo, cotesta reazione — in un ordine puramente letterario — era l’esigenza pregiudiziale della ricostruzione, dell’armonia classica nel mondo degli oggetti, ed era il punto di partenza per la costruzione di un romanticismo che si collocherà fuori di questo piano, come aspirazione metafisica.

Se il Parnaso fosse riuscito a configurarsi pienamente come reazione al romanticismo hughiano, invece di limitarsi ad esserne la codificazione e la sanzione letteraria, avrebbe riconosciuto il valore totale di Baudelaire: invece il problema di gusto e di disciplina impostato da Baudelaire, come problema di unità di contenuto e forma, restò senza sviluppi e il Mallarmé lo riprendeva, poi, per proprio conto in senso soltanto formale con sensibilità di letterato, ond’egli scriveva (1) al Ghil (a proposito del famoso Traitè du verbe) che rifletteva prooccupazioni sue «il tentativo di posare sin dall’esordio della vita la prima assise di un lavoro, la cui architettura è compiuta sin dal primo giorno», il tentativo, cioè, di «non produrre (fossero pure delle meraviglie) a caso». Ma, in ogni caso, il simbolismo è troppo contiguo al Bergson (cronologicamente e idealmente) per intendere una questione di disciplina intellettuale, e vivrà di slanci e di entusiasmi.

Intuizionisticamente non può darsi disciplina, perchè questa importa anzi l’intervento attivo dell’intelletto nella creazione. «La creazióne con un autore», come dice Paul Valéry. Il simbolismo non poteva sentire una tale necessità se non come suo limite; essa era un’esigenza di superamento.

Si può pensare che il Mallarmé (che amò anche lui, e anche lui tradusse, come Baudelaire, il Poe) al punto di naufragare nel solipsismo lineo cercasse una certezza, di cui non poteva intendere il senso.

Sarà un suo discepolo che in un lungo raccoglimento maturerà il problema e lo risolverà pienamente: il Valéry.

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Parnaso o romanticismo non sono che aspetti estremi del Baudelaire. Baudelaire parnassiano è dunque da intendere in senso costruttivo ed illumina lo sforzo dell’artista nella direzione del mondo psicologico. Da questo mondo oscuro — dove i medici vedono il torbido caos degli istinti — affiorano, egli dice nel poemetto in prosa Le mauvais vitrier, tutti quei demoni maliziosi che ci comandano: il mondo infernale è appunto il mondo che lavora a mistificare con costruzioni sentimentali quel che di irriducibilmente malefico è in noi. C'est le Diable qui tient les fils qui nous remuent!

(Prèface)

Così il Baudelaire non è travagliato da alcuna preoccupazione sostanzialmente romantica: il conflitto tra il mondo e la poesia (Bénédiction) è un conflitto tra Satana e Dio, nè la fantasia lo risolve in sè, in un monismo ascetico, come è avvenuto nei romantici tedeschi.

Satana è realmente tutto il mondo, e ogni giorno, vivendo, noi scendiamo d’un passo verso l'inferno: quivi è tutta la realtà e anche la grandezza tragica della vita. Il mondo è fatto di peccato e di rivolta, di vizio e di bestemmia. E la rivolta è la consolazione di questo nostro inferno, come il dolore n’è la redenzione: il nostro esilio dall’Eden è un castigo, dal quale non ci è dato uscire. Il Principe dell’esilio è il bastone degli esiliati, il padre adottivo di tutti quelli che Dio padre ha cacciati nella sua nera collera dal paradiso terrestre, e insegna, anche ai lebbrosi e ai paria maledetti, il gusto del Paradiso con l’amore.

  1. Cfr. R. Gros - Les dates et les occultes.