Il Baretti - Anno II, n. 9/Hamlet al Haymarket

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Ahasvero

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Romanticismo mascherato

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Lettere Inglesi.

Hamlet al Haymarket

Mi recai alla agenzia teatrale dove pagai sei scellini e mezzo per andare presso a poco al loggione. Ho il sospetto mi abbiano rubato mezzo scellino. La sera del lunedì mi vestii del meno indecente tra i miei abiti; presi una automobile di piazza e mi recai a vedere ed udire Hamlet, il mio dolce e giovane amico.

Egli riviveva nell'arte di un celebre attore Anglo-sassone di cui per lungo tempo non riuscii a ritenere il nome, ma che per successive informazioni seppi essere John Barrymore.

Haymarket Theatre era gremito del bene educato pubblicò Londinese — in gran parte femmine che desideravano sentirsi ripetere ancora una volta: «Frailty...» con quello che segue.

La tecnica teatrale era ottima. Le scene di una semplicità di altissimo stile — in cui si celavano gli artifici più raffinati. Per tale rispetto oserei dire che il povero William sarebbe stato soddisfatto.

Barrymore mi è sembrato certamente un interprete degno di nota; egli concilia e supera in una geniale sintesi pratica e personale le esigenze ideali della tragedia con quelle realistiche dell'azione. Egli non cade da un lato nella declamazione altisonante dall'altro egli non scivola nella sciattezza della espressione dialogica per cui noi conosciamo certi Amleti più o meno padani che dicono «essere o non essere» come se chiedessero un pacco di Macedonia al tabaccaio. Tale sintesi non coincide però certamente con i savi consigli che il doloroso principe danese dà ai mimi della trappola da sorci.

Anzi si notano in lui alcuni aspetti deplorevoli. Un Ebreo in presenza di una statua di Brama dalle cento braccia disse: Quello si doveva essere un grande oratore... molti popoli parlano colle mani; ma gli Anglo-sassoni nel loro eccesso di compostezza formale, in generale mancano di tale arte. Barrymore o recitava in una immobilità stalattitica oppure annaspava l’aria con enormi gesti di una compostezza lacrimevole. Egli mostrava chiaramente di essere un parvenu — un cafone della mimica degli arti — una persona che per inesperienza (in questo caso probabilmente ancestrale) cade negli eccessi opposti — come chi entri col cappello in testa in una sala della buona società europea, e poi si congedi baciando la mano non solo alle signore ma alle signorine ed eventualmente alle cameriere.

Altro disastro non piccolo: in fine o durante la recitazione Barrymore emetteva dei pff!.. ehh!.. ssh!.. ed altre espressioni più o meno zoologiche o futuristiche, i cui effetti in relazione alla estetica non saranno da me discussi, ma che in ogni modo... non risultano dal testo.

Una vecchia giornalista inglese che siedeva accanto a me, mi spiegò come la figura di Polonio fosse tratteggiata nel Regno Unito in uno stile spiccatamente comico: anche il Polonio del Haymarket aveva una tendenza di questo genere — ma la medesima suffragetta mi disse che non si era mai visto un ministro così serio in Britannia... almeno sul teatro.

Lo spettro faceva pietà: nonostante i vari proiettori e trucchi da sedute spiritiche egli non riusciva ad adergersi nella maestà ultramondana del Re assassinato e tradito.

Ofelia — a quanto mi fu detto, era la migliore Ofelia inglese; potrebbero condannarmi a due eternità di vita per farmelo dire, ma ne ho integralmente dimenticato il nome. In lei la ipocrisia nordica perveniva ad una acme stupenda ed in tutte le scene di ingenua femminilità, ella raggiungeva l’impossibile per una artista di teatro: suggeriva l’impressione del suo candore interiore; per un buon quarto d’ora io giunsi persino a supporre implicitamente che ella potesse essere vergine... del resto certe cose non si sanno pressoché mai positivamente.

Nella pazzia ella non riuscì: ella dava una completa impressione di gioiosa incoscienza e mostrava di essere così completamente folle che non ci si accorgeva più della follia medesima. Secondo la mia barbosa opinione in tale caso occorrerebbe una esecuzione doppia e contemporanea — direi quasi su due piani di coscienza. Sul primo una serena giocondità infantile, sul secondo (che deve essere inespresso ma presente — non appariscente ma come intravvisto nella penombra) l’incubo enorme della follia tragica. Senza questa diade — non si riesce a nulla nel caso specifico che ha un riscontro solo: nelle «Baccanti».

Amleto è morto. Disse: il resto è silenzio. Per noi il silenzio non esiste. In questo secolo la moltitudine anarchica delle percezioni materiali isterilisce senza remissione il segreto fiore dell’anima nostra.

Ahasvero.