Il Conte di Carmagnola/Atto quarto/Scena III

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Atto quarto - Scena terza

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Atto quarto - Scena II Atto quinto

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SCENA III.

Tenda del Conte.

IL CONTE e GONZAGA

il conte.


Ebben che raccogliesti?

gonzaga.


                                        Io favellai,
Come imponesti, ai commissari; e chiaro
Mostrai che tutta delle vinte navi
Riman la colpa e la vergogna a lui
Che non le seppe comandar; che infausta
La giornata gli fu perchè la imprese
Senza di te; che tu da lui chiamato
Tardi in soccorso, romper non dovevi
I tuoi disegni per servir gli altrui;
Che l’armi lor, tanto in tua man felici,
Sempre il sarian, se questa guerra fosse
Commessa al senno ed al voler d’un solo.

il conte.


Che dicon essi?

gonzaga.


                              Si mostrar convinti
Ai detti miei: dissero in pria, che nulla
Dissimular volean; che amaro al certo
De’ perduti navigli era il pensiero,
E di Cremona la fallita impresa;

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Ma che son lieti di saper che il fallo
Di te non fu; che di chiunque ei sia,
Da te l’ammenda aspettano.

il conte.


                                                       Tu il vedi,
O mio Gonzaga; se dai fede al volgo,
Sommo riguardo, arte profonda è d’uopo
Con questi uomin di Stato. Io fui con essi
Quel ch’esser soglio; rigettai l’ingiuste
Pretese lor, scender li feci alquanto
Dall’alto seggio ove si pon chi avvezzo
Non è a vedersi altri che schiavi intorno;
Io mostrai lor fino a che segno io voglio
Che altri signor mi sia: d’allora in poi
Mai non l’hanno passato; io li provai
Saggi sempre e cortesi.

gonzaga.


                                             E non pertanto
Dar consiglio ad alcuno io non vorrei
Di tener questa via. Te da gran tempo
La gloria segue e la fortuna; ad essi
Util tu sei, tu necessario e caro,
Terribil forse: e tu la prova hai vinta;
Se pur può dirsi che sia vinta ancora.

il conte.


Che dubbi hai tu?

gonzaga.


                              Tu, che certezza? Io vedo
Dolci sembianti, e dolci detti ascolto:
Segni d’amor; ma pur, l’odio che teme,
Altri ne ha forse?

il conte.


                              No: di questo io nulla
Sono in pensier. Troppo a regnar son usi;
E san che all’uom da cui s’ottiene il molto
Chieder non dessi improntamente il meno.
E poi, mi credi, io li guardai dappresso:
Questa cupa arte lor, questi intricati
Avvolgimenti di menzogna, questo
Finger, tacere, antiveder, di cui
Tanto li loda e li condanna il mondo,
È meno assai di quel che al mondo appare.

gonzaga.


Se pur non era di lor arte il colmo
Il parer tali a te.

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il conte.


                              No: tu li vedi
Con l’occhio altrui: quando col tuo li veda,
Tu cangerai pensiero. Havvene assai
Di schietti e buoni; havvene tal che un’alta
Anima chiude, a cui pensier non osa
Avvicinarsi che gentil non sia:
Anima dolce e disdegnosa, in cui
Legger non puoi, che tu non sia compreso
D’amor, di riverenza, e di desio
Di somigliarle. Non temer; non sono
Di me scontenti; e quando il fosser mai,
Io lo saprei ben tosto.

gonzaga.


                                        Il ciel non voglia
Che tu t’inganni.

il conte.


                                   Altro mi duol: son stanco
Di questa guerra che condur non posso
A modo mio. Quand’io non era ancora
Più che un soldato di ventura, ascoso
E perduto tra i mille, ed io sentia
Che al loco mio non m’avea posto il cielo,
E dell’oscurità l’aria affannosa
Respirava fremendo, ed il comando
Sì bello mi parea,... chi m’avria detto
Che l’otterrei, che a gloriosi duci,
E a tanti e così prodi e così fidi
Soldati io sarei capo; e che felice
Io non sarei perciò!...

(entra un soldato)


                                        Che rechi?

soldato.


                                                            Un foglio
Di Venezia.

(gli porge il foglio, e parte)



il conte.


                    Vediam.

(legge)


                                        Non tel diss’io?
Mai non gli ebbi più amici: a loro il Duca
Chiede la pace, e conferir con meco
Braman di ciò. Vuoi tu seguirmi?

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gonzaga.


                                                            Io vengo.

il conte.


Che dì tu di tal pace?

gonzaga.


                                        Ad un soldato
Tu lo domandi?

il conte.


                              È ver; ma questa è guerra?
O mia consorte, o figlia mia, tra poco
Io rivedrovvi, abbraccierò gli amici:
Questo è contento al certo. Eppur del tutto
Esser lieto non so: chi potria dirmi
Se un sì bel campo io rivedrò più mai?