Il Misogallo (Alfieri, 1903)/Sonetto XXXV

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Sonetto XXXV

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Sonetto XXXIV Epigramma XV

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SONETTO XXXV.

6 febbraio 1795.

D’ispido turpe verro aspro grugnito
Orribilmente mordemi l’orecchio,
In fra Pinti, e San Gallo, ov’io da vecchio1
Cercando il Sol passeggio intirizzito.
Pure, a turarmi il flagellato udito
Io qui molto men ratto mi apparecchio,
Di quel ch’io fea con cera, o con capecchio
Quando fra i Galli stavami assordito.
Di strette nari uscente un muto urlìo
Mi perseguìa per tutto a Senna in riva,
Laudare udissi o bestemmiare Iddio.
Chiesa, e teatro, ed assemblea feriva
Spietatamente il miglior senso mio,
Sì che il dì mille volte io là moriva. —
Deh, tu, d’Averno Diva,
Fammi udir poi nel lagrimevol Orco,
Pria che Galla Sirena, Etrusco porco!


Note

  1. Pinti, e san Gallo, sono due porte di Firenze verso tramontana. A quella di Pinti si pesano i majali vivi, che con urli orribili si mostrano recalcitranti al pagare l’introito loro al Principe, ed in questo assai men docili, e di più libero animo, i porci, che non sono i Francesi; poichè questi, senza dir molto, pagano alla loro Convenzione, ed imposizioni tiranniche, ed imprestiti sforzati, ed ogni loro avere, ad arbitrio assoluto del Sovrano, che non perde neppure il tempo a pesarli.