Il Parlamento del Regno d'Italia/Stefano Jacini

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Stefano Jacini

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Salvatore Majorana Cucuzzella Edoardo Grella


Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia


[p. CIX modifica]Stefano Jacini.

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Nato nel 1827 a Castelbuttano, provincia di Cremona, ei fu dal padre, ricco possidente e promotore di vaste imprese industriali, inviato in educazione a Hoffwyl sotto gli auspici del Tellemberg. Uscito da questo celebre istituto, e dopo aver compiuti gli studî universitarî, e tolta laurea in legge, il giovane Jacini intraprese lunghi viaggi nel nord dell’Europa, ed in Oriente, viaggi che valsero a sviluppare in lui i germi fecondi di uno spirito elevato e profondo.

Al ritorno dai suoi viaggi ei trovò scoppiata la rivoluzione del 1848; l’età sua troppo giovanile non gli permetteva certo di prendervi una parte di molta importanza, ma il di lui fratello Paolo Jacini, giovane di grandi speranze, e che dava di sè le più belle promesse, sopratutto nelle scienze fisiche, partecipò attivamente alla lotta nazionale e dopo aver servito nell’armata piemontese in qualità d’ufficiale di artiglieria, morì poco tempo dopo la battaglia di Novara vivamente compianto dai propri concittadini.

Stefano Jacini si applicò con ardore allo studio dell’economia politica, e non tardò a pubblicare varî articoli sopra diverse Riviste, principalmente a proposito di strade ferrate, articoli che fecero sensazione e richiamarono sul giovine scrittore l’attenzione del mondo dotto.

Il mal esito della rivoluzione del 1848 avea tuttavia dimostrato agli Italiani che loro era d’uopo raccogliersi [p. 360 modifica]e ritemprarsi a forti studî, giacchè mal si ottiene libertà ed indipendenza, ove non si valga a conservarle col senno e la sapienza civili. Esiste a Milano una Società d’incoraggiamento di scienze, lettere ed arti, che fu sempre considerata qual centro e focolare di intelligenza e patriotismo in Lombardia. Questa Società nel 1851 mise a concorso un tema di gran rilievo economico ed anche politico: determinare le condizioni della proprietà fondiaria e delle popolazioni agricole della Lombardia. La memoria presentata dal Jacini fu quella che senza contestazione ottenne il premio; tale memoria, rifusa, aumentata e resa di pubblica ragione dall’editore G. Civelli di Milano sotto il titolo: La proprietà fondiaria e le popolazioni agricole della Lombardia, ebbe ben quattro edizioni in Italia, e fu tradotta in diverse lingue. La nomina di membro dell’Istituto lombardo delle scienze, e dell’Accademia dei Georgofili in Firenze ricompensarono il giovine economista, il quale, sebbene in ogni pagina del suo libro dimostrasse l’incompatibilità della dominazione austriaca in Lombardia, la moderazione del suo stile, e l’esattezza scientifica che ne formavano i principali pregi facevano immune legalmente dalle vessazioni della polizia austriaca.

Allorquando alcuni anni dopo l’arciduca Massimiliano fu inviato da Vienna a governare le provincie italiane, animato dal desiderio di rendersi popolare, dopo aver visitata la Valtellina afflitta in quel tempo in supremo grado dalla piaga del pauperismo, si diresse al Jacini onde indicasse i rimedi. Accettò di buon grado il nostro protagonista tale incarico, ma ad una condizione, che cioè: egli fosse libero di manifestare appieno il suo pensiero per mezzo della stampa. Allora fu che comparve presso lo stesso editore G. Civelli l’altro opuscolo intitolato: La Valtellina nel 1858, opuscolo che fece gran rumore in Italia ed all’estero, e che l’onorevole Gladstone si incaricò, di render noto in Inghilterra. Il fondo di quell’importante scritto consisteva nel dimostrare che tutti i mali di quella sventurata provincia dipendevano dalla cattiva amministrazione dell’Austria. Naturalmente quest’ultima [p. 361 modifica]pubblicazione valse a suscitare contro il nostro protagonista le animadversioni di coloro i quali pretendevano fare del Lombardo-Veneto uno stato separato con alla testa il giovine arciduca; e quel che era meno ragionevole, gli attirò anche dei rimproveri per parte di alcuni puritani del partito nazionale, che sembravano fare un addebito al giovine scrittore perchè egli domandava ad un governo straniero rimedi a curare la piaga onde era afflitta un’italiana provincia.

Ma di li a poco le cose cambiarono interamente, ed il governo nazionale che successe all’austriaco gettò subito gli occhi sopra Jacini, onde trarre profitto dai suoi lumi a vantaggio del nuovo Stato. Il ministero Rattazzi lo nominò membro di diverse commissioni finanziarie, e allorquando nel gennaio del 1860 il conte di Cavour ebbe l’incarico di comporre un nuovo ministero si diresse all’economista lombardo, cui pregò di accettare il portafoglio dei lavori pubblici.

Durante tutto il tempo in cui il nostro protagonista rimase al potere, egli non mancò di adoperarsi a tutt’uomo affinchè le grandi intraprese di cui l’ingrandimento di un regno, cui d’ora in ora si aggiungevan novelli Stati e provincie, creava il bisogno, fossero tratte a compimento. Dobbiamo al Jacini l’organizzazione dei servizî della posta e del telegrafo in tutto lo Stato e la convenzione per le strade ferrate della Lombardia e dell’Italia Centrale, la concessione delle ferrovie del littorale dalla frontiera francese alla toscana, i gran lavori del porto di Genova, e l’iniziazione dei progetti per l’aggrandimento del porto d’Ancona, e per le strade ferrate delle Marche e del Napoletano.

Il di lui rapporto sulla costruzione e l’organizzazione di una rete di ferrovie italiane, in data 26 dicembre 1860, resterà qual documento a più d’un titolo preziosissimo.

In occasione delle nuove elezioni al Parlamento nazionale il commendatore Jacini, che nelle antecedenti elezioni avea ricevuto i suffragi di ben quattro collegi, non avendo ottenuto di essere eletto che in un solo, ed anche dopo ballottaggio, credette, per onorevolissimo scrupolo, dover dare la sua dimissione da ministro nel [p. 362 modifica]febbraio del corrente anno. Ciò non impedisce tuttavia ch’egli non resti uno dei luminari del Parlamento, e che in tutte le questioni di economia pubblica egli venga consultato e valga a spargere in esse quella luce che i di lui profondi e coscienziosi studî e la sua mente elevata gli concedono di apportarvi.