Il Re Giovanni/Nota

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Wilhelm August von Schlegel

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Atto quinto

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NOTA


«.....Il re Giovanni è il prologo, come l’Enrico VIII è l’epilogo degli otto drammi nazionali che succedonsi l’uno all’altro, e formano, per così dire, la grande epopea della nazione britannica. Nel re Giovanni si cominciano a trattare tutti i soggetti politici e patrii che si svolgono poi così ampiamente; e vi si veggono guerre e negoziati colla Francia, una usurpazione e la tirannide che necessariamente ne deriva, l’influenza del clero e i litigi dei grandi. È probabile che Shakspeare componesse questo dramma e l’Enrico VIII dopo tutti gli altri, ed abbia ciò fatto per meglio rannodarli insieme.

Gli avvenimenti politici militari sono presentati nel re Giovanni con tanta maggior pompa, quanta minore è la grandezza che in essi si riscontra. La doppiezza e l’avidità de’ principi sono espresse in istile diplomatico. Il bastardo Faulconbridge è il vero interprete di questo genere di linguaggio. Egli si fa beffe degli occulti spedienti della politica, senza che però ne disapprovi l’uso, come quegli che tende a far la propria fortuna con mezzi analoghi; e confessa, che siccome il mondo non lascia alcun altro partito, vuol piuttosto essere collocato fra gl’ingannatori, che fra gl’ingannati. Suo fratello gl’intenta un processo pel suo patrimonio, e questo appunto lo fa riconoscere alla corte per figlio naturale del famoso Riccardo Cuor-di-Leone. Una tal contesa forma il soggetto di un piccolo prologo dilettevolissimo ed originale.

In mezzo a tutta questa dissimulazione degli ambiziosi che il poeta dipinge in più guise, egli produce negli animi nostri una impressione profonda, perchè ci mostra la natura senza velo, e fa penetrare un raggio di luce nelle latébre del cuore umano. Un vero capo-lavoro è quella scena così breve, in cui Giovanni, senza che osi esprimere chiaramente il suo pensiero, dimanda ad Uberto di liberarlo del giovine Arturo, che gli attraversa la strada al soglio. La tenera vittima di una sfrenata ambizione, l’amabile Arturo, eccita profondissimo interesse. La pietà ch’egli ispira, diverrebbe anzi troppo tormentosa nella scena ove Uberto si prepara a privarlo della vista con un ferro rovente, se l’incanto delle parole di quel garzone che commove fino Uberto, non si diffondesse sopra gli affetti che vengono in noi destati. L’espressione del dolore materno di Costanza, quand’è istrutta della prigionia del figlio, è di una bellezza inarrivabile, e gli ultimi istanti di Giovanni medesimo, di quel vile usurpatore, cui non possiamo nè stimare, nè compiangere, sono dipinti in guisa che ammorzano l’odio inspiratoci da esso, e ci riempiono l’anima di gravi meditazioni sui volontarii traviamenti e l’inevitabile destino dei mortali».

(Schlegel, Corso di lett. dramm.)