Il Saggiatore (Favaro)/37

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Capitolo XXXVII

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Vegga ora V. S. Illustrissima. "Antequam ad nonnullas Galilæi propositiones accuratius expendendas, quod nunc molior, accedam, illud testatum omnibus velim, nihil hic minus velle me quam pro Aristotelis placitis decertare: sint ne vera an falsa magni illius viri dicta, nil moror in præsentia; illud unum interim ago, ut ostendam, admotas a Galilæo machinas minus firmas ac validas fuisse, ictus irritos cecidisse, atque, ut apertissime dicam, præcipuas propositiones quibus, veluti fundamentis, universa disputationis ipsius moles innititur, nonnullam fortasse veritatis speciem præseferre, illas vero si quis diligentius introspexerit, falsas, ut arbitror, deprehensurum.

Dum igitur is Aristotelis sententiam refutare conatur, illud inter cætera habet, ad cæli lunaris motum circumferri aërem non posse; ex quo postea consequitur, neque per hunc motum accendi, quod inde deducebat Aristoteles. "Cum enim, inquit Galilæus, cælestibus corporibus figura perfectissima debeatur, dicendum erit, concavam huius cæli superficiem sphæricam esse ac politam, nullamque admittere asperitatem: politis autem lævibusque corporibus neque aër neque ignis adhærescit; quare hæc neque ad motum illorum movebuntur." Quæ omnia probat argumento ab experientia ducto. "Si enim, inquit, circa suum centrum circumagatur vas aliquod hemisphæricum, politum ac nullius asperitatis, inclusus aër ad eius motum non movebitur; quod persuadet accensa candela internæ superficiei vasis proxime admota, cuius flamma nullam in partem ad vasis motum se se convertet; at si aër ad motum vasis raperetur, secum etiam flammam illam traheret." Hactenus Galilæus. In his porro quædam reperias quæ tamquam certa assumuntur, et certa non sunt; alia vero quæ etiam pro certis habentur, et falsa comprobantur.

Primum enim, dictum illud quo asserit, concavo lunari sphæricam et politam figuram deberi, si quis negarit, qua via quave ratione contrarium evincet? Nam si lævitas atque rotunditas cælestibus corporibus debetur, ideo debetur maxime, ne eorumdem motus impediatur. Si enim superficies secundum quas sese contingunt orbes illi, asperitatem aliquam admitterent, asperitas hæc procul dubio remoraretur eorum motum. Præterea, extima summi cæli superficies ideo rotunditatem requirit, ex Aristotele, ne si forte angulis constet, ad eius motum vacuum existat. Hæc autem omnia nullam prorsus vim habent in re nostra. Si enim concava hæc lunaris cæli superficies nec rotunda nec lævis sit, sed aspera et tuberosa, nihil absurdi consequitur, cum eius motui obsistere non possit corpus illi proximum, sive aër sive ignis sit, neque vacuum ullum sequatur, succedente semper uno corpore in alterius locum. Præterea, si hæc asperitas admittatur, longe melius servatur corporum omnium mobilium nexus: sic enim ad motum cæli moventur superiora elementa, ex quorum motu multa gigni, multa destrui, quotidie videmus. Veram, dum Galilæus nobilissimis corporibus rotundam flguram deberi asserit, numquid homines, cælo longe nobiliores, idcirco teretes atque rotundos optabit? Quos tamen quadratos, ex sapientum oraculis, malumus. Dixerim igitur potius, eam cuique figuram tribuendam, quæ ad eiusdem finem consequendum sit aptissima. Ex quo non immerito aliquis sic inferat: Cum ergo Lunæ concavum inferiora hæc sublimioribus illis orbibus nectere quodammodo ac colligare debeat, asperum potius ac tenax, quam politum ac læve, fabricandum fuit."

Qui, senza passar più oltre, si ritrovano le solite arti del Sarsi. E prima, non si trova nella scrittura del signor Mario che noi abbiamo detto mai che a i corpi lisci e puliti né l’aria né il fuoco aderiscano e s’attacchino: il Sarsi ci impone questo falso di suo capriccio, per farsi strada a poter dir, poco di sotto, di certa piastra di vetro. Di più, finge il Sarsi di non s’accorgere che il dir noi che ’l concavo della Luna sia di superficie perfettissimamente sferica tersa e pulita, non è perché tale sia la nostra opinione, ma perché così vuole Aristotile ed i suoi seguaci, contro al quale noi argomentiamo ad hominem: e fingendo di trovar nel libro del signor Mario quello che non v’è, [p. 319 modifica]simula di non vedere quello che più volte e molto apertamente v’è scritto, cioè che noi non ammettiamo quella sin qui ricevuta moltiplicità d’orbi solidi, ma che stimiamo diffondersi per gl’immensi campi dell’universo una sottilissima sostanza eterea, per la quale i corpi solidi mondani vadano con lor proprii movimenti vagando. Ma che dico? pur ora mi sovviene ch’egli aveva ciò veduto e notato di sopra, a car. 34, dov’egli scrive: "Cum enim nulli Galilæo sint cælestes Ptolemæi orbes, nihilque, ex eiusdem Galilæi systemate, in cœlo solidi inveniatur." Qui, signor Sarsi, non potete voi mai nasconder di non avere internamente compreso, che il dir noi che il concavo lunare è perfettamente sferico e liscio, sia detto non perché tale lo crediamo, ma perché tale lo stimò Aristotile, contro al quale ad hominem noi disputiamo; perché se voi creduto aveste, ciò essere stato detto di propria nostra sentenza, non ci avereste mai perdonata una tanta contradizzione, di negare in tutto le distinzioni degli orbi e la solidità, e poi ammettere l’una e l’altra: errore di molto maggior considerazione, che tutte l’altre vostre note prese insieme. Vanissimo, dunque, è tutto il restante del vostro progresso, dove voi v’andate ingegnando di provare, il concavo lunare dover più tosto esser sinuoso ed aspro, che liscio e terso: è, dico, vano, né m’obliga a veruna risposta. Tuttavia voglio che (come dice il gran Poeta)

Tra noi per gentilezza si contenda,

e considerar quanta sia l’energia delle vostre prove.

Voi dite, signor Sarsi: "Se alcuno negasse che la concava superficie lunare sia liscia e tersa, in qual modo o con qual ragione si proverebbe in contrario?" Soggiungete poi, come per prova prodotta dall’avversario, un discorso fabbricato a vostro modo e di facile discioglimento. Ma se l’avversario vi rispondesse, e dicesse: "Signor Lottario, posto che gli orbi celesti sieno di materia solida e distinta da quella che dentro al concavo lunare è contenuta, vi dico asseverantemente, doversi di necessità dire, tal superficie concava esser pulita e tersa più di qualsivoglia specchio: imperocché quando ella fusse sinuosa, le refrazzioni delle specie visibili delle stelle, nel venire a noi, farebbono continuamente un’infinità di stravaganze, come accade a punto nel riguardar noi gli oggetti esterni per una finestra vetriata, nella quale sieno vetri altri spianati e puliti, ed altri non lavorati; ché, [p. 320 modifica]o perché gli oggetti si muovano, o perché noi moviamo la vista, le specie loro mentre passano per li vetri ben lisci niuna alterazione ricevono, né quanto al sito né quanto alla figura, ma nel passar per li vetri non lavorati non si può dir quali e quanto stravaganti sieno le mutazioni; e così appunto quando il concavo lunare fosse sinuoso, mirabil cosa sarebbe il veder con quante trasformazioni di figure, di movimenti e di situazioni le stelle erranti e fisse di momento in momento ci si mostrerebbono, secondo che or per una or per un’altra parte del sottoposto orbe lunare passassero a noi le loro specie; ma niuna cotal difformità si scorge; adunque il concavo è tersissimo"; a questo che direte, signor Sarsi? Bisogna che v’affatichiate in persuader che tal discorso non vi giunga nuovo, e che l’avete trapassato come superfluo, e finalmente che non sia mio, ma d’altri, e già dismesso come rancido e muffo, e ch’in ultimo l’atterriate. Sia, dunque, questa la mia ragione per provare, il concavo lunare esser liscio, e non sinuoso. Sentiamo ora quella che producete voi per prova del contrario, e ricordiamoci che noi siamo in contesa degli elementi superiori, se sieno rapiti in giro dal moto celeste o no (ché tal è il vostro titolo della conclusione che voi impugnate, cioè: "Aër et exhalatio ad motum cæli moveri non possunt"), e ch’io ho detto di no, perché il concavo lunare è liscio, e questo ho provato per l’uniformità delle refrazzioni. Voi, provando il contrario, scrivete così: "Se si pone il concavo sinuoso, molto meglio si conserva la connession di tutti i corpi mobili, perché così al moto del cielo si muovono gli elementi superiori". Ma, signor Lottario, questo è quell’errore che i logici chiamorno petizion di principio, mentre che voi pigliate per conceduto quello ch’è in questione e ch’io di già nego, cioè che gli elementi superiori si muovano. Noi abbiam quattro conclusioni, due mie e due vostre. Le mie sono: "Il concavo è liscio", e questa è la prima; la seconda è: "Però gli elementi non son rapiti". Che il concavo sia liscio, lo provo per le refrazzioni delle stelle, e concludo benissimo. Le vostre sono, prima: "Il concavo è aspro"; seconda: "Però rapisce gli elementi". Provate poi che il concavo sia aspro perché così, al moto di quello, vengon rapiti gli elementi, e lasciate l’avversario nel medesimo stato di prima, senza niun vostro guadagno, il qual né più né meno persisterà in dire che il concavo non è aspro né rapisce gli elementi. Bisognava dunque, per isfuggire il [p. 321 modifica]circolo, che voi aveste provata l’una delle due conclusioni per altro mezo. Né mi diciate, avere a bastanza provata l’inegualità di superficie mentre dite che così meglio si collegano le cose inferiori colle superiori, perché per connetterle basta il semplice toccamento, e voi stesso più a basso ammettete l’istessa aderenza ed unione quando bene il concavo sia liscio, e non aspro, tal che frivolissima resterebbe cotal prova. Né di più forza sarebbe l’altra, quando per avventura voi pretendeste d’aver provato il ratto degli elementi superiori perché per cotal moto si fanno quaggiù le generazioni e le corruzzioni, e forse perché per esso viene spinto a basso il fuoco e l’aria superiore, che son pur fantasie fondate appunto in aria; e tardi ci riscalderemmo se avessimo aspettare l’espulsione del fuoco verso la Terra e massime che voi stesso adesso adesso direte ch’ei fa forza all’in su, e che però spinge, e, spingendo, aggrava in certo modo e più saldamente aderisce alla celeste superficie: pensieri e discorsi appunto fanciulleschi, che or vogliono ed or rifiutano le medesime cose, secondo che la sua puerile inconstanza loro detta.