Vai al contenuto

Il Sofista e l'Uomo politico/Il Sofista/XXII

Da Wikisource.
Il Sofista - XXII

../XXI ../XXIII IncludiIntestazione 23 febbraio 2020 75% Da definire

Platone - Il Sofista e l'Uomo politico (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Giuseppe Fraccaroli (1911)
Il Sofista - XXII
Il Sofista - XXI Il Sofista - XXIII
[p. 153 modifica]

XXII.


For. Di colui dunque che professa esser capace di fare con un’arte sola qualsiasi cosa, noi sappiamo, per esempio, questo[1], che, eseguendo per mezzo dell’arte grafica imitazioni omonime delle cose, sarà capace, mostrando i disegni da lontano[2], di dare ad intendere ai nuovi giovinetti inesperti, che qualunque cosa si metta in Cmente di fare, egli è più che sufficente a farla davvero.

Teet. E come no?

For. E che poi? E per i discorsi non abbiamo sospetto che ci sia alcun’altra arte dello stesso genere, per la quale torni possibile[3] i giovani che sono ancora lontani dalle cose della verità, attraverso le orecchie incantarli coi discorsi stessi, [p. 154 modifica]mostrando immagini di che che sia, fatte di parole, così da far parere che dicano il vero e Dche colui che lo dice sia su ogni cosa il più sapiente di tutti?

Teet. Perchè non ci dovrebbe essere un’altra arte sì fatta?

For. E non è necessario pertanto, o Teeteto, che poi la maggior parte degli ascoltatori d’allora, come sia passato del tempo sufficente e sian più innanzi negli anni, accostandosi vicino alla realtà e costretti da triste esperienza a toccare apertamente la verità delle cose, cambino Ele opinioni che prima si erano fatte, così da apparir loro piccolo ciò che 〈era〉 grande, difficile ciò che facile, e da essere rovesciate interamente tutte le parvenze, che erano state nei discorsi, per opera dei fatti che son sopraggiunti nella realtà?

Teet. Sì, per quanto posso giudicarne alla mia età: poichè credo di essere anch’io uno di quelli che stanno ancora a distanza.

For. Perciò noi tutti, quanti siamo qui, tenteremo e già tentiamo di tirarti senza quei 225travagli più vicino. A proposito dunque del sofista dimmi questo: non è egli già chiaro che sia uno degli incantatori, poichè è imitatore della realtà? o siamo ancora incerti, se là ove par capace di contraddire[4], di ciò sia proprio vero ch’egli abbia anche la scienza?

[p. 155 modifica]Teet. E come potrebbe essere, o forestiero? Ma si può dire che sia già chiaro da ciò che si è detto, ch’egli è uno di quei tanti che esercitano l’arte degli scherzi[5].

For. Una specie d’incantatore e di imitatore lo riterremo dunque?

Teet. E come non ritenerlo?

Note

  1. Οὐκοῦν τόν γ' ὑπισχνούμενον δυνατὸν εἶναι μιᾷ τέχνῃ πάντα ποιεῖν γιγνώσκομέν που τοῦτο, ὅτι κτλ. Così tutti i codici migliori: certo τοῦτον sarebbe più grammaticale, ma anche un anacoluto non è qui più intollerabile che altrove: non so quindi disapprovare la prudenza del Burnet, che torna alla lezione tradizionale.
  2. Cfr. de Rep. X p. 598 C.
  3. I codd. hanno ἠ οὐ δυνατὸν αὖ τυγχάνειν e son tutti d’accordo in correggere ᾗ e τυγχάνει, quest’ultimo non assolutamente necessario. L’οὐ chi lo sopprime (Apelt), chi lo muta in αὖ (Burnet, che legge: ᾗ αὖ δυνατὸν 〈ὂν〉 [αὖ] τυγχάνει), chi in ὂν (Madvig, Advers. Crit. I p. 380). Il senso è certo.
  4. ἀντιλέγειν. C’è una piccola incongruenza con p. 26 A, dove l’arte del sofista non è l’ἀντιλογική ma una sua sottodivisione, τὸ χρηματιστικὸν γένος τῆς ἐριστικῆς: ad ogni modo nell’ἀντιλογική essa è sempre compresa.
  5. A difesa della lezione τις εἷς egregiamente ricostituita dall’Apelt e accolta dal Burnet, che ho seguito, veggasi quanto contemporaneamente al primo scrisse K. L. Liebhold in “Neue Jahrbb.„ (1897) p. 204.