Il Tesoro (Latini)/Illustrazioni al Libro I/Capitolo VI

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Illustrazioni al Libro I - Capitolo VI

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Brunetto Latini - Il Tesoro (XIII secolo)
Traduzione dalla lingua d'oïl di Bono Giamboni (XIII secolo)
Illustrazioni al Libro I - Capitolo VI
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Capitolo VI.


Lontano dalla superstiziosa adorazione della lettera biblica male tradotta, e peggio interpretata, Brunetto credendo in Dio creatore, parla di archetipo, di ile (ύλη, materia), e di successiva formazione delle creature1. A’ suoi tempi non si sospettavano [p. 163 modifica]pure possibili, le scienze che ora sono giganti, e ci fecero venerare sempre più luminoso il nome di Dio impresso e nelle massime e nelle minime creature: nelle nebulose, e negli infusorii.

L’ilozoismo riguarda la vita e la materia come inseparabili. Alcuni ilozogisti dividono la vita in tutte le parti della materia: la materia non è per essi, che un aggregato di atomi animali, o viventi, che non dipendono da alcun principio superiore. Altri ilozogisti si rappresentano l’intero universo come un solo e medesimo essere, come un animale, o una pianta, di cui la vita, il moto, e la forma sono il risultamento d’una forza unica, chiamata natura, o anima del mondo. Stratone di Lampsaco era coi primi: gli stoici erano i secondi. Stratone, lontano egualmente dal meccanismo puro di Democrito, e dal credere che il mondo fosse un animale, faceva intervenire nella genesi delle cose quella ch’egli chiamava natura, cioè la vita, ed il caso, o l’incontro fortuito delle parti diverse della materia. Il caso dà l’impulso: poi la natura segue il suo corso. Disse l’Allighieri:

Democrito che il mondo a caso pone (Inf. IV).

Gli stoici non riconoscevano una vita, un’attività distinta in ogni parte della materia: l’intero universo formava ai lor occhi un solo essere, animato dal medesimo principio, il quale doveva dare il moto, la forma, la vita. Era considerato come legge inevitabile delle cose, come legge universale.

Più tardi l’ilozoismo riapparve nella scuola di Alessandria, insieme coll’esagerato misticismo. [p. 164 modifica]Secondo i discepoli di Plotino, l’anima del mondo si fa sentire negli atomi. Ritrovasi anche presso Cardano, nella scuola di Paracelso, e nella dottrina di Spinoza, il quale afferma, che la vita è in diversi gradi in tutta la natura. Omnia, quamvis diversis gradibus, animata tamen sunt.

Tutti questi sistemi, come è chiaro da sè, confusero la forza colla vita. È vero che non possiamo concepire materia senza forza. L’inerzia stessa è una forza. Nei corpi in apparenza più inerti, è un lavoro di composizione e di scomposizione; vi hanno repulsioni, ed affinità elettive, le quali suppongono un certo grado di attività. Ma la vita non esiste senza organismo. Or come bisogna riconoscere una natura inorganica; ne consegue che la vita non è dovunque. Essa non è essenziale alla materia. Vi è venuta, e vi è sparsa per gradi da una causa superiore. Che poi sarebbe la vita senza l’intelligenza? Come concepire l’intelligenza, senza coscienza?

Brunetto nel Tesoretto capitolo V ripete in due luoghi la dottrina dell’Ile, e la creazione in sei giorni.

Il primo riferiamo al libro II cap. XXXI: il secondo è questo:

     Poi ’l suo intendimento
Mettendo a compimento,
     Sì lo produsse in fatto:
Ma no ’l fece sì ratto
     Nè non vi fue sì pronto,
Ch’elli in un solo ponto

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     Lo volesse compière.
Com’elli avea ’l podere.
     Ma sei giorni durao.


Aggiungiamo altro testo del Capitolo VI sulle giornate della creazione.

     Omai a ciò ritorno,
Che Dio fece lo giorno,
     E la terra gioconda,
E cielo, e terra, ed onda
     E l’aiere creao,
E li angeli formao,
     Ciascun partitamente,
E tutti di neente.
     Poi la seconda dia
Per la sua gran balia,
     Stabili ’l fermamento.
E ’l suo ordinamento.
     Al terzo, ciò mi pare,
Spacifìcò lo mare,
     E la terra divise.
E ’n ella fece e mise
     Ogni cosa barbata,
Ch’ n terra è radicata.
     Al quarto dì presente
Fece compiutamente
     Tutte le luminarie,
Stelle diverse e varie.
     Nella quinta giornata
Sì fu da lui creata

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     Ciascuna creatura,
Che nota in acqua pura.
     Lo sesto dì fu tale,
Che fece ogni animale,
     E fece Adamo ed Eva, (Eua)
Che poi ruppe la tregua
     Del suo comandamento.
Per quel trapassamento
     Mantenente fu miso
Fora del paradiso,
     Ov’era ogni diletto
Sanza neuno eccetto
     Di freddo o di calore,
D’ira, nè di dolore:
     E per quello peccato
Lo loco fu vietato
     Mai sempre a tutta gente:
Così fu l’uom perdente.
     D’esso peccato tale
Divenne l’uom mortale,
     E ha ’l male e lo danno,
E lo gravoso affanno
     Qui e nell’altro mondo.


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Ancora sul Capitolo VI.


Così ragiona il Sorio:


Quattordici dì del mese dì marzo. Errata lectio.

Il nostro autore si spiega nel nostro medesimo testo stampato, al cap. XII lib. II. ove dice: «E sappiate, che ’l primo dì del secolo entrò il sole nello primo segno, cioè in Ariete. E ciò fu quattordici dì all’uscita di marzo, ed altresì fa egli ancora. «E nel capo XIII parte II dice: »Il primo segno si è Aries, nel quale il sole entra quattordici dì all’uscita di marzo, e quel fu il primo dì del secolo».

Questa frase «Quattordici dì all’uscita del mese di marzo,» è secondo lo stile del medio evo, quando si divideva ogni mese in due parti. La prima dei 15 giorni, si chiamava introeunte mense, cioè tanti dì che il mese era entrato: la seconda dei 15 in fine dicevasi exeunte mense, cioè tanti dì sono ad uscire il mese. Or questa frase: «Quattordici dì all’uscita del mese di marzo» il quale ha giorni 31, determina il 18 di marzo: ed è il primo giorno del secolo. E conseguentemente nel libro II al cap. XLVIII, vedremo l’autore fissare colla Bibbia il quarto giorno del secolo per la creazione delle stelle, nel qual giorno è eguale il dì con la notte, e fissarlo così: «Ciò è a di XI all’uscita di marzo (cioè à 21 di marzo).» Così leggeremo coi buoni t t. [p. 168 modifica]

E col maestro il discepolo dice a proposito delle stelle create in quel tempo:

Temp’era dal principio del mattino,
     E ’l sol montava in su con quelle stelle
     Ch’eran con lui quando l’Amor divino
Mosse da prima quelle cose belle (Inf. I).


Ancora sul Capitolo VI.


Quantunque la formola generale della dottrina biblica sia: Iddio creò l’universo; Mosè scende a’ particolari, per sommi capi in sei fasi divisando la formazione della terra.

Dissi fasi, anzi che giorni com’è detto comunemente, perchè la parola del testo ebraico non designa a rigore il solo tempo fra lo spuntare ed il tramontar del sole; ma uno spazio di tempo in generale. Il giorno e la notte, quali ora li diciamo, incominciarono solamente nella quarta fase. Il versetto 4 del capo II del Genesi insegna il vero significato della parola giorno del capo I. Esso dice: «Tali furono le origini del cielo e della terra, quando furono creati: nel giorno in cui Dio creò il cielo e la terra.» Altrove insegna la Bibbia, senza cenno di fasi; Ipse dixit, et facta sunt. Ipse mandavit, et creata sunt (Ps. CXLVII). Anche nei libri della Sapienza si parla della creazione, senza alludere a giorni, o fasi di essa.

Insegna Francesco Bacone da Verulamio: Iddio ci diede due libri: l’ordine universale delle cose, o la [p. 169 modifica]Natura, e la Bibbia2. Ambi sono opera del medesimo autore. Si accordano perciò a meraviglia. Differiscono solo in ciò, che l’uno conduce per argomentazioni ed esperienze, l’altro per sentenze ed autorità. Il filosofo non sia giammai temerario, da gridar tosto all’errore, all’inganno, al sofisma, quando gli sembri di scorgere contraddizione fra l’una e l’altra parola di Dio. Non vacilli per questo nella costanza de’ coscienziosi suoi studii, nè della religiosa sua fede. Più innanzi procedendo, fuor d’ogni sua espettazione rinverrà ineffabili armonie.


Note

  1. Ecco l’archetipo in Dante:

    Ciò che non muore, e ciò che può morire
         Non è se non splendor di quella idea
         Che partorisce amando il nostro Sire.
                                                                     (Par. XIII).
                                       Le cose tutte quante
         Hann’ordine tra loro; e questo è forma
         Che l’universo a Dio fa somigliante.
    Qui veggion l’alte creature l’orma
         Dell’eterno valore, il quale è fine
         Al quale è fatta la toccata norma.
    Nell’ordine ch’io dico, sono acchine
         Tutte nature per diverse sorti,
         Più al principio loro e men vicine;
    Onde si muovono a diversi porti1
         Per lo gran mar dell’essere, e ciascuna
         Con istinto a lei dato che la porti (Par. I).

    1. Diceva Benvenuto da Imola: Per magnitudinem et profunditatem naturae rerum.
  2. Il gran libro della Natura è anche in Dante:

    Lo Ben, che fa contenta questa Corte,
         Alfa ed Omega è di quanta scrittura
         Mi legge amore o lievemente o forte
                                                                     (Par. XXVI).

    Nel suo profondo vide che s’interna
         Legato con amore in un volume
         Ciò che per l’universo si squaderna
                                                                (Par. XXXIII).