Il Tesoro (Latini)/Illustrazioni al Libro V/Capitolo XXXIX

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Capitolo XXXIX

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Brunetto Latini - Il Tesoro (XIII secolo)
Traduzione dalla lingua d'oïl di Bono Giamboni (XIII secolo)
Capitolo XXXIX
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i;’i’es.sii iiiairo: vfMiientibiis,sesp sponte ofîerimt. et simulata debilitate ve! pedum vel alaruin, quasi statini capi possi iit, )j;rcssus flngunt tardiores: hoc mendacio sollicitant obvios et eludunt, quoad provecti lougius a nidis avocentur (Solintis, cap. XII).

Plinio racconta nò più nò meno, nel libro X cap. XXXIII.

Dopo Plinio, tutti i naturalisti hanno curiosi aneddoti intorno all’amore della pernice maschio per la compagna; o di ambi, ed in modo speciale della madre, per la tenera prole. Mette anche in pericolo se stessa, per difendere e salvare la sua nidiata. I maschi si battono cavallerescamente per la femmina amata.

La pernice d’Italia (perdio cinerea), chiamasi un eli e starna.

Capitolo XXXII.

Il pappagallo, psittacu), abbonda nei (ìaesi posti fra 1 tropici; molti ne sono i generi. Brunetto dice, che i pappagalli vengono dall’India, essendo questa la regiojie onde gli ebbero prima i Greci, probabilmente all’epoca della spedizione di Alessandro il macedone. Il paleornide di Alessandro, pare sia l’uccello spedito dall’isola di Ceilan al conquistatore,

del rjnale conservò j) nome, l lìoniaiii do()o [p. 301 modifica]

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1 Greci no possedevano in oi»ia; i’ li i iccndano sovente

i loro.scrittori.

lìruiietlo;()n)i)en(lin (piolo cacitolo tl.il LW di Solino.

Capitolo XXXIII.

Secondo il Jiution, il pavone fu introdotto in Grecia da Alessandro il jurande, che tras()ortollo dall’ India. 1 pii’i probabile l’ossevi introdotto ()rinia, torse al tempo di Pericle. Aristofane lo ricorda negli Accn-ncsi, e negli Uccelli, comédie ra()presentate in Atene, la prima nell’anno terzo dell’olimpiade 88, e la seconda neiranno.secomlo dell’olimpiade 91. Ateneo lo dice ricordato da scrittori antichi: Aristotile no parla come d’uccello assai noto. Era cibo squisito nei pranzi dei Romani, e poi dell’età di mezzo, imband(Mi(lolo coperto delle sue penne.

Capitolo XXXIV.

L’tisignuolo e la tortora sono gli uccelli i)rediIftti dagli innamorati malinconici. È proverbiale la ledei tà comunemente attribuita alla tortora vedova del com;Kagiio. Virgilio nel liiìi’o IV delle Georgiche,

narrando il jìateiico episodio dì AiTStoo. fece [p. 302 modifica]
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una ipotiposi insuperabile dell’usignuolo, che piange

soavemente cantando all’ombra del pioppo: Nelle Egioche allude alla tortorella, che geme solitaria sull’alta cima dell’olmo. Anche le piante accennate dal poeta accrescono bellezza malinconica e leggiadria sentimentale alla descrizione. Era il ìuaesiro e l’cm tore di Dante.

Ancora sul Capitolo XXXIV.

Postilla del Sorio.

«Il testo francese capitolare: son ni covre de follie de squille (testo Chabaille, d’esquille) por le lu (t Chab. lous, altri louj qui ne foche ses faons (altri, puigoins). Car lu (altri lou) n’ose aler la cu cele herbe soit. La voce italiana sachiel sembra dichiarata falsa dal testo originale francese de follie de squille. Ma in questo si trova la bestia lu, inimica della tortora. Il ms. Berg. traduce lo luino; ma forse scrisse per vaga iudovinaglia il traduttore bergamasco. Che dirne? Plinio nel libro X cap. 95 ediz. dell’Arduino, dice che sono nemici fra loro turtur et pyralis. Qiiae sii autem pyralis, nondum compertum, osserva il p. Arduino. Nulla di ciò riferisce

Alberto Mao’no. Auclic ii Solino ne tace.» [p. 303 modifica]

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Caimtolo XXX\ 1.

(Hi.’iiitichi ()aragouaroiio lo struzzo al camello, perchè vive nel deserto, è molto alto, sopporta per lungo tempo la sete, ed ha il piede bisolco. Ha pure affinità di organi digestivi con quelli de’ ruminanti. Gli Orientali lo dicono uccello-camello: i Greci, (rroi/ÔOK«/ur)»iXç: Plinio, struthio camelus, nome ripetuto da Linneo.

Gli Orientali attribuirono a disamore dello struzzo per la sua prole, l’abbandono ch’egli fa delle ova nella sabbia. La Bibbia vi allude sovente. Filia populi mei, quasi struthio in deserto, lamentava nei treni il profeta Geremia.

A.ncoi*a sul Capitolo XXXVI.

Postilla del Sorio.

«I mss. francesi hanno saìig: ma credo essere il sera fsevutn struthio camelinum ) così utile in medicina. Vedi Plinio lib. IX cap. 30, e la nota del p. Arduino 19: stìHithionis sevum ad inulta esse medicamenta utile, etiam Philo pìodidit: Lib. de (ini mal. 2*"opriet. pag. 28. La stampa francese 1863 conferma la mia congettura: r\ gras rst mvlt profit

aì)U’.» [p. 304 modifica]
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Capitolo XXXVII.


La Crusca legge scerpasolea, dove le stampe leggono scerpafolea. Così il Sorio, il quale aggiunge: Di queste frodi del cuculo ragiona anche Plinio lib. X cap. 25, ed Aristotele libro VI e IX Hyst. Nat. Quindi il latino cuculus metaforicamente.

Il cuculo, o cucco, pronuncia così nettamente le due sillabe che gli dànno il nome, che in tutte le lingue può citarsi come esempio incontrastabilissimo di onomatopeja. In greco κοκυ, in latino cuculus, in italiano cucco, in tedesco kuckuck, in francese coucou, in inglese cuckooc, ecc.

Ancora sul Capitolo XXXVII.


Postilla del Sorio:

«Il ms. Ambr. sterpassola; la Crusca: scerpasolea. Plinio lib. X cap. 11 semperque parit in alienis, maxime palumbium. Il p. Arduino nella sua postilla 8 così nomina questo uccelletto: corruca, scilicet la fauvette: Graecis έπιλαις, vel ύπολαις, aut alia quaelibet avis, cujus in nido cuculus ova ponit.

V. Forcellini, cuculus[p. 305 modifica]

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Capitolo XXX Vili.

Il riiJfOfiolo (o)’iohisj nei dialclli nostri si chiama, gola, bocca fico, brusola, gaìbc(h-o, ga) -bella, giallone e gravalo gentile. Venendo lì-a noi alla stagione in cui sono maturi i lichi, de’ quali è ghiotto, come di altre (ruttai, i contadini toscani proverbiano, che il suo canto vuol diro: (’(unpagnuolo, è ma (tiro lo fico. In alcuno rcjioiii di l’rancia lo traducono invece: e’ cs/ le cotnjirrr lovirf, qui ìiiange 1rs cerises, et laisse le noì/an. Si augiungano alh novollc di sor Brunetto.

Capitolo XXXIX.

li picchio l’insettivoro, o mangia d’ordinario formiche e larve di coleotteri, che cerca sugli alberi, e sotto la loro corteccia. Si arrampica sulle piante con destrezza ammirabile. Ne percuote la corteccia col becco durissimo, per farne uscire gli insetti. Dal suono che manda il ramo, conoscendo che vi sono appiattate le larve dei coleotteri; col becco, fatto alla cima a foggia di scarpello, apre un I)ertugio, por lo ((uale fa entrare la lingua lunghissima..’ ’ol dardo coì-noo, con denti ri\olti indietro