Il Trecentonovelle/LIII
Questo testo è completo. |
◄ | LII | LIV | ► |
Berto Folchi, essendo in una vigna congiunto con una forese, alcuno viandante passando di sopra un muro, non accorgendosi, gli salta addosso, il quale credendo sia una botta, fuggendo grida accorr’uomo, e mette tutto il paese a romore.
Ben venne ad avere il suo intendimento d’uno amorazzo Berto Folchi, e ancora il priore Oca con sottile inganno a godere una vigna, cosí bene come ad effetto del suo volere venisse Sandro Tornabelli. Questo Berto Folchi fu uno piacevole cittadino della nostra città, e leggiadro e innamorato ne’ suoi dí. Costui, avendo piú tempo dato d’occhio con una forese nel populo di Santo Felice ad Ema, nella per fine un dí, essendo la detta forese in una vigna, il detto Berto non abbandonando questo suo amore, ne venne alla sua, e appiè d’un muro a secco che cingea la vigna, dietro al quale passava una via, si puosono. Era nel sollione per un gran caldo, che passando due contadini che veníano da Santa Maria Impruneta, disse l’uno all’altro:
- Io ho una gran sete; vuo’ tu andare in quella vigna per un grappolo d’uve, o vuogli che vi vadia io?
Disse l’altro:
- Vavi pur tu.
Di che l’uno, saltato con una lancia sul muro, e gittatosi di là co’ piedi su l’anche di Berto che era addosso alla detta forese, fu tutt’uno: del quale colpo ebbe maggiore paura e danno Berto che la forese, però che ella si sentí meglio calcata. Il contadino che avea saltato, sentendosi giugnere co’ piedi su una cosa molliccia, sanza volgersi addietro comincia a fuggire per la detta vigna, fracassando e pali e viti, gridando: «Accorr’uomo, accorr’uomo» con le maggiori voci che aveva in testa.
Berto nientedimeno si studiava di fare li fatti suoi, come che gli paresse essere nel travaglio. Al romore del contadino chi correa qua e chi là:
- Che è? che è?
E quelli dicea:
- Oimè! che io ho trovata la maggior botta che mai si trovasse.
Il romore crescea; ed elli li diceano:
- Se’ tu impazzato, che tu metti il paese a romore per una botta?
E quelli pur gridava:
- Oimè! fratelli miei, ch’ella è maggiore che un vassoio. Io vi saltai suso, e parvemi saltare come su uno grandissimo polmone, o fegato di bestia; oimè! che io non tornerò mai in me.
D’altra parte il suo compagno, o parente che fosse, che aspettava l’uve, temendo forse per briga che aveano, udendo il romore, che colui non fosse assalito e morto, comincia a gridare anco elli: «Accorr’uomo» e fugge indietro quanto puote. Le campane di Santo Felice cominciano a sonare a martello, e quelle da Pozzolatico, e di tutto quel paese. Chi trae dall’un lato e chi dall’altro, e ciascun corre:
- Che è? che romore è questo, e in quest’ora?
La donna s’era spiccata da Berto, fugge verso la casa del marito, gridando:
- Oimè trista! che romore è questo?
E abbattesi al marito, il quale come gli altri verso la piazza di Santo Felice correa, dicendo:
- Oimè! marito mio, che vuol dir questo? ché sallo Dio con quanto diletto facea erba nella vigna per lo bue nostro, ed elli si levò questo busso, che son quasi mezza morta.
Berto giugne da un altro lato della piazza, e dice:
- Che novella è questa? che buona ventura è?
Disse il lavoratore che gli avea saltato addosso:
- Come, che è? o non l’avete voi sentito? non credo che niuno vedesse o trovasse mai sí gran botta come io trovai nella tal vigna; e peggio fu che io gli saltai addosso; che è maraviglia ch’ella non mi schizzò il veleno; e pur cosí non so se io me ne morroe.
Disse Berto:
- In buona fé che tu se’ un piacevol uomo; o se tu avessi trovato un diavolo, che avresti tu fatto?
Disse colui:
- Vorrei innanzi trovare un diavolo che una botta a quel modo.
In questo, l’altro compagno giunse alla piazza trambasciato, gridando; e veggendo il compagno corre ad abbracciarlo, dicendo:
- Oimè! compagno mio, che hai tu aúto? chi t’ha assalito? io credetti che tu fosse stato morto.
E quelli, mezzo smemorato, dicea di questa botta. E Berto Folchi verso costoro si volge ancora, e dice:
- Che cortesi uomeni siete voi? avete con questo vostro romore scioperato quanti uomeni ha in questo paese, e io era sopra a fare una mia faccenda, e sono stato sí bestia che io ci son corso anch’io.
E rispondendo e dicendo, chi di qua e chi di là, e Berto dice:
- Egli è buon pezzo che io usai in questo paese, e già fa buon tempo udi’ dire che uno trovò una gran botta in quella vigna; forse è questa dessa.
Tutti a una voce affermarono che cosí dovea essere, però che v’erano li muri a secco, e certe muricce di sassi rovinati; egli è possibile che ella vi sia ancora molto cresciuta.
Tutti con questo si tornorono a casa. E appena erano compiuti di partirsi, e Berto tornando verso Firenze, che ’l priore Oca, priore del detto luogo, uomo piacevolissimo, tornando da Firenze, non di lungi una balestrata dalla piazza si scontrò in lui, il quale salutandolo come molto suo domestico, il rimenò addietro, volendo che quella sera si stesse con lui. E accettato Berto e tornando insieme col priore, dice il priore:
- Io ho udito tra via che ci è stato un gran romore; che cosa è stata questa?
Disse Berto:
- Priore mio, se voi mi terrete credenza, io vi dirò la piú bella novella che fosse poi che voi nasceste.
Il priore dice:
- Berto, ponla su (e porgegli la mano) e cosí ti giuro, e anco sai che io sono prete.
Di che Berto gli disse il principio, mezzo, e fine di ciò ch’era stato. Il priore era grasso; egli stette un gran pezzo che non potea ricogliere l’alito, tanto ridea di voglia. E cenato, e albergato con gran festa di ciò insieme, il detto Berto la mattina seguente si tornò a Firenze; e ’l priore, dopo la messa, pensò di far sí che quella novella gli valesse qualche cosa, dicendo a’ suoi popolani e del caso intervenuto, e del romore, ammonendoli tutti che non si accostassino a quella vigna, però che cosí fatta botta era di gran pericolo, pur guardando altrui, non che schizzando il veleno. Di che pochi erano che vi fossono arditi di entrare entro, se già non fosse stato Berto e la forese.
E ’l priore, veggendo che non era alcuno che la volesse lavorare, s’accordò con colui di cui ell’era, di torla a fitto, dicendo:
- Io metterò a rischio, e so alcuna orazione, e alcuno incanto che è buono a ciò; e anche quel mio fante è uno mazzamarone che non se ne curerà.
Abbreviando la novella, e’ tenne la detta vigna a fitto parecchi anni per una piccola cosa, e traevane l’anno, quando cogna otto e quando cogna diece di vino, e a colui di cui ell’era, pur ch’ella non rimanesse soda, ma fosse lavorata, parea guadagnare la detta vigna. E cosí tirò l’aiuolo il priore Oca, andando spesso Berto a bere di quel vino con lui, facendo sí che alla botta mai non fu piú saltato addosso.
Che diremo adunque de’ casi e degli avvenimenti che amore conduce? Tra quanti nuovi ne furono mai, non credo che ne fosse nessuno simile a questo, e con tutta la fortuna a suono di campane a martello, e a romore di popolo, Berto condusse a fine il suo lavorío; e ’l priore Oca, per dare una buona ammonizione a’ suoi popolani, ne guadagnò in parecchi anni forse quaranta cogna di vino: e fugli bene investito, però che era goditore e volentieri facea cortesia altrui.