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Il Trecentonovelle/LXX

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Novella LXX

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LXIX LXXI

Torello del Maestro Dino con uno suo figliuolo si mettono a uccidere dua porci venuti da’ suo’ poderi, e in fine, volendogli fedire, li porci si fuggono e vanno in un pozzo.

— * —

Nella nostra città fu uno pratico e avvisato uomo chiamato Torello del maestro Dino, al quale essendo venuto per le feste di Pasqua due porci da’ suo’ luoghi da Volognano, che pareano due asini di grandezza; e convenendo che cercasse chi gli uccidesse, acconciasse e insalasse, pensò che ciò non si potea fare senza buon costo; e pertanto disse al figliuolo:
- Ché non uccidiàn noi questi porci noi, e conciànli? noi abbiamo il fante, e risparmierenci i danari che vorrebbe chi gli acconciasse; e credo che noi farèn bene come loro.
E dice al figliuolo:
- Che di’?
E que’ risponde:
- Dico che noi il facciamo.
- Or bene, troviamo due invoglie e uno coltellino bene appuntato, e metteremo l’uno in terra; e io - disse Torello - l’ucciderò, e voi lo terrete che non fugga.
Risposono che ben lo farebbono. Torello, recatosi in concio che era gottoso e debole, si mette il grembiule, e chinasi e fa chinare gli altri a pigliare il detto porco per le gambe, e fannolo cadere in terra: come gli è in terra, Torello che avea attaccato il coltellino alla coreggia, se lo reca in mano, e volendo fedire il porco per ucciderlo, e standoli col ginocchio addosso e senza brache, e ’l figliuolo essendo andato per un catino per la dolcia, appena era il ferro entrato nella carne un’oncia, che ’l porco cominciò a gridare; l’altro che era sotto una scala, sentendo gridare il compagno, corre e dà tra’ calonaci di Torello. Come il ferito sente il compagno venuto alla riscossa, furiosamente dà un guizzo sí fatto che caccia Torello in terra. In questo giugne il figliuolo, e Torello dice:
- Tu se’ stato tu che non torni mai.
- Anzi tu.
- Anzi tu.
E con questa tenzione, il porco uscito lor tra le branche, corre per uno androne, e l’altro porco drietoli, e dànno su per una scala. Torello levatosi, e ’l figliuolo, dicono:
- Ohimè! male abbiamo fatto.
Dànno su per la scala dietro a’ porci, là dove il sangue per tutto zampillava. Giunti in sala, caccia di qua, caccia di là, e quello ferito dà in una scanceria tra bicchieri e orciuoli, per forma e per modo che pochi ve ne rimasono saldi.
Alla perfine il porco s’accostò al pozzo ch’era su la sala e gittòvisi dentro, e l’altro porco drietogli.
Quando Torello vede questo, dàssi delle mani su l’anche dicendo:
- Oimè, or siàn noi diserti -; e fassi alle sponde guardando nel pozzo. - Che faremo e che diremo?
Alla per fine voltosi al suo fante, il pregò per amor di Dio che si collasse nel pozzo, e togliesse un buon coltello appuntato e una fune, e o vivi o morti pensasse di legarli; ed egli e ’l figliuolo tirerebbon su la fune del pozzo, alla quale accomandasse li detti porci. Il fante bestia volle servire Torello, e preso il detto fornimento s’attaccoe alla fune del pozzo, e còllavisi entro. Come fu giunto giuso, e ’l porco ferito gli dà di ciuffo alla gamba, e quanto ne prese tanto ne levò.
Sentendo il fante il dolore del morso, comincia a gridare: «Accorr’uomo, oimè, oimè!» a sí alte voci che la vicinanza trasse, e truovano cosí fortunoso caso; e saputo come il fatto era ito, dicono a Torello:
- In buona fé, tu hai fatto un bel risparmio; quando tu riaverai questi porci, fara’celo assapere, e peggio è ch’egli averanno morto questo buon uomo che v’entrò dentro.
E fassi alcuno alla sponda dicendo:
- Se’ tu vivo?
E quello dice:
- Oimè, per Dio! tirate la fune e io m’atterrò a essa per uscire di qui.
E ’l porco in quell’ora anco l’assanna; ed egli si volge in su:
- Oimè, tirate, ché, se voi non tirate, io son morto.
Alla fine tirarono la fune, come se attignessero acqua; ed eccoti il tristo su con una gamba guasta e tutta stracciata, che piú mesi ne penò a guarire, e gridava:
- Oimè! Torello, a che partito me avete messo? io non serò mai piú uomo.
Torello dicea:
- Sta’ cheto; io ti farò medicare al maestro Banco che è molto mio amico, ma de’ porci come si fa?
Dice il fante:
- Il pensiero sia vostro, che volete tòr l’arte a’ tavernai.
Alla per fine e’ s’andò per due beccai che desseno e consiglio e aiuto: e dissono voleano d’ogni porco fiorini uno a trargli del pozzo. Torello, veggendosi mal parato, disse:
- Sie fatto.
E domandorono se gli volea uccidere, però che laggiú convenía s’uccidessino. Disse di sí:
- Fate tosto, e fate come voi volete.
Allora l’uno s’armò come se andasse a combattere, e con uno coltello appuntato a spillo andò giuso, e brieve, dopo gran pena, gli uccise, e legati prima l’uno e poi l’altro alle funi del pozzo, gli tirorono fuori: dell’acconciatura poi gli pagò quello se ne venía, che fu forse un altro fiorino. L’acqua del pozzo rossa di sangue umano e di sangue porcino, convenne che in poco tempo si rimondasse, e lavasse il pozzo piú di otto volte, e costò bene fiorini tre. I porci non ebbono dolce, la carne fu tutta livida e percossa, e fu assai di peggio. Or questo risparmio fece questo valente uomo ch’e’ porci valeano forse dieci fiorini ed egli ne spese poi forse altrettanti, senza le beffe che furono via piú.
La novella detta, per alcuno giovane fu già scritta, e molto piú lungamente, però che mette ch’e’ porci andorono in cucina e in quella tempestorono ciò che v’era. E questo non fu vero; però che quello della cucina avvenne a uno gentiluomo de’ Cerchi, vicino di Torello, che, sentendosi piú giovane e meglio in gambe di lui, volle provare d’uccidere un suo porco; il quale da lui fedito, come questo, sí gli uscí tra mani, e correndo su per la scala, imbrattando ogni cosa col sangue, n’andò in cucina, e là fece gran danno, tempestando ciò che v’era. Questi porci mi fanno ricordare d’alcun’altra novella, per lo serrarsi insieme, quando sono offesi, la quale racconterò qui da piede.