Il Trecentonovelle/LXXI

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Novella LXXI

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LXX LXXII

Uno Frate romitano di quaresima in pergamo a Genova ammaestra ch’e’ Genovesi debbano fare buona guerra.

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E’ non è molt’anni che trovandom’io in Genova di quaresima, e andando, com’è d’usanza, la mattina alla chiesa, fui alla chiesa di Santo Lorenzo, dove predicava in quell’ora un frate romitano, ed era la guerra tra Genovesi e Viniziani; e in quelli dí li Viniziani aveano forte soprastato a’ Genovesi. Ora, accostandomi e porgendo gli orecchi per udire alquanto, le sante parole e’ buoni esempli che io gli udi’ dire furono questi. E diceva:
- Io sono Genovese, e se io non vi dicessi l’animo mio, e’ mi parrebbe forte errare; e non abbiate a male, ché io vi dirò il vero. Voi siete appropiati agli asini; la natura dell’asino è questa: che quando molti ne sono insieme, dando d’uno bastone a uno, tutti si disserrano, e qual fugge qua, e qual fugge là, tanto è la lor viltà; e questa è proprio la natura vostra. Li Viniziani sono appropiati a’ porci, e sono chiamati Viniziani porci, e veramente egli hanno la natura del porco, però che essendo una moltitudine di porci stretta insieme, e uno ne sia o percosso o bastonato, tutti si serrano a una, e corrono addosso a chi gli percuote; e questa è veramente la natura loro: e se mai queste figure mi parvono proprie, mi paiono al presente. Voi percotesti l’altro dí li Viniziani: e’ si sono serrati verso voi a lor difesa e a vostra offesa; e hanno cotante galee in mare con le quali v’hanno fatto e sí e sí; e voi fuggite chi qua e chi là, e non intendete l’uno l’altro; e non avete se non cotante galee armate: egli n’hanno presso a due tanti. Non dormite, destatevi, armatene voi tante che possiate, se bisogna, non che correre il mare, ma entrare in Vinegia.
Poi fa fine a queste parole, dicendo:
- Non l’abbiate a male, ché io serei crepato, s’io non mi fusse sfogato.
Or questa cotanta predica udi’ io, e torna’ mi a casa; l’avanzo lasciai udire agli altri. Avvenne per caso quel medesimo dí che nel luogo de’ mercatanti, essendo io dov’erano in un cerchio e Genovesi, e Fiorentini, e Pisani, e Lucchesi, e ragionandosi de’ valenti uomini, disse uno savio Fiorentino che ebbe nome Carlo degli Strozzi:
- Per certo voi Genovesi siete gli migliori guerrieri e piú prod’uomini che siano al mondo: noi Fiorentini siamo da fare l’arte della lana, e nostre mercanzie.
Ed io risposi:
- E’ c’è ben la ragione.
Il perché tutti dissono:
- Come?
E io rispondo:
- Li nostri frati, quando predicano a Firenze, ci ammaestrano del digiuno e dell’orare, e che dobbiamo perdonare, e che dobbiamo seguire la pace e non far guerra; li frati che predicano qui insegnano tutto il contrario; però che in questa mattina ritrovandomi in Santo Lorenzo, io porsi gli orecchi a un frate romitano che predicava; gli ammaestramenti e gli esempli che il populo qui poté udire furono questi: - e raccontai ciò che avea udito.
Tutti si maravigliorono: e allora da chi aveva udito com’io, ne seppono la verità, e ciò udito, dissono che io aveva ragione; e parve a tutti una nuova predica.
E cosí siamo spesse volte ammaestrati, tanto è ampliata la nostra fede, salendo tale in pergamo che Dio il sa quanta sia la loro prudenza, o la loro discrezione.