Il Trecentonovelle/LXXXIV

Da Wikisource.
Novella LXXXIV

../LXXXIII ../LXXXV IncludiIntestazione 22 settembre 2009 75% novelle

LXXXIII LXXXV

Uno dipintore sanese, sentendo che la moglie ha messo in casa un suo amante, entra in casa e cerca dell’amico, il quale trovando in forma di crocifisso, volendo con un’ascia tagliarli quel lavorío, il detto si fugge, dicendo: «Non scherzare con l’ascia».

— * —

Fu già in Siena uno dipintore, che avea nome Mino, il quale avea una sua donna assai vana, ed era assai bella, la quale un Sanese buon pezzo avea vagheggiata, e anco avea aúto a fare con lei, e alcuno suo parente piú volte gliel’avea, detto, e quel nol credea. Avvenne un giorno che, essendo Mino uscito di casa, ed essendo per alcuno caso andato di fuori per vedere certo lavorío, soprastette la notte di fuori. L’amico della donna, di ciò avvisato, la sera andò a stare con la moglie del detto dipintore a suo piacere. Come il parente sentí questo, che avea messo le spie per farnelo una volta certo, subito andò di fuori dove Mino era, e tanto fece che, dicendo per certa cagione dovere andare e tornare dentro, fu mandato uno con le chiavi dello sportello: e questo parente, uscendo fuori, lasciò quello delle chiavi dello sportello che l’aspettasse, e andò a Mino, el quale era a una chiesa presso a Siena; e giunto là disse:
- Mino, io t’ho detto piú volte della vergogna che mogliera fa a te e a noi, e tu non l’hai mai voluto credere; e però, se tu ne vuogli esser certo, vienne testeso e troverra’loti in casa.
Costui subito fu mosso e intrò in Siena per isportello; e ’l parente disse:
- Vattene a casa, e cerca molto bene, però che, come ti sentirà, l’amico si nasconderà, come tu déi credere.
Mino cosí fece, e disse al parente:
- Deh, vienne meco; e se non vuogli entrare dentro, statti di fuori.
E quel cosí fece.
Era questo Mino dipintore di crocifissi piú che d’altro, e spezialmente di quelli che erano intagliati con rilevamento; e aveane sempre in casa, tra compiuti e tra mani, quando quattro e quando sei; e teneagli, com’è d’usanza de’ dipintori, in su una tavola, o desco lunghissimo, in una sua bottega appoggiati al muro l’uno allato all’altro, coperti ciascuno con uno sciugatoio grande; e al presente n’avea sei, li quattro intagliati e scolpiti, e li due erano piani dipinti, e tutti erano in su uno desco alto due braccia, appoggiati l’uno allato all’altro al muro, e ciascuno era coperto con gran sciugatoi o con altro panno lino. Giugne Mino all’uscio della sua casa, e picchia. La donna e ’l giovane, che non dormiano, udendo bussare l’uscio, subito sospettano che non fosse quello che era; e la donna, senza aprire finestra o rispondere, cheta cheta va a uno piccolo finestrino, o buco che non si serrava, per vedere chi fosse; e scorto che ebbe essere il marito, torna allo amante, e dice:
- Io son morta: come faremo? il meglio ci sia è che tu ti nasconda.
E non veggendo ben dove, ed essendo costui in camicia, capitorono nella bottega dov’erano li detti crocifissi.
Disse la donna:
- Vuo’ tu far bene? sali su questo desco e pònti su uno di quelli crocifissi piani con le braccia in croce, come stanno gli altri, e io ti coprirrò con quel panno lino medesimo, con che è coperto quello; vegna cercando poi quanto vuole che io non credo che in questa notte e’ ti truovi, e io ti farò un fardellino de’ panni tuoi e metterògli in qualche cassa, tanto che vegna il dí; poi qualche santo ci aiuterà.
Costui, come quello che non sapea dove s’era, sale sul desco e leva lo sciugatoio, e in sul crocifisso piano si concia proprio, come uno de’ crocifissi scolpiti, e la donna piglia el panno lino e cuoprelo, né piú né meno, com’erano coperti gli altri, e torna a dirizzare un poco il letto che non paresse vi fusse dormito se non ella; e tolto le calze, e scarpette, e farsetto, e gonnella e l’altre cose dello amante, subito n’ebbe fatto un assettato fardellino e mettelo tra altri panni. E ciò fatto, ne va alla finestra, e dice:
- Chi è?
E que’ risponde:
- Apri, io son Mino.
Dice quella:
- O che otta è questa? - e corre ad aprirli.
Aperto l’uscio, e Mino dice:
- Assai m’ha’ fatto stare, come colei che se’ stata molto lieta che io ci sia tornato.
Disse quella:
- Se tu se’ troppo stato, è defetto del sonno, però che io dormiva e non t’udía.
Dice il marito:
- Ben la faremo bene.
E toglie uno lume e va cercando ciò che v’era insino a sotto il letto.
Dice la moglie:
- O che va’ tu cercando?
Dice Mino:
- Tu ti mostri nuova; tu ’l saprai bene.
Dice quella:
- Io non so che tu ti di’: sapera’tel pur tu.
Andando costui cercando tutta la casa, pervenne nella bottega, dov’erano li crocifissi. Quando il crocifisso incarnato lo sente ivi, pensi ciascuno come gli parea stare; e gli convenía stare come gli altri che erano di legno; ed egli avea il battito della morte. Aiutollo la fortuna, ché né Mino né altri mai averebbe creduto essere in quella forma colui che era nascoso. Stato che Mino fu nella bottega un poco, e non trovandolo, s’uscí fuori. Era questa bottega con una porta dinanzi, la quale si serrava a chiave di fuori, però che uno giovene che stava col detto Mino, ogni mattina l’apriva come s’aprono l’altre, e dalla parte della casa era uno uscetto là, donde il detto Mino entrava nella bottega; e quando ne uscía della bottega e andavane in casa, serrava il detto uscetto a chiave, sí che il vivo crocifisso non se ne poteva uscire, se avesse voluto.
Essendosi combattuto Mino il terzo della notte, e non trovando alcuna cosa, la donna s’andò al letto, e disse al marito:
- Va’ tralunando quantunche tu vuogli; se tu ti vuogli andare al letto, sí ti va’; e se no, va’ per casa come le gatte, quanto ti piace.
Dice Mino:
- Quand’io arò assai sofferto, io ti darò a divedere che io non sono gatta, sozza troia, che maladetto sia il dí che tu ci venisti.
Dice la moglie:
- Cotesto potre’ dir’io: è bianco, o vermiglio quello che favella?
- Io tel farò bene assapere innanzi che sia molto.
Dice quella:
- Va’ dormi, va’, e farai il tuo migliore, o tu lascia dormir me.
Le cose per istracca si rimasono per quella notte; la donna s’addormentò, e ancora egli andò a dormire. Lo parente, che di fuori aspettava come la cosa dovesse riuscire, standovi insino passata la squilla, se n’andò a casa, dicendo: «Per certo, in tanto che io andai di fuori per Mino, l’amante se ne sarà andato a casa sua».
Levatosi la mattina Mino molto per tempo, e ancora ragguardando per ogni buco, nella fine, avendo assai cercato, aprí l’uscetto e venne nella bottega: e ’l suo garzone aperse la porta di fuori da via della detta bottega.
E in questo, guardando Mino questi suoi crocifissi, ebbe veduto due dita d’uno piede di colui che coperto stava.
Dice Mino fra sé stesso: «Per certo che quest’è l’amico». E guardando fra certi ferramenti, con che digrossava e intagliava quelli crocifissi, non vidde ferro esser a lui piú adatto che un’ascia che era tra essi. Presa quest’ascia, e accostatosi per salire verso il crocifisso vivo, per tagliargli la principal cosa che quivi l’avea condotto, colui, avvedutosi, schizza con un salto, dicendo:
- Non ischerzar con l’asce.
E levala fuori dell’aperta porta; Mino drietoli parecchi passi, gridava: «Al ladro, al ladro»; colui s’andò per li fatti suoi.
Alla donna, che tutto avea sentito, capitò un converso de’ frati predicatori che andava con la sporta per la limosina per lo convento. Andato su per le scale, come talora fanno, disse:
- Frate Puccio, mostrate la sporta, e io vi metterò del pane.
Quegli la diede. La donna, cavato il pane, vi misse il fardellino che l’amante avea lasciato, e sopra esso gittò suso il pane del frate e quattro pani de’ suoi, e disse:
- Frate Puccio, per amor d’una donna che recò qui questo fardellino dalla Stufa, dove pare che il tale ier sera andasse, io l’ho messo sotto il pane nella vostra sporta acciò che nessuno male si potesse pensare; io v’ho dato quattro pani; io vi priego (ché egli sta presso alla vostra chiesa) quando n’andate, che voi glielo diate a lui, che ’l troverrete a casa; e ditegli che la donna della Stufa gli manda i suoi panni.
Dice Fra Puccio:
- Non piú! lasciate far me.
E vassi con Dio; e giugnendo all’uscio dell’amante, mostrando chieder del pane, domandava:
- Ècci il tale?
Colui era nella camera terrena; udendosi domandare, si fece all’uscio, e dice:
- Chi è là?
Il frate va a lui, e dàgli i panni, dicendo:
- La donna della Stufa ve li manda.
E colui gli dié duo pani, e ’l frate partissi. E l’amante considera bene ogni cosa, e subito ne va al campo di Siena, e fu quasi de’ primi vi fusse quella mattina, e là facea de’ suoi fatti, come se mai tal caso non fusse avvenuto. Mino quando ebbe assai soffiato, essendo rimaso scornato del crocifisso, che s’era fuggito, ne va verso la moglie dicendo:
- Sozza puttana, che di’ che io sono gatta, e che io ho beúto bianco e vermiglio, e nascondi i bagascioni tuoi in su’ crocifissi; e’ convienne che tua madre il sappia.
Dice la donna:
- Di’ tu a me?
Dice Mino:
- Anche dico alla merda dell’asino.
- E tu con cotesta ti favella, - disse la donna.
Dice Mino:
- E anche non hai faccia, e non ti vergogni? che non so ch’io mi tegno che io non ti ficchi un tizzon di fuoco nel tal luogo.
Dice la donna:
- Non saresti ardito, s’io non ho fatto l’uomperché; ché alla croce di Dio! stu mi mettessi mano addosso non facesti mai cosa sí caro ti costasse.
Costui dice:
- Deh, troia fastidiosa, che facesti del bagascione uno crocifisso, che cosí gli avess’io tagliato quello che io volea com’egli s’è fuggito.
Dice la donna:
- Io non so che tu ti beli: qual crocifisso si poté mai fuggire? non sono egli chiavati con aguti spannali? e se non fusse stato chiavato, e tu te ne abbi il danno, se s’è fuggito però che egli è tua colpa, e non mia.
Mino corre addosso alla donna e cominciala a ’ngoffare:
- Dunque m’hai tu vituperato e anco m’uccelli?
Come la donna si sente dare, che era molto piú prosperevole che Mino, comincia a dare a lui; da’ di qua, da’ di là, eccoti Mino in terra e la donna addossoli, e abburattalo per lo modo. Dice la donna:
- Che vuoi tu dire? Pigliala comunche tu vuoi, che vai inebbriando di qua e di là, e poi ne vieni in casa e chiamimi puttana; io ti concerò peggio che la Tessa non acconciò Calandrino: che maladetto sia chi mai maritò nessuna femina ad alcuno dipintore, ché siete tutti fantastichi e lunatichi, e sempre andate inebbriando e non vi vergognate.
Mino, veggendosi mal parato, priega la donna che lui lasci levare, e ch’ella non gridi, acciò che i vicini non sentino, che, traendo al romore, non trovassino la donna a cavallo. Quando la donna udí questo, dice:
- Io vorrei volentieri che tutta la vicinanza ci fosse.
E levossi suso, e cosí si levò Mino col viso tutto pesto; e per lo migliore disse alla donna che gli perdonasse, ché le male lingue gli avevano dato a creder quello che non era, e che veramente quello crocifisso s’era fuggito per non essere stato confitto. E andando il detto Mino per Siena, era domandato da quel suo parente che l’avea indotto a questo:
- Come fu? come andò?
E Mino gli disse che tutta la casa avea cerco e che mai non avea trovato alcuno; e che, guatando tra’ crocifissi, l’uno gli era caduto sul viso, e avealo concio come vedea. E cosí a tutti e’ Sanesi che domandavano: «Che è quello?» dicea che uno crocifisso gli era caduto sul viso.
Ora cosí avvenne, che per lo migliore si stette in pace dicendo fra sé medesimo: «Che bestia son io? io avea sei crocifissi e sei me n’ho: io avea una moglie e una me n’ho; cosí non l’avess’io! a darmi briga, potrò arrogere al danno, come al presente m’è incontrato; e s’ella vorrà esser trista tutti gli uomini del mondo non la potrebbono far esser buona»; se non intervenisse già come intervenne a uno nella seguente novella.