Vai al contenuto

Il buon cuore - Anno IX, n. 11 - 12 marzo 1910/Educazione ed Istruzione

Da Wikisource.
Educazione ed Istruzione

../ ../Beneficenza IncludiIntestazione 20 maggio 2022 100% Da definire

Il buon cuore - Anno IX, n. 11 - 12 marzo 1910 Beneficenza

[p. 81 modifica]Educazione ed Istruzione


SAN CARLO E IL SECOLO XVI

PANEGIRICO

del Sacerdote Adalberto Catena

NELLA METROPOLITANA DI MILANO

il 4 Novembre 1853.

Fu ottimo pensiero quello della libreria Palma, via Lupetta, n. 12, di pubblicare in occasione del Centenario della Canonizzazione di S. Carlo, il Panegirico del Santo, tenuto in Duomo dal sacerdote don Adalberto Catena, divenuto pai Prevosto di S. Fedele. Costa centesimi 25, erogate per le feste del Centenario. Il Catena era stato nell’agosto di quell’anno allontanato, con altri sedici compagni professori, dai Seminari diocesani. Questa circostanza rende ancora più prezioso il Panegirico, al merito della coltura e dell’eloquenza aggiungendo quello della virtù. Non una parola di astio che richiami quel fatto. L’humilitas del Santo era passata nel suo panegirista.

Un uomo, nel cui onore splende oggi tanta pompa d’altare e di sacrificio, e non solo tra noi, che con soave compiacenza di patrio vanto ci diciamo suoi figli, ma e in tutte le nostre città, e in quelle d’oltremonte, e nelle vergini Chiese, che sono oltre l’oceano, e più là, ove s’aduna ogni gioia, ogni dolore della Chiesa universale, certo grandi cose ha egli operato in faccia a Dio ed alle Creature. Certo un immenso bene usciva di lui, e, quasi soverchiando nella terra sua, correva a diffondersi sulle lontane. E non una classe sola del popolo nostro — come intorno a minore virtù, che abbia illuminato solo un sentiero della vita — ma tutti tutti si commuovono gli ordini cittadini e le vocazioni diverse, che sono nella Chiesa; e si commuove ogni grado della vita spirituale come davanti ad una santità vastamente comprensiva, integrata d’ogni perfezione, e di ogni beneficio. Virtù intime, virtù sociali, eminenza di ogni virtù, virtù feconde: nazioni sottratte alla degradazione morale, istituzioni che varcano i secoli, opposizioni, vittorie, un’armonia di vita attiva e contemplativa, una santificazione, che inoltra fino al giorno, che la terra non è più degna di Lui e s’apre il Cielo a riceverlo: qual vita, o signori!... Ma in Carlo che cosa mai troveranno tutti?.. Tutta questa varietà di apparenze dispiegata su mille e mille oggetti di qual unica luce era una irradiazione? Tutte queste forze morali, ch’Egli venne educandosi nel cuore, a qual fine s’incontrarono mai? Alla riforma della diocesi e della Chiesa.

Ogni riformatore presenta intorno a sè le condizioni dell’opera sua. Questo volto di Carlo Borromeo, a tratti così robusti e spiccati, ne viene innanzi da un prospetto oscuro, minaccioso; che non ebbe Egli nella missione di riformatore a rilevare un’età giacente e morta, ma bensì a comprimere una vita convulsa e aberrata. — Come avviene che davanti alle grandi depravazioni dei popoli, gli illusi o i cattivi si credano scossi da un mandato di Dio, e di leggieri trascendano là, dove si dividono i riformatori e i perturbatori della religione, così una riforma illegittima e sacrilega spostò tutta quanta la grande famiglia — e quell’età nominavasi da lei, da lei datavano anche i minori avvenimenti.

E se a ciascuna dell’epoche storiche della Chiesa presiede, come custode, l’uomo di Dio, Carlo è l’uomo di quell’epoca, l’uomo che, contemporaneo a questo moto funesto, elevava il movimento cattolico così che i popoli, tra due azioni diverse, due legislazioni, due riforme, avessero a distinguere l’opera di Dio da quella dell’uomo.

Carlo, grande pei caratteri del vero riformatore, quali la natura e la grazia li vengono disponendo in cotali domini di Dio; — Carlo, grande come oppositore, in quell’atto stesso, d’una riforma disastrosa, che avanzava d’accosto alla sua minacciando di avvolgerla nel suo [p. 82 modifica] moto, oh se si avvicinino queste due glorie del Santo, e l’una e l’altra vieppiù si estendono, ed egli allora si leva maestoso in mezzo alla storia ecclesiastica. — È davanti a questa grande idea, che l’uomo privato quasi mi sfugge, vo’ dire, quell’uomo invisibile, che è tutto nei santi, su cui assorge ogni virtù operativa; ed io debbo pur trasvolare quei tempi di santa educazione, in cui il multiforme lavoro della grazia si venne costruendo; e fissarvi in questo solo: Carlo fu il genio della riforma cattolica in opposizione alla riforma protestante.

Riformare una società corrotta, cioè, tracciare un corso diverso alla vita dei mille e mille, che riluttano, si oppongono, distruggono l’opera nascente; smuovere anch’esso questo grave pondo della mala opinione, e assidersi in mezzo ad un secolo rinnovato, tutto questo non avviene senza uno di quelli spiriti veramente sublimi che hanno quasi mutato della prima virtù operativa.

È in questo cerchio di gloria che vuolsi dapprima contemplare il nostro concittadino. Vorrei dire, che il pensiero di Dio ha trovato Carlo già pronto all’uopo, che già l’aveva preparato; che l’indole fortissima di quest’anima potè essere elevata, fu elevata dalla grazia ai grandi bisogni dell’età, ma ella già era in lui, come vi erano tutti quegli splendidi accidenti della vita coi quali si sarebbe creato l’umano sussidio alla propria impresa.

Il Riformatore! — Mi si consenta di contemplarlo in astratto. — Chi lo ha veduto, chi lo ha ammirato negli annali dei popoli, chi ha potuto vederselo avanti vivo vivo nelle sue opere?

La scienza gli ha discoperti gli ordini supremi della verità; le grandi leggi fondamentali e dalle loro violazioni le immense sventure: tutta ha letto questa storia primitiva de’ principii, che è poi la storia d’ogni avvenimento. E scese collo sguardo sulla umana famiglia, sulla patria sua e vidde... oh vidde uno spettacolo di male: «Ecco io l’ho fermato: voglio rinnovarti... darò mano alla virtù, turberò i tristi. Tu non puoi ributtare chi ti porta la salute, io posso agitare questa calma, che t’illude. Che puoi tu fare contro la verità?» — Preceda alla riforma l’esempio. Ceda ella prima questa sua pur sempre indocile natura: poi s’aduni intorno a lui il miglior senno del suo popolo; ascendano le prime forze morali, ascendano a lui dalla oscurità. Dacchè menti e volontà stanno le une al cospetto delle altre, là è un pubblico mandato, là è infamia ripugnare alla luce del vero; e, allora, il privato sommesso al pubblico bene, il momento sacrificato alla causa dell’infinito, ed Egli — il pubblico reggitore — che incede forte del senno proprio ed altrui.

Quella sua volontà discese fra ignoranze altamente tranquille, tra le facili ire del vizio, e scompiglia e costerna e vi desta una sciagurata difesa, ma quella volontà si farà.

L’iniquità gli veniva innanzi aggraziandosi delle seduzioni d’un pentimento non verace, mirando a sorprendere con abbietto ossequio, suscitate intorno alla fredda ragione tutte quante tenerezze d’umanità, — e minori leggi sembrano in disaccordo coll’alto volere: ma fu invano. E i popoli l’hanno detto forte.

Ed ella volle armare i suoi terrori contro l’uomo posto quasi fuori del tempo e della vita, e ancora fu invano. E i popoli Lo hanno detto costante. Mano mano, ch’Egli saliva fino al potere che ora illumina del suo genio, ha osservato la vita; l’uomo lo ha studiato in Se stesso, lo ha giudicato, sa che il bene in lui è una conquista or recisa e gagliarda, or cauta e sagace. Indi quella sapienza tranquilla, imperturbata che possiede il futuro, pone le cause, modera ed attende il tardo, ma infallibile effetto.

Se fu volta ch’ei dovette, appena accennato, vibrare, perchè il colpo non fallisce; altra volta avanzò, poi si ritrasse dinanzi al male, poi la colpa circondò di solitudine, poi di consiglio, poi tacque e attese. Ma, perdurando il male, venne giorno in cui egli pianse, indi apparve punitore e colpì. È dopo una di tali carriere venute innanzi innanzi sempre conquistando per la giustizia, che si stabilisce in un popolo una autorità venerata, ricinta di un non so che di ignoto, d’indefinito, che fia duro esperimento ritentarla di nuovo.

Pur qui non è che l’uomo; questa è umana potenza, e io mi ho davanti un carattere più augusto: Carlo io non l’ho ancora arrivato. In questa austera natura io pongo la religione; che entro a questa tempra vigorosa discenda lo spirito di Gesù Cristo! Le native facoltà sussultano, per questo principio vivificante delle virtù cristiane, come virtù nuove, celesti, e l’umiltà che addoppia le forze e la preghiera, e tutta intera una virtù, la carità; e così l’esempio, che, senza grazia, non fu mai intemerato. L’azione di quest’anima sublimata, sul popolo, che le sta intorno, dovrà pur essere immediata, decisiva. Oh date adesso a quest’uomo, dategli pure questi tempi luttuosi, date insieme l’elevazione d’un gran fine: non vi ha vero genio, nè trionfo di santità operativa senza la forte e combattuta manifestazione di un grande pensiero. Noi avremo allora compita l’immagine del nostro Santo.

Ogni riforma, per sè, come azione di rivolgimento d’idee, di costumi, di abitudini, vi trascorre per mezzo scompigliando. Vi sono tuttavia delle epoche fortunose, che segnano il determinarsi di un grande principio o di un grande errore: il mondo e la Chiesa della loro continua, necessaria guerra vengono a un giorno di battaglia. Se egli regge, in quello affacciarsi di uomini, nuove e nuove cose e passioni diverse e diverse scene di mondo, se arriva ad essere l’appoggio universale, egli è veramente l’uomo del genio e più della Religione. — Eccovi, o signori, Carlo Borromeo.

Se noi vivremo un momento con quei nostri maggiori; se io rifarò per poco questa città qual fu allora e vi dirò cos’abbia operato il Borromeo, non sarà che in relazione a un più vasto pensiero; per ammirare quel tipo di restaurazione, ch’egli ha innalzato nella sua terra ad esempio pur delle genti lontane. Non è qui che io m’arresto. Mi porto a settentrione a piangervi quella defezione miseranda. Ultimo a venire alla verità, fu il primo a scuotersela sdegnosamente, e sostenere per [p. 83 modifica]l’errore un martirio di sangue. Le eresie orientali si perpetuarono nel deserto in un solitario orgoglio, fuori dall’imperio della ragione pubblica; l’eresia occidentale, colla sua sgraziata progenie, veniva a collocarsi nel cuore dell’Europa, centro al vario moto di quei tempi ed a quello maggiore che l’ascendere storico del dominio mondiale preparava al settentrione. Ed erano popoli potenti di pensiero e d’opera, di commercio potentissimi, che sulle mille navi avrebbero potuto addurre i dispersi figli di Dio nella casa dell’unico Padre. E le stirpi nostre per quelle genti s’eran rinnovate, e noi primi vi abbiamo recata la fede, e di là vennero quelli che la rinfervoravano fra noi: e coprimmo le stesse vie, incamminati alle conquiste religiose... e si staccarono da noi!! Hanno detto, che il paganesimo era redivivo, e farsi mercato delle cose più sante, e inetto l’Episcopato e a Roma stessa profonda la corruttela, nè promessa alla Chiesa la perpetuità... Anche tra noi era la corruzione che in quei paesi ha dato l’eresia, ma qui ne usciva il regno di Dio.

Noi, che tuttora conosciamo lo spirito di bene, tradizionale nella città nostra, il cui carattere morale ha potuto essere avvivato ma non traviato dalle nuove vicende, noi che nei sabati di Dio vediamo questo popolo, che preme alle soglie d’ogni tempio, che passiamo le famiglie tra pudiche vergini e madri venerande, noi pei quali una tradizione religiosa è cosa cittadina, e il nome dei santi è domestica gioia, se vogliamo comporci al pensiero la città degli avi nostri, distruggiamo questo ordine di bene che ne circonda ed ha nome da Carlo, distruggiamo queste consuetudini patrie, queste nostre domeniche, questa fragranza di virtù claustrali, questa luce dei tempi del Signore; e invece, oh Dio! poniamo l’ignoranza e il vizio, che già avevano commosso Ildebrando sulla Cattedra di Pietro. Oltre a questa umana natura, che non è un mistero, la ragione è storica. Le grandi monarchie, che il secolo XVI veniva elevando sulla rovina dei municipii, scendeano su questi campi a combattervi il loro primato, — e sempre dopo gli orrori della guerra rimanevaci, troppo amara ricordanza, il contagio. Questi mali sono tali, che, anche sparsi a grandi distanze, le società tardano assai a rifarsene. Ella, ella stessa, l’autorità episcopale, compagna d’ogni nostro dolore, sola sola venuta innanzi colla nostra gente in tanto volgersi di civili sorti, sempre a capo della nostra storia, invano la cerchiamo in quelle luttuose giornate. I nostri annali scrissero ottant’anni di vedovanza! L’Ormaneto, quell’uomo di tutte le imprese pazienti ed arrischiate, aveva scosso contro questa città la polvere dei calzari. Allora il Borromeo appariva.

(Continua).



Nel 12.mo fascicolo dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI vi sono le vite dei più famosi Santi.



La NONNA è un capolavoro di una freschezza e di una originalità assoluta.


Pornografia in viaggio

Si ricevono continui lamenti perchè i gabinetti dei vagoni delle ferrovie italiane troppo spesso appariscono sconciati con disegni e scritti che non hanno da far niente nè coll’arte nè colla morale. È questa una delle tante prove di alta educazione che noi italiani diamo con vera leggerezza, come se non fosse niente da un lato recare scandalo o disgusto alle persone oneste che viaggiano pagando il loro biglietto tutt’altro che per aver spettacoli poco edificanti, dall’altro mostrare agli stranieri (i quali viaggiano molto sulle nostre ferrovie e sono avezzi a veder rispettati i vagoni nei loro paesi) quanto basso è il nostro senso morale, quanto poco sentito è il decoro e la dignità di uomo!

Il Comitato Centrale Italiano per la pubblica moralità già in addietro fece rilevare alla Direzione Generale delle Ferrovie lo sconcio, e chiese rimedio. N’ebbe una risposta cortese dove si diceva che la Direzione conosceva lo sconcio, e si accennava come fosse stato sempre raccomandata al personale la vigilanza sulla pulizia dei gabinetti, e come tuttavia sarebbero state date nuove disposizioni al riguardo; ma si aggiungeva che qualunque sforzo dell’Amministrazione poteva valere ben poco, di fronte al difetto di educazione che pur troppo è a deplorare in una grande parte del pubblico.

La risposta è giustissima: infatti, non ostante tutto, lo sconcio continua. Ma siccome è vergognoso che continui, e siccome se aspettiamo, perchè cessi, che l’educazione del nostro popolo sia progredita c’è troppo da aspettare, così non si potrebbe, intanto, insegnare un po’ di questa educazione con qualche contravvenzione o qualche multa? Non si potrebbe per es.: imporre al personale del treno una visita all’inizio della corsa, per accertare che le pareti sono pulite, o se no per pulirle, e una seconda più tardi, per potere, ove del caso, multare gli... artisti o letterati immondi? Almeno si potrebbero affliggere avvisi severi, con minacce ai deturpatori dei gabinetti.

Ci permettiamo di rivolgere questa proposta alla Direzione Generale delle Ferrovie, nella speranza che l’accolga, o che ne escogiti una migliore.