Il buon cuore - Anno IX, n. 25 - 18 giugno 1910/Religione

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Educazione ed Istruzione Società Amici del bene

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Vangelo della domenica quinta dopo Pentecoste


Testo del Vangelo.

Avvenne che nell’andare il Signore Gesù a Gerusalemme, passava per mezzo alla Samaria e alla Galilea. E stando per entrare in un certo villaggio, gli andarono incontro dieci uomini lebbrosi, i quali si fermarono in lontananza, e alzarono la voce dicendo: Maestro Gesù, abbi pietà di noi. E miratili disse: andate, mostratevi ai Sacerdoti. E mentre andavano restarono sani. E uno di essi accortosi di essere restato mondo, tornò indietro, glorificando Dio ad alta voce, e si prostrò a terra ai suoi piedi, rendendogli grazie: ed era costui un Samaritano. E Gesù disse: Non sono eglino dieci quelli che sono stati mondati? E i nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse, e gloria rendesse a Dio, se non questo straniero. E a lui disse: alzati, vattene; la tua fede ti ha salvato.

S. LUCA, Cap. 17.

Pensieri.

Leggiamo il passo evangelico che oggi è proposto alla nostra meditazione e disponiamoci a trarne frutti di vita per le anime nostre.

Dei dieci lebbrosi guariti da Gesù solo uno torna a ringraziare.

La storia è storia vecchia e sempre nuova!

Stretti dal bisogno ci affanniamo a cercar aiuto, protezione, consiglio: passato il momento della pena, del bene avuto non ci ricordiamo più. Il sentimento della nostra necessità, l’amore di noi, dunque, stimola le nostre richieste ed esse son vive, insistenti, costanti: ma non abbiam, poi, in noi, posto per l’umiltà, per la riconoscenza che porta al ringraziamento, che porta alla valutazione di ciò che abbiamo ricevuto!

Non c’è gratitudine a questo mondo! diciamo spesso; chi rammenta i benefizi ricevuti? Pochi, pochissimi e bisogna fare il bene per il bene, non per il compenso... che non si ha! Sta bene... ma abbiamo pensato mai quanto il rimprovero è meritato anche da noi?

Non abbiamo volto mai l’indagine nostra interiore a questa investigazione?

Osserviamo: noi facciamo tridui e novene per ottenere una grazia, e ringraziamo con un’Ave Maria!

Impieghiamo tempo considerevole per prepararci alla confessione e in due minuti ci spicciamo a fare un po’ di penitenza e a mormorare un Te Deum.

Preghiamo a lungo prima della Comunione e poi un quarto d’ora di raccoglimento ci è greve!

Oh, l’indice della nostra spiritualità non è dato dalle preghiere fatte per ottenere favori, ma ben più dallo sforzo interiore di dire a Dio la riconoscenza nostra per i misteri di redenzione ch’Egli compie nelle povere anime nostre.... Pensiamoci!

E l’unico guarito che tornò a ringraziare Gesù fu il Samaritano, lo straniero! Altro stimolo in questo fatto alla meditazione nostra.

Gli ebrei si ritenevano obbligati ad aiutarsi l’un l’altro, quindi i nove ebrei pensando che Gesù doveva guarirli, che guarendoli compiva un suo dovere, dona ad essi ciò che loro spettava di diritto, non capivan più nell’animo un solo senso di gratitudine. Il Samaritano non aveva questa coscienza de’ suoi diritti, egli si sentiva graziato, beneficato, sentiva di non aver meritato nulla [p. 197 modifica]e d’aver ottenuto tutto... la sua anima fremeva di gratitudine, di umile gioia riconoscente... ed egli non regge più, egli torna su suoi passi, egli torna a Gesù!

Torna a Gesù per ringraziarlo, per benedirlo!

Chi imitiamo noi nel nostro atteggiamento interiore verso Dio; nel nostro contegno con i nostri benefattori?

Oh, quante anime pie si lagnano, perchè son tribolate esse o i loro cari! Noi non si merita; il tale non merita croci e dolori: è così buono, così religioso!

Come se la religiosità fosse un riparo alla sofferenza invece che una forza che la sofferenza trasforma ed eleva: come se all’uomo e non a Dio spettasse di decidere quel che è il meglio per noi; come se l’esser onesto, l’esser pio non fosse un dovere nostro, ma qualcosa che ci permette d’accampar dei diritti davanti a Dio... Noi non abbiamo diritti, non abbiam che doveri — il cristiano ha solo il diritto di compiere il suo dovere — doveri che negligiamo, che calpestiamo, ai quali veniamo costantemente meno.... E Dio che aiuta e ci ama e ci benedice anche così.... Umiliamoci per la nostra miseria; esultiamo per la misericordia divina e uniamo la nostra povera voce a quella del Samaritano riconoscente!

Mostrandosi ai sacerdoti gli Ebrei adempivano un precetto. Ma per adempiere un precetto della legge positiva, calpestano quello della legge naturale; questo nota Gesù e questo lo meraviglia e lo contrista. E con i nove ebrei ingrati lo contristano ancora tanti cristiani, lo contristiamo anche noi.

Non abbiamo mai paragonato lo zelo con cui le persone devote compiono ogni pratica imposta, anche appena consigliata dalla chiesa, e la leggerezza con cui calpestano le grandi leggi della morale? E’ uno spettacolo desolante che fa orrore e vergogna!

Certe anime timorate si farebbero scrupolo di tralasciare un Rosario e non se lo fanno, quando mormorano del prossimo e ingiuriano i fratelli; altre non lasciano passare un sabato senza accendere un lume davanti a un’immagine della Madonna, ma, nello stesso tempo mentono e usano restrizioni mentali con disinvoltura... scandalosa!

E’ davvero uno scandalo grave questa condotta di tanti devoti! E con il loro contegno urtano spesso persone naturalmente oneste che, osservandoli, si fanno un ben povero concetto dell’efficacia della nostra fede.

Ma quando sarem tutti persuasi, convinti che le pratiche pie a nulla valgono senza la purezza integra, la onestà completa della vita? che, senza questo non sono che un’ipocrisia? Non tralasciamo, no, le pratiche religiose: ma riflettiamo che esse devono stimolarci a elevazione, a purificazione sempre maggiore: che se non giovano a ciò non hanno più ragione d’essere — non l’hanno più.

Osserviamo riverenti e docili le leggi positive, i precetti della chiesa, ma non dimentichiamo quella legge da Dio scritta nel cuore d’ogni uomo: quelle bisogna osservare e questa non omettere! Solo la fede che porta di purezza a purezza maggiore, che dona spirito di sacrifizio e d’amore, che trasforma l’uomo, solo questa fede è fede che salva: invochiamola da Dio... e speriamo che anche noi un giorno si possa udire la dolce parola di Gesù all’uomo di Samaria: La tua fede ti ha salvato!



Il Municipio di Milano ha ordinato 150 abbonamenti per distribuire in tutte le scuole i fascicoli dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI.



L’Eucaristia e la Consacrazione degli Altari

Curiose pratiche della Chiesa medioevale


(Continuazione e fine, vedi n. 24).


Particolarmente interessante è il commentario di Lyndwode su questa prescrizione e giova citarlo tutto. Si vedrà come egli paia, per quanto uomo dabbene ed esemplare, che disapprovi l’idea di conservare il Santo Sacramento a scopo di divozione, e tuttavia egli visse meno d’un secolo prima della Riforma. Omisi varii accenni ai Canonisti e al Corpus Juris che servirebbero solo a imbarazzare l’argomento. Lyndwode commenta le parole loco reliquiarum.

Invece di Reliquie: Senza di cui gli altari non sarebbero consacrati. Se pure un altare fosse consacrato senza reliquie, secondo Hugh, la consacrazione è valida. Però colui che consacra senza reliquie, opera male, beninteso nel supposto che potesse fare diversamente come ordina l’Arcidiacono. Quindi, per quanto le reliquie non siano essenziali nella consacrazione d’altare, finora, dove non si può avere reliquie, taluni costumano mettere invece di quelle il Corpo di Cristo; e questo, secondo l’insegnamento di taluni dottori, dovrebbe praticarsi anche se le reliquie si trovassero. Intanto, benchè questo possa essere vero riguardo alla consacrazione di chiesa, non lo credo altrettanto vero per consacrazione d’altare, cioè, che il Corpo del Signore debba riporsi nell’altare in luogo di reliquie benchè l’opinione comune sia contro di me. La mia ragione di dir questo la si può trovare nell’Ostiense. Di più, una seconda ragione è che il Corpo di Cristo è cibo della anima. Inoltre, che Esso non dovrebbe conservarsi solo per gli ammalati. Ed Esso non dovrebbe essere usato ad altro scopo all’infuori di quello per cui fu istituito, perchè dovrebbe essere mangiato. Dove Egli dice: Prendete e mangiate non dice già prendete e conservate e seppellite. E l’istesso viene da altri testi del Corpus Juris. Ma che il corporale o parte di esso debba usarsi nella consacrazione di un altare invece di reliquie, non implica assurdità, come è chiaro.

La Summa dell’Ostiense, cioè del cardinale Enrico de Bartolomeis citato dal Lyndwode dichiara che lui, l’Ostiense, consultò il Papa (Innocenzo IV) sull’argomento dell’impiegare l’Eucaristia nella consacrazione degli altari, e che il Papa, dopo presa l’opinione del Patriarca di Costantinopoli e del Vescovo di Motula capitati in visita alla Corte papale di Lione, dichiarò che il S. Sacramento non si dovea usare in luogo di reliquie.

A dispetto della decisione di Innocenzo IV, sembrerebbe che la sacra Ostia ancora la si riponesse negli altari; ed è piuttosto interessante notare, dietro un curioso esempio di Barcellona di cui mi credo possedere abbondanti particolari, che quando il culto extra-liturgico del S. Sacramento divenne più famigliare, la mente del popolo respingendo l’idea di reliquia dall’Ostia collocata entro l’altare, si volse al concetto che la Santa Eucaristia era conservata là come in un tabernacolo alla venerazione dei divoti.

Parrebbe che la Compagnia dei Calzolai, nota col titolo di Compagnia di S. Marco a Barcellona, si accorse, qualche volta nel 1484, dell’esistenza di un documento che testimoniava come nell’altare della Cappella della loro Compagnia, era stata deposta [p. 198 modifica] cinquant’anni innanzi un’Ostia consacrata, e insieme certe reliquie di S. Andrea e la solita attestazione in pergamena. Per cui indirizzarono una petizione al Vicario Generale nella quale, come apprendiamo, essi domandavano


che volesse aprire o indurre ad aprire una certa cavità quadrata praticata sotto la tavola dell’altare di detta Cappella di S. Marco, nella quale cavità, a tenore di un istrumento composto e sigillato.... vi era riposto il Corpo di nostro Signor Gesù Cristo e con Esso, alcune altre reliquie di Santi.


Per qualche ragione che in nessun modo figura nei documenti, il Vicario Generale credette conveniente accedere a questa petizione; e ne ebbimo un elaborato e prolisso ragguaglio steso da notaio, nella fraseologia la più propria di scritti legali, che ne descrive tutto il processo. La cavità venne aperta alla presenza di taluni canonici, e oltre le reliquie di S. Andrea e la pergamena d’attestazione, vi si rinvennero dei corporali di lino entro cui stava un’Ostia consacrata, spezzata per la compressione di altri oggetti e annerita dal tempo. I canonici avendo consultato sul da farsi nei riguardi dell’Ostia, unanimi furono d’avviso di conservarla nella Sagrestia della detta cappella e che delle lampade vi restassero accese finchè altra decisione non venisse presa. Eventualmente si era stabilito che un prete, certo Pietro Turrubia dovesse consumare l’Ostia e ne consacrasse un’altra da porre nella cavità al posto di Essa. Tutto ciò fu compiuto debitamente e le reliquie tirate indietro, ma il ragguaglio continua in un modo curioso:


E per coprire le dette reliquie, si fissò con serratura una lastra di ferro sopra la detta cavità nella pietra del sopramenzionato altare, e la chiave il detto onorevole signor Giovanni Andrea Sorts, Vicario, come sopra è dichiarato, la affidò al detto venerabile signore Pietro Laupert, e per l’autorità del suo ufficio ingiunse e comandò al detto Rettore ed altri (nominati)..... che nelle principali feste d’ogni anno, cioè Natale, Pasqua, Pentecoste e l’Assunzione della Beata Vergine Maria, vedessero di consumare la detta Ostia e rinnovarla..... o in altre parole, sostituissero nella stessa custodia un’altra Ostia di fresco consacrata, rimettendola nel posto suddetto nel modo e nella forma già descritta.


Qui adunque vediamo che il sepolcro o confessione1 dell’altare colle sacre cose contenute, è così trasformato in specie di tabernacolo, in cui il Santo Sacramento veniva rinnovato pressochè ogni tre mesi. Ma tutte le circostanze del caso, come sono ricordate nel ragguaglio ufficiale, sembra dimostrino chiaramente che esso non era comune affatto, e che le autorità consultate furono tratte fuori di strada interpretando conforme loro proprie vedute questa pratica insolita d’un’Ostia seppellita.


Trad. di L. Meregalli dal The Month (ottobre 1908) gentilmente autorizzata.

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(Continua)

Totale L. 6522 —


Il Conte PIERO GORI


Dopo una penosa alternativa di speranze e di delusioni, il Conte Piero Gori Panigarola è spirato mercoledì nel suo castello di Jerago.

Si può dire che la vita del Gori fu tutta consacrata ad opere patriottiche e di carità.

In età ancor fresca egli fu nella Colonia Eritrea coll’obbiettivo speciale di studiare il problema delle Missioni, da lui poi sempre sostenute nel Consiglio amministrativo dell’Associazione Nazionale di soccorso ai Missionari Cattolici Italiani.

Il Gori fu anche consigliere della Provvidenza Materna in soccorso delle puerpere povere; ma la carica che esaurì maggiormente le sue energie fu quella di assessore del Municipio di Milano, nel riparto della anagrafe, dov’egli portò notevoli miglioramenti specialmente d’indole morale, come, per esempio, l’ufficio pietoso d’indurre a domicilio le madri illegittime, colla voluta delicatezza, a riconoscere le loro creature.

Laureato in legge, il Gori occupò anche la carica di giudice conciliatore, e appartenne pure al Consiglio della Società per le esplorazioni geografiche. Sono trascorsi pochi mesi dacchè egli veniva chiamato a far parte del Consiglio d’amministrazione degli Ospedali Fatebenefratelli.

L’ultimo lavoro del nostro amico fu un carteggio patriottico, pubblicato nella Rassegna Nazionale.

La dote caratteristica del Conte Gori era quella preziosa della bontà, una bontà che suscitava affetto in quanti lo avvicinavano.

È scomparsa così un’altra figura gentile del patriziato milanese, una figura che impersonava le più belle virtù famigliari, religiose e civili.

Esprimiamo qui le più vive condoglianze alla desolata vedova, la gentile e buona Contessa Maria Gori Besini, la quale troverà conforto nelle memorie di una vita esemplare, nel compianto di tutti e nel sorriso della diletta bambina, che nel ricordo ingenuo dell’amatissimo perduto, tergerà le sue lagrime.

A. M. C.

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NEL TRIGESIMO DELLA MORTE

di

Giuseppina Boselli ved. Pedrotti


In queste pagine amiche, solite a rammentare chi fece del bene, non può mancare un ricordo, un saluto affettuoso all’anima eletta di Giuseppina Boselli vedova Pedrotti, che la vita intera consacrò alle opere di beneficenza.

Adempiendo alla lettera il detto evangelico: — Se hai due vesti, danne una a chi non ne ha — Ella visse nella privazione non solo del superfluo, ma quasi anche del necessario, pur di soccorrere più generosa tutti quelli che a Lei ricorrevano.

Nessuno può conoscere il numero dei poverelli che, battendo alla sua porta, non se ne partirono mai delusi, e neppure si contano le istituzioni benefiche, gli istituti religiosi da Lei specialmente assistiti; ma solenne testimonianza del bene grande elargito Le fu dato nel concorso ai funerali de’ suoi beneficati che resero così il dovuto omaggio a questa esistenza nascosta, trascorsa tutta nell’operare il bene.

D’ingegno pronto e di una tempra fortissima fisica e morale, la morte, a 85 anni, non la colse nè vecchia nè stanca; ma rassegnata alle ultime dolorosissime sofferenze, si addormentò tranquilla nel bacio di Cristo. Memoria tanto preziosa resti dunque tra noi, e ne inciti l’esempio! Quanto bisogno, ai giorni nostri, di queste anime veramente forti e generose! Troppo spesso la carità rifulge sotto sembianze mondane, ed è così dimenticato il precetto divino: Non sappia la destra ciò che dà la sinistra.

Ma Tu, Anima buona, avrai ora nel Cielo la mercede promessa al servo fedele, ed anche quaggiù il Tuo nome resterà a tutti sempre caro e benedetto.

E. V.

Note

  1. Il Pontificale di Lansdowne che ultimamente avrebbe derivato talune sue rubriche del prototipo Pontificale di Egbert, parla sempre di confossione (o luogo di seppellimento) invece di confessione. Ai doti di antichità cristiana e di liturgia, discutere e sentenziare quale delle due espressioni dovrebbe prevalere; e se dobbiamo continuare a ritenere che la Confessione sia sempre una cripta sotto l’altare dove giaciono reliquie di Confessori di Cristo.