Il buon cuore - Anno IX, n. 44 - 29 ottobre 1910/Beneficenza

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Beneficenza

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Il buon cuore - Anno IX, n. 44 - 29 ottobre 1910 Educazione ed Istruzione

[p. 345 modifica]Beneficenza


I Coloni italiani

nelle Fazendas dello Stato di S. Paolo del Brasile



Lo Stato di S. Paolo nel Brasile, più di ogni altra regione transoceanica può dirsi redento dal lavoro Italiano: il sudore ed il sangue dei nostri lavoratori hanno letteralmente bagnate le terre delle sue fazende, esso è stato il teatro delle scene più tragiche e dolorose dell’emigrazione Italiana: tristi vicende da molti anni pesano su quella terra e vi coinvolgono una popolazione italiana di circa un milione di individui.

La fazenda è l’unità economica del sistema di coltivazione dell’immenso territorio Paulista, coltivato quasi esclusivamente a caffè.

Quando il Brasile, abolita la schiavitù, con legge 13 maggio 1888, volle dare un potente incremento alla produzione nazionale, si rivolse agli Stati Europei più densi di popolazione, per averne le braccia da sostituire: e nella fretta di popolare si servi di tutti i mezzi possibili per attrarre immigranti. Lo Stato di S. Paolo spiegò un’attività speciale in questa ricerca di uomini e mediante uffici di propaganda, viaggi gratuiti ed altri mezzi efficaci, trovò nell’Italia, quasi totalmente, la massa di coloni che gli abbisognavano. A migliaia i nostri Italiani, invasi dal desiderio della fortuna che si faceva loro intravedere nell’America sconosciuta, si riversarono in quello Stato.

Era il tempo in cui il caffè costava caro ed il prezzo di vendita permetteva ai proprietari di retribuire i coloni con salari che davano loro modo di metter da parte del danaro.

Ma, dopo alcuni anni, l’enorme aumento di produzione determinò un disastroso rinvilio nel prezzo di quella derrata, che in breve volger di tempo discese da circa 8o lire l’arrobba di 60 chilogrammi alla media di 35 a 4o lire. I fazendeiros colpiti nell’unica risorsa economica, si videro costretti a diminuire i salari, non poterono più pagare puntualmente e le conseguenze pei nostri coloni furono tristissime.

Anche ai tempi in cui il caffè aveva un valore elevato, la condizione dei coloni italiani non era quella ideale, perchè nella fazenda essi erano semplicemente salariati, con stipendio assegnato secondo diversi sistemi, sia a cottimo sia a giornata, raramente a mezzadria, sempre in condizione precaria, sottoposti ovunque ad una disciplina, che rendeva evidente il fatto che essi sostituivano là gli schiavi liberati: ma col sopravvenire della crisi, dileguata la possibilità di ogni risparmio, che poteva in certo qual modo compensare la durezza del vivere e simili sacrifizi, cominciò per essi un’esistenza oltremodo penosa.

L’impossibilità materiale nei fazendeiros di retribuire regolarmente, anche in minima misura, i coltivatori, ed insieme la necessità, per salvare le loro proprietà dalla completa rovina, che non fossero da quelli abbandonate, fecero loro mettere in opera mezzi leciti ed illeciti per trattenerli nei fondi: ingiustizie, crudeltà, barbarie ed episodi della più dura servitù, si ebbero a danno dei poveri Italiani: fatti da non credersi, ma che furono resi possibili dalla ineluttabilità delle tristi condizioni economiche, verificatesi in un paese civilmente arretrato, dove mancavano leggi civili e la possibilità di farle rispettare, dove la classe dei fazendeiros aveva la padronanza assoluta su tutta la popolazione, e deteneva quasi esclusivamente il potere di governo.

Fu nel 1902 che il nostro Governo, impressionato di tali miserevoli condizioni, su cui riferivano chiaramente, con amare parole, i nostri Consoli in quel paese, impotenti a qualunque opera di assistenza o di repressione, e specialmente dalla relazione dell’Ispettore Adolfo Rossi, espressamente inviato colà, emise il decreto che porta il nome del Ministro Prinetti, col quale si vieta il trasporto gratuito o sussidiato di emigranti pel [p. 346 modifica] Brasile, allo scopo, se non di migliorare le condizioni di quelli che già vi erano, almeno di impedire che altri Italiani ne rimanessero vittime.

Il decreto ebbe l’effetto voluto, perchè l’emigrazione per il Brasile andò a poco a poco scemando, fino a ridursi ad esile vena: ma la crisi pesa tuttora sullo Stato di S. Paolo, per la ragione principale che la cultura caffeifera invece di diminuire si è andata sempre estendendo.

Le relazioni dei Consoli e degli Ispettori, che si sono succedute in questo tempo, hanno illustrato le condizioni dei nostri connazionali: non v’è dubbio che esse sono ora alquanto migliorate, ma il miglioramento è solo parziale, in determinate regioni ed in determinate fazende.

Conseguenza della crisi è che tre quarti dei fazendeiros hanno la proprietà ipotecata, e sovente l’interesse annuo dell’ipoteca assorbe quasi totalmente il reddito della fazenda, così che in generale, per non dichiarare fallimento, si rifanno sui coloni, angariandoli in mille modi: li pagano in natura falsificando le misure, impongono loro multe fortissime, arbitrarie, senza ragioni plausibili, li obbligano a fornirsi di tutto ciò che può loro occorrere, nelle vendas padronali, nelle quali spacciano generi scadenti a prezzi esagerati, li costringono a vendere a loro i prodotti, che comprano a prezzi irrisori.

Oltre queste ed infinite altre ruberie, cosa comunissima è il non pagare ai coloni i magri crediti che loro restano dopo tante falcidie: perciò ogni anno si verifica un esodo non indifferente di coloni dallo Stato, sia rimpatrianti, sia diretti all’Argentina: esodo che sarebbe enorme, se i fazendeiros non si valessero del sistema di non soddisfare tali debiti, allo scopo di trattenere i coloni di cui essi hanno estremo bisogno, per non vedere annientato del tutto il valore delle loro proprietà.

Tali condizioni si verificano un po’ dappertutto, più tristi nelle regioni più lontane dai grandi centri, specialmente nel territorio di Riberao Preto, meno gravi in quello di Campinas e di Rio Claro: ma più che dalle regioni dipendono dalle varie fazende, dimodochè accanto ad una in cui le condizioni dei contadini sono discrete, se ne trovano di pessime, e ciò, evidentemente, per i sistemi con cui sono governate.

Un miglioramento, abbiamo detto, si nota in tutto lo Stato, ed è dovuto al fatto che a poco per volta si produce un selezionamento di fazende; quelle più indebitate cadono, frequenti sono le aste, nelle quali tali vasti possedimenti sono suddivisi e sovente acquistati a prezzi moderati da coloni italiani che dispongono di qualche risparmio: quelle rimanenti, dall’esempio traggono avvertimento per modificare i sistemi in modo più confacente agli interessi dei coloni: in molte fazende già da tempo si permette la coltivazione fra i filari del caffè, di fagiuoli, di cereali, e di altri prodotti che occorrono alle famiglie, ed in vari luoghi si assegna a queste anche qualche pezzo di terra da coltivare per conto proprio, dove possono altresì allevare dei capi di bestiame.

Ve ne sono di queste, in cui i coloni interrogati, si

dichiarano soddisfatti: il Rev. D. Luigi Marzano Ispettore dell’Italica Gens, ritornando testè da un viaggio nello Stato di S. Paolo, che egli già conosceva anteriormente, ci portava come esempio di buona fazenda quella di S. Geltrnde, di proprietà del Conte Edoardo de Prates, situata nel municipio di Rio Claro, a due chilometri dalla stazione ferroviaria.

La sua estensione è racchiusa da un perimetro di circa 30 chilometri, e vi si coltivano 950.000 piante di caffè, le quali producono in media da 100 a 120 mila arrobbas all’anno.

Vi risiedono 1596 persone, distribuite in 172 famiglie di coloni, in grande maggioranza italiani, 20 famiglie di operai, ed altri impiegati.

I coloni ricevono 70 milreis ogni mille piante di caffè che hanno in cura, più 500 reis ogni alqueire di caffè prodotto. Oltre che della casa, essi usufruiscono di terreno ad uso di pascolo, e di altri appezzamenti per coltivarvi generi pel consumo della famiglia.

Nella fazenda si esercitano industrie attinenti all’agricoltura, vi è allevamento razionale di buone razze di bovini e di cavalli, vi è una segheria di certa importanza, per il legname.

I progressi tecnici moderni vi sono conosciuti ed applicati: un motore elettrico della forza di 110 HP fornisce forza e luce nelle case e negli stabilimenti.

In questa fazenda non sono discrete solamente le condizioni materiali, anche le esigenze di educazione civile e morale non sono trascurate: i sentimenti religiosi dei coloni sono rispettati; vi è una cappella, nella quale si fanno le funzioni religiose regolarmente; vi sono le scuole maschili e femminili, nelle quali i fanciulli apprendono la lingua italiana.

Nessun lamento ha luogo per mancanza di puntualità nei pagamenti, nessuna angheria si commette a danno dei coloni, i quali sono trattati con giustizia e benevolenza: al di fuori di qualsiasi legge, adeguati risarcimenti sono concessi ai lavoranti che rimangono vittime di infortuni sul lavoro: il Rev. D. Luigi Marzano ci portava a questo proposito, l’esempio di una vedova, cui il marito era morto per un accidente incorsogli nell’esercizio del suo mestiere, ed alla quale dall’amministrazione della fazenda, era stato conservato il posto che quegli occupava, ed agevolata la vita, che la disgrazia avrebbe resa difficile.

L’importanza di queste manifestazioni di elevazione civile e morale è tanto maggiore in quello Stato, dove in generale i nostri coloni, anzichè innalzarsi, scendono un gradino della scala della civiltà. Diceva giustamente l’ing. Coletti nella sua relazione comparsa nel n. 14 del Bollettino dell’Emigrazione del 1908, che a nel nostro colono in fazenda si svolge un fatale processo di decadimento intellettuale causato dall’isolamento e dalla rustichezza della vita. Nelle farms del Far West si tien vivo lo spirito dei coloni coi giornali e con le biblioteche circolanti. Qui invece, l’analfabetismo primordiale del colono esclude ogni ulteriore processo educativo; havvi anzi una degradazione procedente dal padre andato in fazenda al figlio che vi è nato e cresciuto, fuori di qualsiasi influenza educativa, come [p. 347 modifica] la scuola, la chiesa, l’esercito, la vita pubblica; cosicchè la mente del colono si restringe sempre più all’ambiente delle necessità materiali domestiche ed alla non meno materiale aspirazione, di possedere un risparmio infruttifero e di dubbia custodia nel fondo del pagliericcio.

«Questo decadimento si aggrava nella rigida disciplina della fazenda e precipita in una forma primitiva, la paura, qualora alle altre circostanze sfavorevoli si aggiunga l’arbitrio dell’amministratore o del padrone.

«Ricordo, egli dice, gli sforzi compiuti presso gli uffici consolari o di patronato per farmi comprendere da coloni, dei quali parlavo lo stesso dialetto, il veneto; un vero regresso mentale si opera nei cervelli».

Facendo quei favorevoli apprezzamenti, rispondenti a giustizia, circa la fazenda S. Geltrude, noi non intendiamo affatto di rompere un’asta in favore del sistema delle fazende, quale condizione da desiderarsi alla nostra emigrazione. Noi crediamo che l’emigrante italiano il quale va a lavorare nelle fazende, in condizione sempre incerta e precaria, fallisca allo scopo che egli si propone lasciando la patria, quello cioè di farsi una posizione sicura ed agiata. Noi, che vedremmo volentieri tolto il decreto Prinetti riguardo ad alcuni Stati meridionali del Brasile, come ad es.: Santa Catharina e Rio Grande do Sul, crediamo che esso debba esser mantenuto per lo Stato di S. Paulo, per più ragioni, ma specialmente per il regime della fazenda che predomina in quello, mentre per il nostro emigrante il sistema della libera colonizzazione, che lo conduce all’acquisto pronto della terra che coltiva, è la via maestra per un prospero avvenire.

Approvando ciò che si fa di buono per i coloni nella fazenda di S. Geltrude, noi non pensiamo, neanche lontanamente, alla convenienza di indirizzare in quelle regioni ed a simili imprese agricole, nuovi coloni dalla Italia; ma citandola ad esempio, noi ci preoccupiamo della numerosissima popolazione di connazionali che abbiamo nello Stato di S. Paolo, pensiamo a quegli emigranti che, per ignoranza o per cattivo consiglio vi si recano, e vediamo nei metodi in quella seguiti un avvio al miglioramento delle condizioni di centinaia di migliaia di coloni italiani.

Altre fazende vi sono, similmente buone, nelle quali i coloni sono civilmente trattati ed educati, e dove possono trovare gli elementi di una futura condizione indipendente; e noi pensiamo che oltremodo opportuna sarebbe una cernita di queste dalle fazende tenute da proprietari inumani e cattivi pagatori.

Noi speriamo che l’Italica Gens, specialmente a mezzo dei segretariati e dei corrispondenti di quei paesi, possa presto provvedere ad illuminare con sicure informazioni in proposito i coloni che, abbandonata una fazenda perchè cattiva, ne cercano altra, avendo tutta la probabilità di capitar peggio. Speriamo che questa Federazione possa presto dar consiglio anche a quelli che arrivano di fuor dello Stato, perchè nonostante che apparentemente sia stato soppresso il turpe mercato che di essi si faceva negli infausti androni dell’«Hospedaria» di San Paolo, mediante l’istituzione per parte di quel

Governo di una nuova «Agenzia ufficiale di collocazione e lavoro», tuttavia ad essi mancano sempre gli elementi essenziali per giudicare del contratto che stanno per fare, e sono alla completa mercè dell’agente corretore, che in sostanza ha preso il posto e la funzione dell’antico arruolatore: egli non dà informazioni veritiere sulle condizioni delle fazende; suo scopo non è quello di avviare bene il colono, ma quello di far l’interesse dei padroni richiedenti, senza distinzione di sorta.

Un’opera di coscienziosa informazione può essere certamente provvidenziale, e può contribuire efficacemente ad un più sollecito miglioramento delle condizioni dei nostri concittadini; essa deve costituire una specie di boicottaggio contro i fazendeiros che intendono di trattare i coloni come gli schiavi: così essi vedranno disertati i loro fondi, e dovranno per forza adottare i sistemi che sono imposti dai principi più elementari di civiltà.

Ciò è necessario anche per la reputazione e per il rispetto del nostro paese; gli Italiani, a detta di tutti coloro che ne conoscono le condizioni nelle fazende, si assoggettano colà a privazioni ed a mali trattamenti che in patria non sopporterebbero, essi conducono sovente laggiù, una vita ben più misera di quella che gli offrirebbe il suolo italiano: ciò fa credere ai Brasileni che l’Italia sia un paese di poveri affamati, i quali abbisognino assolutamente del Brasile per vivere: bisogna invece che comprendano che i lavoratori italiani sono più necessari alla loro terra, che quella ad essi.