Il buon cuore - Anno X, n. 12 - 18 marzo 1911/Educazione ed Istruzione

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Educazione ed Istruzione

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Beneficenza Religione

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L’ARTE IN UNA CITTÀ DI ROMAGNA


Impressioni di Fra Paolo Mussini


Padre Antonio, guardiano dei cappuccini di Faenza, mi scrisse: Frate Paolo, nella chiesa del nostro convento sull’altare maggiore eravi una volta la Madonna dei Cappuccini di Guido Reni, che il nobil uomo Vincenzo Serpa di Bologna, fattosi cappuccino e chiamatosi Frate Illuminato da Bologna, fece dipingere al celebre maestro per noi. I cappuccini e il popolo di Faenza sempre amarono il capolavoro di Guido che per duecentocinquantatre anni abbellì la nostra chiesetta e per la quale il maestro, studiandone le condizioni di luce e di ambiente sul posto, lo dipinse. Ma venne il 1866, fummo dispersi dalla legge di soppressione, e il bel quadro, rapitoci con tutte le cose nostre, fu strappato alla nostra chiesetta e al popolo che lo venerava e rinchiuso nella pinacoteca comunale in pessima luce: là il popolo non ci va, perchè davanti alle belle Madonne e ai Santi austeri più non può pregare!.... Nel 1874, ricomprato quel che potemmo, per carità di popolo, delle cose nostre è ricostituito il convento, non però ci riesci ad avere la nostra cara Madonna con San Francesco pregante e Santa Cristina vergine martire. Vi sostituimmo alla meglio una vecchia copia annerita e sgretolantesi; ora nemmeno vale più la pena di tentare a restaurarla: noi vorremmo al suo posto un quadro nuovo, non copia dell’antico ma originale, pure collo stesso soggetto. Frate Paolo, fateci la carità di dipingerlo voi.

Io risposi: — Non è facile sostituire degnamente un quadro di Guido, ma farò come meglio saprò, cercherò di fare cosa non indegna; voi però oltre alle spese vive necessarie al lavoro, trovatemi fra il buon popolo faentino un po’ di aiuto per la mia chiesetta di Quintodecimo; questo è il compenso che vi chiedo, e promettetemi anche, se l’opera mia vi sarà cara, di difenderla per quanto potrete dai futuri rapinatori, chè a me non piace dipingere per le necropoli dove le opere d’arte stanno sepolte e mummificate e il popolo non ci va, perchè l’anima sua non più vi sente cantare nella bellezza dell’arte la gloria di Dio.

E così venni la prima volta, alla città di Evangelista Torricelli, alla gentile Faenza, la cui anima artistica ancora ci sorride nelle belle maioliche del rinascimento.

E conobbi Padre Antonio dall’aspetto patriarcale, popolarissimo, poichè egli ha per tutti un lieto sorriso e una buona parola, un conforto e un consiglio. È di quegli uomini non rari fra i cappuccini, che sanno il secreto di farsi amare e di fare amare l’Ordine dei poverelli di San Francesco dal popolo, e riescono simpatici pure a quelli che di frati più non vorrebbero sentire parola!... Ha pure questo piacevole frate lo spirito di antico mecenate; ogni sua cura infatti, è rivolta [p. 91 modifica]da anni ad abbellire col sorriso di un poco d’arte l’umile chiesetta del convento. Se il buon Padre ancora non ha potuto donare alla sua chiesa un capolavoro come quello che già ebbe di Guido, non certo è sua colpa, ma dei tempi poco propizi all’arte. Egli ha fatto del suo meglio, e il popolo Faentino lo ha sempre aiutato con grande slancio; più di un giovine artista ha trovato in lui aiuto e incoraggiamento: la bella cappella del Crocifisso sta a testimoniare quanto zelo pel culto quale amore dell’arte animi il buon Padre Antonio. Un artista Faentino, morto giovine, a 43 anni, Tommaso Dal Pozzo, ne fece i disegni, ne condusse la costruzione, la decorò e la dipinse. Non ha fatto un capolavoro; è un’opera modesta e bisogna essere indulgenti a chi con tanta buona volontà, senza maestri e senza uscire dal ristretto ambiente provinciale, ha saputo dare assai belle speranze di sè con questo e con altri onesti lavori. Qualche cosa di timido e di incerto evvi di solito nell’opera di questi artisti che non riescono a uscire dalla ristretta cerchia dell’ambiente natale, e così è stato in tutti i tempi. Curioso anzi e interessante sarebbe lo studiare come e per quali fasi sia passata l’arte sempre alquanto arretrata di questi piccoli centri. Dopo la splendida fioritura del rinascimento, pare che un eclissi totale si adombri per lungo tratto di tempo; ogni tanto uno sprazzo di luce; qualche grande artista della decadenza vi porta una sua opera; poi un affannarsi in penose imitazioni senza personalità. Pare che colla fine delle libertà comunali anche l’anima artistica popolare siasi spenta lentamente. I rari germogli intristiscono, muoiono o si deformano nella volgarità più commerciale.

Così a Faenza l’arte delle maioliche, famose da troppo tempo, è ben morta; gli sforzi dei maiolicari del passato secolo e dell’attuale, non ostante le formali abilità tecniche, non hanno saputo vivicarla; se ne volete la prova palpabile e sconfortante, recatevi al civico museo e di fronte alla piccola ma interessante raccolta delle maioliche del rinascimento, osservate la petulante volgarità vana e chiassosa della più recente produzione nella stessa sala espostavi: il confronto è schiacciante, tutte le più complicate difficoltà del mestiere sono superate, ma nessuno di quei cocci dipinti riesce ad attingere le soglie dell’arte.

Così nella scultura Faenza può con legittimo orgoglio far vedere alcuni capolavori di Donatello, di Jacopo della Quercia, di Begarelli, di Benedetto da Maiano e di Duccio, ed ha pure alcuni artisti locali interessanti di valore, quali Pietro Barilotto e più tardi Paganelli; ma poi la scultura locale e importata annega nel più vieto e vuoto barocchismo, e gli sforzi accade. mici dei Graziani, del Colina, del Tomba nel secolo passato non riescono che ad una forma d’arte troppo aggraziata e snervata, degenerata ben presto nella mediocrità del mestiere.

Le chiese spaziose e non brutte, ma trasformate nei secoli meno buoni per l’arte, sono spoglie di belle pitture e di opere d’arte, raccolte in massima parte nell’attuale pinacoteca comunale. Ma ancora interessanti per diversi aspetti sono la Commenda e la Cattedrale.

La Commenda, detta anche Magione, coll’annesso fabbricato, già ospizio pei pellegrini, poi cenobio dei Cavalieri Gerosolomitani, è una antichissima chiesa assai mal ridotta dal tempo e dagli uomini, ma conserva, benchè in pessimo stato, un insigne capolavoro, nel grande affresco dell’abside, di Gerolamo da Treviso. Il Trevisano vi dipinse in trono una maravigliosa Madonna col putto e san Giovannino, due sante fiorenti di salute e di bellezza, come i due putti ignudi, ai lati, dietro una bella architettura con magnifico fondo di cielo e di paese e avanti in ginocchio la vigorosa figura del committente, il Cavaliere Frate Saba, forte in armi benchè non più giovine, giunge le mani pregando alla Vergine dall’aspetto imperiale, in alto il Padre Eterno benedice fra bellissimi puttini di paradiso, nel frontone e nei pilastri architetture ben dipinte e adolescenti con stemmi. Un brutto altare barocco copre troppo la bella pittura che non si può gustare a giusta distanza, affascinante però pur tra la polvere e le rovine accumulatevi dagli anni, solo vi irrita il vedervi le abbominevoli traccie di un preteso restauro perpetratovi da un impiastricciatore mandatovi dal ministero; costui vi ha in molte parti disteso un suo viscido cerume, che specialmente nelle teste col suo molle luccicore impedisce di bene osservare l’affresco. La bella cattedrale vastissima, dalle ampie navate divise da pilastri alternati a colonne, vuolsi architettata da Giuliano da Maiano e di Benedetto da Maiano è il finissimo deposito di S. Savino, ora collocato troppo in alto nella sua ricca cappella per poterne gustare i finissimi bassorilievi e per giunta malamente manomesso nella sua disposizione architettonica. Bellissima è pure nella cappella omonima l’urna di S. Terenzio, lavoro donatellesco, opera forse di Agostino di Duccio. Vi sono poi varie sculture assai belle di Pietro Barilotti ed altre barocche e più recenti degne di osservazione e pitture a fresco e quadri negli altari non ispregevoli, uno fra tanti di Innocenzo di Imola (1494-1550) per altro soverchiamente restaurato.

Ma occorre visitare la pinacoteca comunale per vedere quante e quali opere d’arte furono sottratte alle chiese e al godimento spirituale del popolo. Queste pinacoteche di provincia, così fredde e deserte, dove il popolo non va mai nemmeno quando l’ingresso è gratuito, e se da qualche circostanza vi è attirato, vi passa guardando distrattamente senza capire e senza commoversi, o pure vi si mette melensamente a far dei conti ed inchieste su quanto potrebbero costare in vile moneta sonante i cimeli d’arte accatastati e ben catalogati, che già nelle chiese avite commossero ed ispirarono l’anima dei padri.... Ma pur sono interessanti queste chiuse raccolte agli artisti ed agli studiosi che vi possono a loro agio studiare, ammirare e pensare a tante cose belle del passato e alle povere e laide del presente.

Ecco, entriamo. In una sala non grande, specie di tribuna dei capolavori, al posto d’onore, vi guarda la strana rigida figura di un antico anacoreta; i larghi [p. 92 modifica]piedi ben costrutti sembrano afferrare tenacemente le pietre su cui piantano a sostenere il corpo sfinito dagli anni; le gambe stecchite, sapientemente modellate, il torso alquanto ripiegato su sè stesso, l’un braccio regge un crocifisso a cui l’austera testa del Santo guarda pietosamente; coll’altro, un sasso nella mano, si batte il petto. È il San Giovanni del Donatello, mirabile scultura in legno alquanto deturpata da una monotona verniciatura e da un cencio ingessato inutile che gli fascia i fianchi; nella stessa sala l’arguto San Giovannino dal profilo fino e nervoso dì adolescente fiorentino dall’esile petto, in marmo, altro capolavoro di Donatello, poi due fiere piccole figure di santi di Jacopo della Quercia, una terra cotta di Andrea della Robbia, un’altra di Begarelli, due belle teste dipinte da Dosso Dossi malamente verniciate, una bella pietà di Melozzo da Forlì e lo strano e suggestivo trittico di quel Leonardo Scaletti così personale nella interpretazione delle sue figure, vi è un santo frate di una estrema magrezza che vi affascina per la penetrante espressione di misticismo e i quattro fanciulli musicisti attorno al trono della Vergine hanno movenze e attitudini insolite. Lo stesso Scaletti vi colpisce obbligandovi a fermarvi davanti al ritratto di Austorgio III Manfredi, biondo profilo di fanciullo aristocratico, ingenuo pur con aria di precoce sensualità.

Passando rapidamente pel grande salone dove troneggia la statua dell’accademico Minardi Faentino, cui i soci della venerabile accademia di San Luca vollero gratificare del magno titolo di principe dei disegnatori, vi si può osservare quanto malamente vi sia stato collocato il grande quadro di Guido Reni, già ai cappuccini, per altro abbastanza bene conservato, e nel quale la figura di San Francesco è un vero capolavoro di espressione e di pietà. Nello stesso salone emerge un vigoroso ritratto di Sebastiano del Piombo, alcuni del Bronzino, una «Salomè» attribuita al Tiepolo e molti altri quadri di varie scuole dal 1600 al XVIII secolo, poco visibili per la cattiva disposizione di ambiente di luce e resi ancor meno osservabili da una vera corazza di lucida vernice che non riesce a mascherare sufficientemente i larghi ritocchi dei soliti scorticatori e rabberciatori di antichità.

Più oltre un’altra bella sala vi rallegra con le tavole di Marco Palmezzano, di G. B. Utili, di Giovanni da Oriolo e di altri Faentini della rinascita, poi la sala delle ceramiche antiche e moderne alla quale accennai già e quella della collezione dell’intarsiatore Gatti, dai mirabili intarsi in avorio e pietre dure, artista veramente raro e prezioso che in fondo ai più brillanti minerali e alle più esotiche pietre sapeva leggere e scrutare i più profondi riflessi d’oro, di opale, di luce e di fuoco; vi sono anche alcune poche antichità di scavo con bei vetri iridescenti, e il museo Torriceliano con autografi e cimeli preziosi, e una sala dedicata alle memorie Faentine del risorgimento nazionale. Infine in un lungo corridoio, chiamato sala di Achille per una assai accademica e poco omerica statua di Achille del Colina Graziani, fra stampe di vario valore, alcuni disegni, parecchi quadri mediocri, qualche antichità Romana e medievale emerge il grande e bel gruppo in terra cotta di Alfonso Lombardi da Ferrara proveniente dalla soppressa chiesa di San Giovanni, rappresentante appunto San Giovanni Battista, la Madonna in mezzo e S. G. Evangelista, all’altro capo del corridoio alcune suggestive tavole di Pace da Faenza, e di altri giotteschi.

La rapida visita parrebbe finita, ma il custode vi avverte esservi pure una sala dell’arte moderna. Un freddo glaciale vi penetra fino alle ossa entrandovi. Assai disordinatamente vi sono accatastate opere del Minardi, del Piancastelli, del Graziani, del Colina, del Tomba ed altri più o meno insignificanti; vi domina una vasta copia su tela dell’affresco di Gerolamo da Treviso fatta eseguire, dicono, perchè ne resti memoria ai posteri quando l’originale della Commenda abbia a essere, Dio guardi! distrutto. Speriamo non abbia a succedere o quanto mai ne sia prima distrutta la copia, onde il buon nome» del Trevisano non resti calunniato!

Ma non tutto è mediocre in questa povera sala; vi ha una mezza parete innanzi alla quale è forza fermarsi colla stessa commozione quale suole provarsi innanzi a ogni opera di arte veramente vissuta e sentita dall’artista.

Sono i disegni di Baccarini, un giovine faentino morto or sono due anni, a soli 24 anni. Osservandoli, le lagrime vi vengono agli occhi e la parola vi muore in gola; questo fiore d’arte, sì presto reciso vi guarda disperatamente nei vari autoritratti dagli occhi ora profondi di tragico mistero, ora rilucenti di febbre bruciante, or mesti e fissi a un pensiero fuggente; ve ne ha uno nel quale il giovinetto disegnatore si è ritratto col violino in atto di sonare; e vi pare di sentirne i tremuli accordi, le note appassionate e laceranti, i trilli che fanno rabbrividire, la cavata lunga angosciosa; e il vostro occhio corre da un disegno all’altro come per leggerne la musica che vi canta nell’anima. Ecco i bei disegni ispirati alle fantasiose novelle di Beltramelli, ecco i notturni pieni di poesia, ecco il ritratto della madre, nel cui viso scarno e dolente scorgi le traccie del male che sì presto consunse il gracile figlio, ecco la piccola bimba graziosa e ignara, figlioletta dell’artista, e i rapidi schizzi nervosi e sapienti nei foglietti d’album e infine due medaglie e una targhetta in gesso, che vi dicono nella finissima e penetrante modellatura quale cammino avrebbe saputo percorrere nell’arte questo povero giovine. E quando avete osservato tutto questo, una idea vi viene spontanea. Non già in questa sala di confuse vanità d’arte mediocre sarebbe il posto poi disegni di Baccarini, ma là vicino ai soli e veri suoi fratelli in ispirito, tra Melozzo, Scaletti e Palmezzano, vicino a Donatello grande, a Jacopo della Quercia severo; questo forse avverrà quando i conservatori d’arte anzichè di impiegati burocratici, avranno animo d’artista.

Ma un altro bel sogno vagava nella mia mente uscendo da queste fredde sale. Pensavo di vedere l’antica chiesa della Commenda dei Cavalieri Gerosolimitani rimessa in onore, e su un altare, semplice e puro [p. 93 modifica]come quelli delle primitive basiliche, un bianco frate celebrare i riti divini, accompagnato dalle maestose e gravi polifonie gregoriane, davanti alla imperiale Madonna di Gerolamo da Treviso reggente il bel Bambino Gesù che sorride al florido San Giovannino tra le fiorenti vergini martiri e il vigoroso Frate Saba, forte in armi, pregante in ginocchio, mentre un piccolo chierico biondo e arguto come un fanciullo di Donatello versa al celebrante vino e acqua nel calice cesellato da ampolle di vetro iridescente come le antiche inimitabili fiale di scavo, da una parte su una artistica mensola di lapislazzolo il bel San Giovannino e dall’altra su un piedistallo di fiorite dai riflessi di fuoco l’austero San Girolamo di Donatello, e lungo le severe pareti le belle pale in tela o in tavola di M. Melozzo, di Leonardo Scaletti, del Palmezzano, di Giovanni da Oriolo, e di Pace da Faenza e le fiere sculture di Jacopo della Quercia e qualche bel fregio di antiche majoliche faentine, e il popolo acccompagnare i riti e il canto guardando estatico e commosso alle splendide espresssioni dell’arte, pèr leggervi il poema della bellezza eterna creatura di Dio.

Faenza.

Frate Paolo Mussini.


COMITATO DI PORTA VITTORIA

«Pro» S. Pietro in Gessate

La Chiesa di San Pietro in Gessate — Monumento Nazionale — per vicissitudini di tempi e guaste concezioni di uomini — ebbe deturpate, come ognun vede, le originali linee artistiche decorative.

Ora, col novello rifiorire del giusto amore per l’Arte, Milano sente il bisogno di ridare ai suoi antichi Monumenti il nativo splendore di architettura e di forma.

Un Comitato Cittadino di egregie persone ha già lanciato un appello per raccogliere mezzi che affrettino i ristauri di San Pietro in Gessate. Questo Comitato ottenne adesioni ed offerte da Sua Emin. il Card. Arcivescovo; — dalla Autorità Comunale; — dall’Ufficio Reg.le dei Monumenti; — dall’Economato G.e dei B.ci V.ti; — e da alcuni privati. Si deve poi aggiungere la generosità del compianto signor Luigi Belloni, capo mastro, che disponeva un legato in favore dei progettati restauri, legato che potrebbe mancare se coll’11 ottobre 1911 non fossero iniziati i lavori.

Non era giusto che avesse a disinteressarsi per tale degna iniziativa il Quartiere di Porta Vittoria, dove il Monumento sorge e che mostra di vigilare con tanto orgoglio un altro Monumento, il Trofeo dei Martiri delle Cinque Giornate.

Ecco quindi la ragione di un Secondo Comitato «Pro» S. Pietro in Gessate che si è costituito nel rione di P. Vittoria, per aderire agli intenti artistici del Primo.

Il programma di questo Comitato, poichè si tratta di una Chiesa artistica, Monumento Nazionale, che serve ai nostri Martinitt, avrà una larga manifestazione, inspirandosi ai due più nobili sentimenti: amor di Religione — amor di Patria.

Il Comitato «Pro» S. Pietro in Gessate, si fa ora promotore di una grandiosa Pesca di Beneficenza che si terrà nei giorni commemorativi delle Cinque Giornate 18, 19, 20, 21, 22 corrente, dalle ore 13 alle 20, nel Teatro dell’Orfanotrofio Maschile (Salone dei Benefattori), Corso di Porta Vittoria N. 31, gentilmente concesso dall’On. Consiglio degli Orfanotrofi e del Pio Albergo Trivulzio.

Presto s’innalzeranno i ponti davanti alla fronte che segnerà l’inizio dei lavori su un progetto di massima, già studiato dal nostro Arch. Cav. Diego Brioschi e premiato a Brera al Concorso Gariboldi. Così i ristauri artistici di questo Monumento Nazionale accresceranno decoro al Quartiere di Porta Vittoria ed alla Città.

Il Comitato promotore fa sicuro assegnafnento sulla generosità dei Milanesi.


COMITATO PROMOTORE



Presidenza d’Onore.

Barbiano di Belgioioso d’Este Principe Emilio — Gentiluomo di Corte di S. M. la Regina Madre.

Resta Pallavicino Marchesa Fulvia.

Sormani Andreani Conte Pietro — Senatore del Regno.

Cicogna della Somaglia Contessa Luisa.

Taverna Conte Lodovico — Deputato al Parlamento.

Grella Sac. Giuseppe — Proposto Parroco di S. Maria della Passione.

Fabbriceria Ven. di S. Maria della Passione.

De Capitani d’Arzago Nob. Comm. Giuseppe — Presidente dell’Orfanotrofio Maschile.

Radice Fossati Crespi Pia.

Baslini Avv. Antonio — Deputato al Parlamento.

Commissione effettiva maschile.

Presidenza:

Grella Sac. Giuseppe, Preposto Parroco.

Radice Fossati Dottor Luigi.

Vice-Presidenza:

Pecoroni Sac. Antonio.

Zanaboni Cav. Uff. Luigi.

Cassieri:

Corba Alessandro.

Gatti Antonio.

Segretari:

Pellegrini Ing. Antonio.

Raimondi Sac. Giuseppe.

Consiglieri:

Albertoni Conte Ing. Emerico.

Borgazzi Nob. Fratelli.

Gallinoni Rag. Prof. Angelo — Consigliere Comunale.

Gambusera Cav. Rag. Enrico.

Giovanelli Comm. Enrico.

Pesenti Ten. Colon. Francesco.

Pastalozza Ing. Antonio — Consigliere Comunale.

Pestalozza Ing. Gaspare.

Radaelli Ing. Guido.

Sala Fratelli.

Zanchetta Graziano.


Commissione effettiva femminile.

Presidenza:

Cicogna Della Somaglia Contessa Luisa.

Radice Fossati Pia.

Vice-Presidenza:

Anzoletti Luisa — Consigliera dell’Orfanotrofio.

Corti Della Silva Donna Maria.

Cassiere:

Bazzi Riboldi Amalia.

Bellosio Francesca.

Segretarie:

Perelli Bianchi Elvira.

Oliva sorelle.

Consigliere:

Belloni Biella Maria.

Ballerini Sorelle.

Brambilla Nob. Sorelle.

Brioschi Redaelli Carlotta.

Cappelli Sorelle.

Nicora Teresa.

Ossola Carla.

Pesenti di Marsciano Nob. Anna.

Pestalozza Fumagalli Cecchina.

Radaelli Brioschi Ernestina.

Viganò Bardelli Sorelle.

Kulczycki Corti Cont. Laura.


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NOTA BENE.


I.     — Ciascun Membro del Comitato è autorizzato a ricevere doni ed offerte.
II.   — Il Comitato accetta con riconoscenza «per la pesca» qualunque dono sia pur minimo: consiglia di mandare anche generi gastronomici ed offerte in denaro.
III. — I Nomi degli Oblatori di oggetti distinti; di numerosi capi (anche divario genere); delle offerte (da L. 5.— in sù); verranno comunicati ai giornali cittadini e si pubblicheranno in speciale bollettino a stampa che sarà poi distribuito.
IV. — Le offerte in doni e denari verranno registrate su appositi bollettari e scontrini (madre-figlia).
V.   — Il Comitato darà schiarimenti ed informazioni presso la sua sede: Via Bellini N. 2 (tutte le ore) — Piazza San Pietro in Gessate N. 1 (dalle 6 alle 12 — dalle 15 alle 18).
VI — Recapiti principali: 1. Pecoroni Sac. Antonio (Assistente), Piazza San Pietro in Gessate, 1; — 2. Direzione dell’Orf. Maschile, Corso di Porta Vittoria, 31; — 3. Fratelli Sala (Orticultori-Fioristi), Corso di Porta Vittoria, 41; — 4. Pestalozza Fumagalli Cecchiria, Via Guastalla, 5; — 5. Sorelle Ballerini (Mode-Ricami), Via Stella, 17; — 6 Carlo Perelli (Idraulico), Via S. Damiano, 18; 7. Casa Corti, Via Donizetti, 29; — 8. Casa Parrocchiale, Via Bellini, 2.

ATTESTAZIONI DI S. S. PIO X


I primi effluvi primaverili ci hanno sospinti ad una volata sul Lario dalle splendide cornici che incominciano a rinverdisi.

La notizia della sontuosa Chiesa che si sta erigendo a Cernobbio, ci ha indotti ad una sosta per ammirare la splendida opera architettonica già in buon punto e destinata certamente a suscitare ammirazione per il disegno della costruzione e per i particolari.

Il Santo Padre Pio X, saputo che l’effettuazione del progetto si doveva al munifico quanto modesto cav. Dell’Orto, per mezzo dell’illustre Dottore dell’Ambrosiana cav. Don Antonio Ceruti, che ora si concede un po’ di ben meritato riposo alla sua Flora in Cernobbio, faceva tenere al pio donatore la sua venerata effigie con una lunga e affettuosa dedica autografa, ed ora Sua Santità, confortata nel sapere che il magnifico tempio, benchè non compiuto, si presenta in tutta la sua imponenza, ancora per mano del venerato Dottore Don Antonio Ceruti, ha fatto tenere al cav. Dell’Orto una magnifica medaglia con questa accompagnatoria: «Mons. Gio. Bressan, Cappellano Segreto di S. S., ossequia l’illustrissimo e revendissimo Mons. Antonio Ceruti, Dottore dell’Ambrosiana, e lo prega del favore di trasmettere da parte del Santo Padre la qui unita medaglia all’egregio cav. Dell’Orto, tanto benemerito per la costruzione di una nuova chiesa nella distinta borgata di Cernobbio.»

Sua Santità, poi, saputo del prossimo cinquantenario ambrosiano dell’egregio Dottore Don Antonio Ceruti, si compiacque di fargli inviare il dono onorifico di una medaglia speciale, come omaggio al dotto sacerdote che per cinquant’anni dedicò il suo ingegno eletto, i suoi profondi studi e le sue energie alla celebre Biblioteca Ambrosiana.

Congratulazioni e auguri cordiali al venerando sacerdote, che, con invidiabile vigoria di corpo e di spirito, si avvia alla sua Messa di Diamante.

ARTE IMPUDICA


....Mi volgo a voi, che siete
Capi di casa, e che per la Dio grazia
Una famiglia numerosa avete,
E ve la guardi il ciel d’ogni disgrazia:
Padri e madri, vi dico, non tenete
In casa vostra; e vel domando in grazia,
Non tenete pitture che sian poco
Oneste, ma gettatele sul fuoco.


Volgerà ad esse il desioso ciglio
La vergine e ’l fanciullo, e qualche male
Quelle tele faran, qualche scompiglio
Nel loro cor, ch’è troppo naturale;
E per ben vostro e loro io vi consiglio
A tener nelle stanze e nelle sale
Immagini devote, o certi quadri
Rappresentanti spiriti leggiadri.

(Dal «Cicerone», c. XVI).