Il buon cuore - Anno X, n. 19 - 6 maggio 1911/Educazione ed Istruzione

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Il Giubileo Cardinalizio di Alfonso Capecelatro


Il giorno 30 aprile Capua celebrò il 25º anniversario della assunzione al Cardinalato del suo illustre e venerando Arcivescovo.

Un Comitato per le onoranze costituitosi all’uopo ebbe la splendida idea di riunire in un fascicolo attestati di lode e di ammirazione di persone distinte del laicato e del clero.

Noi riportiamo qui due di quei preziosi documenti: la lettera inviata dal Papa e quella del Cardinal Mercier.


Lettera del Papa.

«Egregio Signor Professore,

«Lodevole e santo è il pensiero di onorare i benemeriti come della privata, così dell’universale famiglia, che è la Chiesa, in certe ricorrenze della loro vita. Perciò mi congratulo con lei, e coi diletti cittadini di Capua, che con sentimento di anime bennate hanno deciso di festeggiare il venticinquesimo anniversario della elevazione alla sacra Porpora del venerando loro arcivescovo.

«Anzi unendomi a loro in questa dimostrazione di gratitudine e di affetto mi auguro che la festa corrisponda ai meriti del Religioso esemplare, del dotto teologo, del letterato elegante e fecondo, dell’agiografo scrupoloso, del vescovo, padre tenero ed appassionato, perchè i suoi figli assomiglino in tutto a Gesù Cristo, e finalmente del cardinale insigne, decoro della Chiesa ed ornamento del sacro collegio. E coll’augurio della sacra liturgia nella consacrazione dei vescovi, pel mio diletto figlio, il signor cardinale Alfonso Capecelatro, prego dal Cielo per molti anni ancora la continuazione del fruttuoso suo apostolato, perchè, se la corona dei vecchi è la molta sperienza (Eccl. XXV, 8), la Chiesa, ne ha pure una specie di culto per la vecchiaia, ama di vedere i suoi destini e i suoi interessi ad essa affidati, sicura che ivi sarà sempre il timore santo di Dio.

«E con questo voto impartisco di nuovo a lei, e a tutti gli altri, che si presteranno per questa festa, l’Apostolica Benedizione.

«Pius PP. X.»


Lettera del Cardinal Mercier.

«Di gran cuore io mi associo alle manifestazioni di rispettosa simpatia e di universale riconoscenza che voi avete avuto il felice pensiero di promuovere, in onore del vostro illustre Arcivescovo, in questo 25º anno della sua promozione al Cardinalato.

«Io dubito che al presente esista nel mondo cattolico un uomo il quale sintetizzi, in egual grado del Cardinale Capecelatro, gli interessi vitali della Chiesa.

«Sacerdote innanzi tutto, discepolo fedele dei Santi Filippo Neri e Alfonso de’ Liguori, dei quali egli ha, in forma tanto elevata, esposta la storia edificante, ha messo sempre tra le prime cure del suo zelo apostolico la formazione morale e religiosa del suo clero e più specialmente quella dei giovani leviti del Santuario.

«Ministro e soldato della Chiesa e fiero patriota a un tempo, egli ha potentemente conferito al decoro dell’alto clero nella sua bellissima patria, l’Italia.

«I suoi numerosi scritti pieni di attrattiva e di dottrina, occupano uno dei primi posti nella letteratura religiosa di questi ultimi 50 anni.

«Da lungo tempo io ardevo dal desiderio di fare la conoscenza personale di quest’uomo insigne, e dacchè io ebbi l’onore di occupare l’ultimo posto del Sacro Collegio, che il nome e le opere di Lui illustrano da un quarto di secolo, il mio desiderio si raddoppiò.

«Ricordo vivamente l’emozione che io sentii quando, nel marzo dell’anno scorso, mi trovai finalmente in presenza del venerabile vegliardo.

«Egli, ha conservato tutto il vigore del suo pensiero, il suo occhio è rimasto penetrante; la sua parola, anche in francese, d’una eleganza accademica, è sempre piena di grati ricordi, il suo accento è comunicativo, e quando dalla sua solitudine di Capua Egli spazia lo sguardo scrutatore sul mondo cattolico e si domanda a che punto sono in Inghilterra e negli Stati Uniti, in Germania, in Francia, nel Belgio, gli interessi della Chiesa, i suoi interlocutori sentono che il cuore di Lui batte più forte, la sua parola si riscalda e si colorisce, le aspirazioni si elevano ma con una tinta di melanconia, da cui l’anima sua non può sentirsi libera.

«Io considero come un favore singolare l’aver [p. 150 modifica]passato non più di qualche ora testa a testa, oserei quasi dire cuore a cuore, col Cardinale Capecelatro.

«Voglia ora degnarsi di trovare in queste parole l’espressione rinnovellata della mia riconoscenza per l’amorevole accoglienza che mi fece nel suo palazzo, e gradire con l’omaggio della mia ammirazione i voti ardenti che io fo, affinchè la Provvidenza lo conservi lungamente ancora al Sacro Collegio e alla società cristiana.


La voce del Vicario Apostolico dell’Eritrea

S. E. Mons. Carrara ha indirizzato, dall’Asmara, a Mons. Locatelli, Proposto di S. Stefano in Milano, il seguente appello:

Asmara, 8 aprile 1911.

È da parecchi giorni che mi trovo nel luogo di mia residenza e mi faccio doverosa premura di porgerle quei vivi ringraziamenti che tanto volontieri le avrei presentato a voce quando ella con tanta bontà regalava alla mia missione il generoso suo obolo di L. 300. In quel momento io ero assente dal convento e gli impegni per l’imminente mia partenza mi impedirono di farle conoscere subito i sensi dell’animo mio sinceramente grato e riconoscente.

Le dissi che mi trovo nel luogo di mia residenza, ma subito le debbo aggiungere che è una residenza senza sede, almeno propria. Ora abito in una piccola palazzina gentilmente prestatami dal Governatore, ma per la sua ristrettezza e più per la sua lontananza dalla chiesa, fra qualche giorno dovrò lasciarla per ritirarmi assieme ai miei religiosi in una casetta a mala pena ottenutami in affitto per premurosa ricerca di S. E. il Governatore. Questo il primo imbarazzo, ma non il più doloroso di fronte agli altri. Nel mio passaggio da Massaua, in cui dovetti fermarmi due giorni, se il mio cuore si rattristò vedendo la chiesa dei missionari povera, disadorna e deserta, ebbe però buona e confortante impressione nella casa delle Suore di S. Anna, dove potei constatare un lavoro che, quantunque ristretto per la grande difficoltà della mescolanza delle razze ed il piccolissimo numero degli italiani, pure può dirsi abbastanza fruttuoso a favore dei bambini a cui, oltre l’insegnamento elementare, vien impartita anche scuola di canto e di musica. Più consolante certamente fu per me l’impressione che ebbi qui in Asmara, dove con gioia vera del mio cuore potei ammirare i frutti copiosi dell’opera benefica iniziata dal compianto padre Michele da Carbonara, troppo presto rapito alla direzione di essa, condotta con intelletto d’amore. Quasi nel centro della città, sopra una bellissima altura che domina il circostante abitato, sorge la modesta ma simpatica chiesetta della nostra missione circondata dal vastissimo fabbricato che racchiude i bei locali tutti adibiti pel giardino d’infanzia rallegrato dalle voci di circa 120 bambini, e che contengono numerose scuole tenute con zelo infaticabile dalle Suore e dirette con lode dai nostri Padri.

Sono circa trecento tra fanciulli e fanciulle che le frequentano e vi apprendono anche le lingue straniere, il canto, la musica e quanto può suggerire un illuminato amore per la completa educazione ed istruzione della gioventù.

Ciò che riesce però di maggior gravame all’amministrazione si è l’orfanotrofio e l’educandato per lo più necessariamente gratuito o semigratuito, col sopraccarico di un brefotrofio. Così si cerca di beneficare non solo i nostri italiani, ma anche tanta gioventù africana, tante volte (troppo spesso!) barbaramente abbandonata da chi non merita il nome di madre, gioventù che entrando nelle nostre scuole e nel nostro orfanotrofio mussulmana ed eretica, ne esce poi cristiana e cattolica. Così si guadagnano anime a Cristo ed alla sua Chiesa non solo, ma anche si formano bravi ed utili cittadini tanto che negli uffici pubblici, gli indigèni che occupano i primi impieghi sono quelli usciti dalla missione cattolica, di tanta soddisfazione ai direttori da obbligarli a render loro pubblica ed incontestata lode. Ma quante volte il cuore deve far tacere la voce ed il sentimento della carità, quante volte si è costretti ad asciugare lagrime di dolore, quando non si può accondiscendere alle richieste e si debbono rifiutare giovani e bambini che un giorno potrebbero essere santi cristiani! L’opera del padre Michele fu ed è affidata completamente alla carità degli offerenti, e finchè ci fu l’aiuto della personale influenza di quel benemerito, le cose si trascinavano alla meglio: ma da tempo è mancato questo sostegno: le spese durano ed i mezzi vengono a mancare, tanto che con mio dolore vidi accumulati diversi debiti non poco rilevanti. Sono non meno di cento le esistenze che ogni giorno si debbono alimentare: sono molti i bisogni a cui provvedere e che non permettono dilazione, onde proseguire nel compimento di un’opera che tanto bene promette e che se si lascia allentare nel suo progresso, dovrà cedere i frutti ad altre purtroppo tristi e settarie. Di fronte alle gravi difficoltà che già fin d’ora inevitabili mi si presentano non ho altro conforto che la speranza della Divina Provvidenza: di quella provvidenza che anche per suo mezzo tanto ha già fatto per queste terre bagnate da tanto sangue italiano.

Ella che tanto si è adoperata, che tanto entusiasmo ha dimostrato per quest’opera di redenzione, non vorrà privarsi del merito grandissimo di cooperare alla sua continuazione, al suo progresso.

L’alta influenza che Ella esercita su tante persone facoltose; la stima, l’affetto, la venerazione da cui è circondata, sono mezzi efficacissimi onde ottenere soccorsi per la mia cara Missione, per tanti infelici che, redenti col sangue di Cristo, educati alla scuola del cristianesimo, prima ancora che conosceranno l’alto beneficio ricevuto, alzeranno le loro manine al Cielo e col cuore innocente invocheranno benedizioni pei loro benefattori.

Queste le impressioni che ho provato in questi primi giorni del mio soggiorno in Eritrea, questi i bisogni [p. 151 modifica]che ho riscontrati in tutta la loro urgenza e gravità. Quanto sarei felice di poterle scrivere presto che la Provvidenza ci ha benedetti, che la carità cristiana dei Milanesi ha fatto un nuovo prodigio; quanto godrei nel poterle assicurare che un grande numero di nuovi bambini le preparano giorni felici in terra ed eterna felicità in cielo colle loro accette preghiere! Con questo desiderio che converto in augurio, rinnovandole i miei più vivi ringraziamenti, mi pregio sottoscrivermi D. S. V. Rev.ma.

Camillo Carrara, Vicario Apostolico.


ALLA MOSTRA DI CASTEL S. ANGELO


(Continuazione, vedi numero 18).


Ma non meraviglia: le visioni e le istorie del nostro Castel Sant’Angelo sono battute nel contrasto: il fato tragico del sepolcro imperiale si snoda, inesorabilmente, anche attraverso la rigogliosa, fantastica, paradossale inesauribilità del capriccio: nelle sale di sinistra, una superba raccolta di ceramiche di un valore inestimabile; nelle sale attigue, nude e severe, un presidio di armi, di cimieri, di spade, di trofei: sono le reliquie militari del castello. Così, da un salone di munificenza ad una caserma. E nelle sale di destra, negli appartamenti di Clemente VII, la sala di un guerriero, la stanza da letto di un vescovo, la più bella ricostruzione storica, a mio credere, nella mostra attuale; e per l’arco elegante di un usciolo, il bagnettino pontificio, un gioiello di decorazioni grottesche; e per una porticina attigua, le prigioni.

Eccoci di nuovo nel contrasto: e le prigioni di Castel Sant’Angelo rappresentano, ancora, uno dei più fecondi luoghi retorici dei visitatori: le segrete veneziane e, dicono, quelle della torre di Londra, sono di un orrido assai assai più singolare: queste di Castello non sono molte: rappresentano, però, uno dei quadri più suggestivi di questa mole fantastica che fu ed appare ad un tempo sepolcro e fortezza, reggia e prigione.

Ma i ricordi e le evocazioni si affollano anche attorno alle angustie di queste celle di squallore e d’ombra; e il custode pro tempore 1911, non manca, anzi, di dar fondo a tutto il romanticismo storico annidato nei sotterranei. Badate: è fra i tanti custodi chiamati a visitare le bellezze di Castello, l’unico che parli; ce n’è un altro — ed uno solo — che saluta militarmente tutti i borghesi visitatori, ed è l’uomo grave e robusto posto a guardia dell’esposizioncella musicale. Le rammento con grato animo: ha salutato anche me.

Ma il custode delle prigioni è un uomo che parla: e parla bene, a voce alta, sonora, indicando col gesto breve le mura grigie delle celle, scandendo il dato.... storico e lasciandovi poi a tu per tu coll’eloquenza formidabile dei sassi, delle volte arcate, delle mura consunte....

— Vedano, questa è la prigione di Cavaradossi. La Tosca, come sanno, si gettò a fiume dalla loggia del castello.

— Ecco il carcere di Beatrice Cenci. Entrino pure: qui ci stette due anni, e qui — soggiunge l’eloquente indicando un leggero rialto presso la parete di fondo — questo era il giaciglio dell’infelice fanciulla.

Già: sullo sfondo grigiastro della prigione, l’immagine bella della Cenci, quella profilata di Guido Reni, quella ravvolta nel turbante bianco delle Sibille, coi grandi occhi dolenti e presaghi. Guardate là, accasciata sul giaciglio durissimo, la vergine bianca di Francesco Domenico Guerrazzi....

E la rievocazione è potente: ed è un gran peccato che Beatrice Cenci non sia stata mai a Castel Sant’Angelo, che il ritratto di Guido Reni, non rappresenti Beatrice Cenci, che Guido Reni non l’abbia mai dipinto, che la vergine guerrazziana, poi....

(Continua). Egilberto Martire.

ACHILLE PECORARA, Medico Chirurgo

Nel numero precedente fu accennata la morte del Dottor Chirurgo Achille Pecorara. Aggiungiamo alcuni particolari.

Il Dottor Pecorara, d’anni 70, mori nella sua casa via Lanzone, 34, il 25 aprile, dopo un progressivo esaurimento di forze. Lasciò erede l’Istituto dei Ciechi di Milano di tutta la sua sostanza del valore approssimativo di oltre centocinquantamila lire, sebbene gravata da pesi, che per più anni assorbiranno i redditi della sostanza stessa.

I funerali gli vennero fatti il 28 aprile nella Basilica di S. Ambrogio. Il Consiglio, il Rettore, i membri dell’amministrazione, una larga rappresentanza dell’Istituto beneficato, ne accompagnarono la salma all’ultima dimora. Al Cimitero monumentale, il Rettore lesse un breve discorso, ricordando l’indole buona e generosa dell’estinto. In gioventù si era arruolato fra i volontari per la guerra dell’indipendenza, e in seguito aveva con zelo e disinteresse esercitata la sua professione di medico chirurgo presso l’Ospedale, nella sezione dell’Opera Pia di S. Corona, e presso altre istituzioni di beneficenza.

Il pensiero di favorire i Ciechi gli fu suggerita dalla moglie, da pochi anni estinta. Fu pensiero utile e santo perchè oltre favorire i colpiti di una grande sventura, col raccoglierli in un istituto, fornisce loro i mezzi di progredire nell’istruzione, secondo le esigenze delle nuove condizioni sociali.

Un urgente bisogno premeva in questi ultimi anni l’amministrazione, la riparazione cioè di una parte del fabbricato della casa di villeggiatura a Binago, che minacciava rovina. Questo bisogno potrà ora essere soddisfatto, e gli allievi tornando a Binago non pagheranno più il vantaggio dell’aria buona, colle paure e coi pericoli di un caseggiato indifeso e pericolante.