Il buon cuore - Anno XI, n. 01 - 6 gennaio 1912/Educazione ed Istruzione

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Educazione ed Istruzione

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[p. 3 modifica] Educazione ed Istruzione


La prima propaganda

di italianità in Tripolitania

Il sospettoso governo turco, da oltre venti anni, vietava agli europei qualunque viaggio all’interno della Tripolitania, avesse pure un carattere turistico. Temeva sopratutto, la Turchia, che potessero in qualunque modo rivelare le risorse agricole e minerali di quelle terre o, peggio, che questi rilievi avessero carattere di preparazione guerresca. Solo un esploratore francese, il De Mathuisieulx nel 1904, ottenne, dopo lunghe trattative diplomatiche, di compiere un lungo viaggio all’interno. Il volume che il De Mathuisieulx scrisse, facendo la relazione di questo suo viaggio, per quanto in alcuni [p. 4 modifica]punti possa apparire tendenzioso, è forse quello che meglio ci può dare una idea della vita, dei costumi, del suolo, all’interno della Tripolitania.

Non ostante però la infrangibilità del veto turco, un’opera indiretta di penetrazione europea, si compieva egualmente, sotto gli occhi di tutti i valy e di tutti i mutessariffs, impotenti a reprimerla. E strumenti di questa penetrazione erano le stesse popolazioni nomadi — beduini, berberi, arabi — che spinte per poco alle città della costa, tornavano alla loro steppa, al gebel, e oltre, raccontando ed esaltando nel loro linguaggio immaginoso, i miracoli che gli europei sapevano compiere. A detta di tutti gli esploratori, la scienza che sopra le popolazioni barbare o selvaggie fa maggior impressione, è la medicina. Per esse, il saper guarire una piaga che marciva da anni, è virtù così grande, da sembrare prerogativa della sola divinità. E i nomadi che dal Fezzan, dalla Mauritania, dai gebel, attraverso l’altipiano cirenaico o la pianura tripolitana, avevano, a Tripoli, ad Homs, a Bengasi, a Derna, ricorso alle cure meravigliose delle buone tabibe, ne spargevano fino al deserto la fama.

Le tabibe, erano le suore medichesse delle missioni cattoliche italiane. Ai missionari italiani, ed alla Associazione Nazionale che li soccorre, risale il merito primo di aver fatto, colla loro propaganda di fede e di umanità, una propaganda attiva di italianità in quelle regioni che ora tornano nostre. Essi combatterono la loro guerra contro la superstizione, oltre che colla Croce e col sangue, colla bella bandiera italiana, spiegata.

Da oltre due secoli, i Francescani italiani avevano le loro missioni in Tripolitania e in Cirenaica (ne fu primo prefetto un Francescano piemontese). Esse però, nel secolo scorso, erano passate, per varie vicende, sotto la immediata dipendenza del Governo francese, il quale aveva preso particolare interesse per quelle Missioni, specialmente dopo la occupazione di Tunisi.

Nel 1886 intanto, si fondava in Italia l’Associazione Nazionale di soccorso ai Missionari Italiani, che ebbe forte impulso particolarmente a Milano. Di essa si costituirono Comitati e succursali in tutte le regioni d’Italia. Il Comitato milanese fu presieduto, nei primi quattro anni, dal generale senatore Genova di Revel. Anima dell’Associazione fu sempre l’illustre egittologo professore Ernesto Schiaparelli, ed ora la presidenza generale è affidata a un noto gentiluomo milanese, il nob. Carlo Bassi.

Il programma di questa istituzione, è tutto sintetizzato nel primo articolo del suo statuto: «E’ costituita in Italia una Associazione Nazionale autonoma, avente sede in Firenze, per soccorrere i Missionari cattolici italiani, e promuovere, sotto la loro direzione o vigilanza, la fondazione di nuove scuole e la diffusione della lingua italiana, specialmente in Oriente e nell’Africa, e mantener vivo, insieme colla Fede, l’amore per la Patria, nei numerosi italiani che si trovano in lontane regioni». E che a questo programma si sia ispirata veramente l’opera della Associazione, provano i fatti.

Essa si preoccupò fin dal principio di quelle terre che, bagnate dal Mare nostrum, di fronte alla Sicilia, dall’Italia più che da qualsiasi altra nazione, attendevano i benefici della civiltà. Soltanto però nel 1898 potè rompersi il cerchio di ferro entro il quale il Governo francese teneva chiusa tutta l’opera di quelle Missioni. Ne era prefetto allora il Padre Giuseppe Bevilacqua da Barrafranca di Sicilia, uomo di alto sentire italiano. Da quell’anno, l’Associazione Nazionale, si sostituì man mano al governo francese, e mentre progressivamente liberava le Missioni da quello stato di asservimento, le metteva, nel 1905, sotto la protezione del governo italiano, e promoveva in esse una trasformazione tale, per cui tutti i suoi istituti vennero prendendo carattere apertamente, schiettamente italiano.

Padre Giuseppe da Barrafranca, e il suo successore Padre Bonaventura Rossetti, attuale prefetto della Tripolitania e Cirenaica, aiutarono validamente l’Associazione in questa opera patriottica. La Missione Francescana ha ora due grandi istituti scolastici a Tripoli, uno maschile ed uno femminile, e, pure a Tripoli, un piccolo ospedale con dispensario. Una scuola maschile e femminile, e un dispensario, a Bengasi, e una scuola maschile a Derna. Le scuole femminili sono tenute, per conto della Missione, da suore Giuseppine, e quelle maschili dagli stessi Francescani. Complessivamente quelle scuole contano ora più di 800 alunni ed alunne di ogni nazionalità e religione, fra i quali molti israeliti e parecchi turchi. I dispensari della Missione attesero, l’anno scorso, a più di 20.000 medicazioni. Come si vede, si tratta di istituti molto importanti, che erano venuti acquistando nel paese molta influenza, attirando sulle Missioni italiane e quindi sull’Italia molte simpatie. Specialmente perchè, alieni da qualsiasi intolleranza religiosa, i nostri missionari erano tenuti in conto di benefattori e di amici. Forse a questo si deve se quei religiosi sfuggirono al massacro.

L’Associazione Nazionale fondò, inoltre, coadiuvata dai Francescani e dal compianto console Scaniglia, istituti propri, a Tripoli, Homs, Bengasi e Derna, Orfanotrofi, scuole elementari, ambulatori, farmacie, colonie agricole. Derna, la città più bella della Cirenaica, fu anche la più difficile da conquistare. In essa, più che nelle altre, è vivo il fanatismo mussulmano, e la città è reputata città santa. Vi si riuscì ad ogni modo, ed ora, una delle costruzioni più belle è quella della Associazione Nazionale. Di essa le Missionarie Francescane fecero un focolare d’italianità, attendendo anche, negli ultimi mesi, ad oltre 26.000 medicazioni. Fu così che la fama della bontà e della carità italiana, si sparse tra gli arabi dell’interno.

Notizie interessanti, sono in una lettera della superiora delle Francescane di Homs. È del 1908; «La scorsa estate, venne aperto in paese, per cura del Governo ottomano, un ospedale: con tutto cìò, numerosissimi sono gli ammalati di ogni religione, sesso, ed età che giornalmente si presentano per essere curati da noi. L’arabo è gratissimo a chi gli fa del bene, e incontrandoci per via, lo si vede spesso prostrarsi a terra, in atto di preghiera, e colle mani giunte implorare sopra di noi le più elette benedizioni del Cielo, mentre narra ai passanti e ad alta voce, il benefizio [p. 5 modifica] da noi ricevuto». Le bimbe che frequentano quelle scuole, appellano le suore col nome di mamma. «Gli arabi provenienti da lontani paesi — continua la lettera — che per la prima volta ci vedono attorniate da tante bambine si rallegrano con noi, credendole figlie nostre, e nella loro semplicità ci augurano altrettanti maschi, considerati da loro come una benedizione del Cielo.... E non tutti partono convinti che noi non abbiamo nè marito nè prole, non arrivando essi a comprendere come possiamo sacrificarci per bambine non nostre, e come esse concepiscano tanto amore per noi che non siamo le loro madri».

Lettere simili scrivevano le Francescane di Tripoli. Anche là, la stessa, quotidiana affluenza di malati, spesso provenienti dalle più lontane regioni, dal deserto. La malattia, data la enorme sporcizia di quella gente, è qualche volta guarita con una semplice lavatura. E sembra miracolo. Un vecchio arabo, a cui la tabiba aveva dato la medicina che gli doveva guarire il figlio, tornò dopo tre mesi col figlio guarito, e presentandosi, vestito a gala, al dispensario, offri in regalo alla tabiba un braccialetto d’argento massiccio, dicendole: — prendi, l’ho comperato per te; perchè mi hai dato buone medicine. Accettalo, ti servirà quando sarai sposa!

L’azione delle Missioni e dell’Associazione Nazionale, fu rivolta anche a tentar di sopprimere la tratta dei negri, che in barba ai trattati e alle Potenze, veniva esercitata ancora, su vasta scala, in Cirenaica. Quando si otteneva di riscattare questi infelici, si curavano, si istruivano, si insegnava loro un mestiere. Vennero comperati terreni per le colonie agricole, si scavarono pozzi artesiani. Una lotta continua, per questa opera, col governo locale, il quale di sottomano o apertamente, cercò sempre di ostacolare l’impresa, sospendendo i lavori, minacciando di prigione gli operai, e perfino facendo rubare gli attrezzi più necessari.

Per mettere un argine all’usura, praticata pubblicamente e anche da una banca privata in modo scandaloso (i tassi variavano dal 30 al 120 per cento), l’Associazione Nazionale fondò e affidò a una Missione un piccolo Monte di Pietà, che fu subito un calmiere prodigioso. Tanto che in seguito la banca ottomana, imparò a prestar danaro a un tasso modico.

Questa, ed esposta solo per sommi capi, l’opera dalle Missioni e dalla Associazione Nazionale già svolta in Tripolitania, senza grande rumore, ma con grande tenacia. Se nelle relazioni, nelle corrispondenze, negli scritti dei frati e delle suore c’è forse troppa facilità ad esaltare la capacità di riconoscenza che può albergare negli arabi, questo è proprio alla loro opera di fede e di pietà. Ma la bandiera italiana, sventolante su tutte le loro case; che serve da sfondo a tutti i gruppi fotografici dei loro piccoli allievi, dei protetti, dei beneficati; l’insegnamento paziente della nostra lingua; la commozione vera che è in quei loro scritti, in quelle loro relazioni quando essi invocano o ricordano la Patria, tutto ciò dà ad essi il diritto di ritenersi i primi ed i più intensi fautori dell’opera di italianità che noi andremo compiendo. Della preparazione da essi fatta, sentiremo senza dubbio gli effetti benefici.

Cartoline delle nostre Missioni


Alla relazione sull’opera della nostra Associazione Nazionale di soccorso ai Missionari Cattolici Italiani, è giusto far seguire qualche illustrazione, che siamo lieti di presentare in forma di riuscitissime cartoline rappresentanti, oltre le nostre scuole all’estero, parecchi splendidi quadri dell’Egitto, della Palestina, delta Cina, della Bolivia, della Siria, di Antivari, Scutari, ecc.

Sono parecchie serie svariate da 15 a 16 cartoline ciascuna, e ogni serie costa una sola lira. Un affarone per gli acquirenti, e con tale affarone si concorre ad aiutare i nostri Missionari, specie quelli che, come pionieri di civiltà, si trovano da parecchi anni nella Tripolitania e nella Cirenaica.

Rivolgere le commissioni ad A. M. Cornelio, via Castelfidardo, 11, e via Gesù, 8.

Tripolitania


Proseguiamo la pubblicazione delle lettere caratteristiche del giovane pittore milanese Pierino Todeschini, il quale, anche alle trincee, non perde la serenità dello spirito, e conforta i genitori come se si trovasse in un posto delizioso, e chiede pennelli, colori e pellicole.

Sono profonde le simpatie suscitate dal giovane soldato e artista: profonde tanto da indurre la Società Artistica e Patriottica a fargli spedizione di tutto l’occorrente per eseguire degli studi che certo riusciranno attraenti.


Bengasi, 5 novembre 1911.

Carissimi,

Ho ricevuto ieri con grande felicità la lettera di papà e quella di Lucio in data 27 l’una e 29 l’altra. Solo 7 giorni di viaggio; a seconda delle partenze de’ piroscafi, arriva la posta più o meno tardi.

Io godo di una salute di ferro; mangio come un vero p.... e mi diverto abbastanza.

Mi struggo soltanto per non avere qui né macchina fotografica nè colori, e credo che un’occasione simile non mi capiti più per fare qualche cosa di buono.

Ora poi è arrivato l’ordine che tutte le forze di Bengasi si debbano stabilire qui.

Faranno le baracche con trincee blindate in modo che saremo in una specie di fortezza enorme, e le forze tutte si fermeranno qui sino a marzo, senza andare nell’interno come prima si credeva. Siamo già in 20000 soldati ed oggi ne devono arrivare altri 11000 di modo che siamo a posto. Non temete gli avvenimenti di Tripoli perché si sono prese precauzioni e disposizioni tali da non temere fortemente. Tutti i giorni si fanno ricognizioni in giro alla città da battaglioni intieri e tanta gente sospetta si trova, altrettanto si mena via e gli armati a seconda dei casi, vengono anche fucilati.

Bisogna far cosi con questa marmaglia altrimenti non si ottiene un corno.

L’altro ieri una compagnia di beduini si è vista aggirare nelle vicinanze; una cinquantina di individui in tutto, con cammelli e cavalli. Hanno voluto sparare 3 o 4 colpi su di noi coi loro fucili a bacchetta alla distanza di circa mille metri. Non occorre [p. 6 modifica] dirti che le pallottole non arrivavano che a cento metri di di stanza, ed una squadra sola di noi che rispose al fuoco, mandò colle gambe in aria 9 o 10 cammelli coi loro cavalieri. Gli altri via come il vento!

Insomma state certi che pericolo ce n’è poco avendo anche dalla parte del mare 3 corazzate e 5 torpediniere. Dunque per tornare al corrente, il tenente Marotta mi promise che se mi manderete i colori li terrà lui nella sua cassetta.

Dunque speditemi al più presto una cassettina con un assortimentino di colori, la spatola ed un po’ di assicelle non tanto grandi al massimo 4o X 50, che mi bastino per avere un ricordo del colore, il resto colle fotografie che farò mi sarà facile finirlo a Milano.

Mandate un po’ presto, perchè se è vero ciò che si vocifera, che cioè i richiamati alla fine dell’anno li mandano a casa non arrivo in tempo a far tanto.

Nel pacco poi mettete qualche cosa di buono che lo gusterò.

Sentite questa colta al volo:

Ore 2 della notte — in Africa — deserto — luna — tempo di guerra, ululati di sciacalli — gridii sospetti, in trincea pronti per un eventuale attacco nemico.... quattro o cinque milanesi di Gorla, di Garignano, di Pioltello, ecc. si raccontano delle favole di maghi e di fate come quelle che si narrano ai bambini. — Dunque il protagonista della storia dopo aver tagliata la testa al mago, che dormiva, e buttatala dalla finestra perché non potesse riattaccarsi al corpo, si trova davanti due feroci leoni che il mago aveva a guardia e taglia a loro pure la testa....

A questo punto una voce dalla trincea: — Dormiven però i duu leun? chiede «Ah! già, eè!» risponde il narratore e la storia continua con serietà ed interessamento tale che ne rimasi stupefatti! e dire che siamo nel 1911, in Africa ed in guerra! guarda quale disinvoltura dimostrano i nostri soldati!!!

Saluti, ecc.

Pozzi Sabri, 15-12.911.


Carissimi.

Ho atteso finora per scrivervi e potervi dire d’aver ricevuto i pacchi vostri. Mentre invece non ho avuto niente. Mi stupisce il fatto, perché Monti ha ricevuto i cinque che gli mandarono.

V’è però ancora un arrivo di posta prima di Natale, lunedì prossimo; sicuramente riceverò allora quanto mi avete mandato.

A mia volta volevo mandarvi qualche cosa di qui. Tutti quanti hanno comperato e spedito piume di struzzo, anelli, braccialetti d’argento, ecc.

Io non ne ho mandato uno, non perché mi sia dimenticato di voi o per non spender soldi, ma perchè sono tutte cose bruttissime, che non hanno niente a che fare con ciò che dovrebbe essere caratteristico del luogo. Gli oggetti d’oreficeria vengono tutti dall’Italia e le penne di struzzo, che sembrano d’oca, le fanno pagare forse più di quanto si possono pagare in un nostro negozio. Non mandandovi nulla credo d’avervi fatto il miglior regalo. Vi manderò però qualcosa di bello appena mi sarà possibile trovarne. Un anello d’argento per Lucio l’ho già comperato, ma credo sia l’unico che meriti; se non altro è caratteristico del luogo e relativamente antico. Dal lato che maggiormente ti riguarda caro Papà, ho perso la poesia dell’oriente: cento volte la fiera di Sinigalia. Non per questo però sono dispiacente di trovarmi qui. Lasciando per un solo istante il sentimento patriottico, che per molti è il solo che li rassegna, credetelo, fu per me una gran fortuna esser venuto qui. Mi pare che ritornerò uomo, uomo realmente e quasi quasi direi che chi non è stato in guerra non lo pub essere. Sono troppi i momenti belli che si provano, i cambiamenti di stato d’animo.

Oggi, per esempio, è per la nostra compagnia una giornata di riposo. Questa mattina si stava guardando il nostro corredo, disponendolo in mille modi, facendo mille volte passare per mano gli oggetti di casa, ridendo della notte passata in trincea, scherzando tra due o tre fucilate che s’erano udite. Bum! una cannonata. Istintivamente tutti corrono alle armi ma non c’è nulla. Il cannone d’una nave ha segnato il mezzogiorno. Subito dopo ci allarma egualmente un incessante cannoneggiare delle navi. Ma si errompe subito in un grido di saluto. È Marconi che parte e lo si festeggia a cannonate. Il servizio mi ha fatto perdere una buona occasione. In città si fermò per due o tre giorni l’on. Nava che mi mandò parecchie volte a chiamare. Fatto sta che quando fui libero, lui era partito.

Una buona notizia: avendo noi fatto finora il maggior servizio agli avamposti, domani andremo in città come guarnigione e la vita sarà migliore; questo solo per il nostro battaglione. Fra noi soci abbiamo impiantata una cucina straordinaria; si fa a turno chi è di mensa e vi garantisco che io mi son già acquistato delle lodi. Se vedeste i nostri mobili, sono qualche cosa di bello.

Hanno composto un Comitato per un erigendo monumento ai caduti; ed io ho detto al Capitano mio che facesse sapere al suddetto Comitato che io mi presterei volentieri per il bozzetto artistico, incaricandomi anche, se credessero, di procurare chi eseguisse il monumento. Chissà che la cosa non vada. Di soldi ne hanno raccattati buona parte.

Un regalo che scommetto vi avrebbe fatto piacere sarebbe stato il mandarvi qualche mio lavoro, ma non sono stato cristiano da poter farne uno. Ne ho incominciati un paio, ma mi fu impossibile continuare. Spero poter far qualche cosa d’ora innanzi in città. Se non altro il servizio di guarnigione sarà metodico e potrò far calcolo sul tempo disponibile.

Ora vi faccio i più caldi auguri di felicità, di salute e di coraggio. È il primo Natale e Capo d’anno che passiamo separati, ma servirà a farci doppiamente gustare quelli che verranno. Mi raccomando: solo il sapervi allegri mi sarà di conforto grandissimo. Un po’ di diversivo nella vita ci vuole. Prendetevi tutti i baci che vi mando col cuore e siate sicuri che il Natale ed il Capo d’anno li passeremo assieme lo stesso, poiché non penserò che a voi. Baci dal vostro

Pierino.


«Il presidente domanda chi sia

sono prestinaio e non una spia».


È il brumista che canta mentre sta cucinando una milzetta truffata ai cucinieri.