Il buon cuore - Anno XI, n. 38 - 21 settembre 1912/Educazione ed Istruzione

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Educazione ed Istruzione

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Necrologio Società Amici del bene

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una pagina di turgheniew


UN INCENDIO IN MARE

(Continuazione e fine, vedi n. 37).

Fu tuttavia quel capitano che ci salvò la vita; prima col cambiare sull’ultimo momento che potevasi ancora entrar nella macchina, la direzione della nave, che filando dritto su Lübeck invece di virar rudemente sulla costa, sarebbe divampata infallibilmente prima di giungere al porto; e poi ordinando ai marinai di sfoderare i coltellacci e dare addosso senza pietà a chiunque cercasse toccar una delle due scialuppe che ci restavano, essendosi capovolte le altre per l’inesperienza dei passeggieri che avevano voluto gittarle in mare.


I marinai, la più parte danesi con le faccie energiche e fredde, e col bagliore quasi sanguinante delle fiamme sulle lame dei coltelli, inspiravano involontario rispetto. C’era già una gagliarda burrasca, ma fu accresciuta dall’incendio che urlava per un buon terzo del bastimento. Debbo confessare, non dispiaccia al mio sesso, che le donne mostrarono maggior coraggio degli uomini. Pallide e bianche, la notte le aveva sorprese nel letto (ora non avevan per abiti che le coperte), e per incredulo che fossi allora, pure mi parvero angeli scesi dal cielo per farci vergogna e darci animo.

Ci furono però anche degli uomini che mostraron coraggio. Rammento un signor D., già nostro ambasciatore di Copenaghen: s’era tolto le scarpe, la cravatta, il soprabito di cui s’era legate le maniche sul petto, e seduto sur una gomena tesa, co’ piedi ciondoloni, fumava tranquillamente un bel sigaro, e ci guardava a vicenda in aria di pietà furbesca. A mia volta, m’ero rifugiato su una delle scalette esterne e m’ero seduto a un scalino estremo. Guardavo stupito la schiuma rossa che ribolliva lì, sotto i miei piedi, e talora mandava qualche falda fin sulla faccia; e dicevo fra me: Ecco dunque dove bisogna finire, e a diciott’anni! giacchè ero deciso annegare piuttosto che arrostire. Le fiamme mi volteggiavano sul capo, e io ne distinguevo gli urli dagli urli delle onde.

Lontano da me, sulla stessa scala era seduta una vecchietta, qualche cuoca probabilmente, d’una delle famiglie imbarcate per l’Europa. Con la testa ficcata fra le mani, pareva brontolar preghiere. A un tratto mi gettò un rapido sguardo, e, sia che mi leggesse sul viso un funesto proponimento, sia per altra ragione, mi afferrò il braccio e con voce quasi supplichevole, mi disse con insistenza: «No, signorino, nessuno ha diritto di disporre della propria vita, nè lei, nè alcun altro. Bisogna rassegnarsi alla sorte che la Provvidenza ci assegna: se no, sarebbe castigato nell’altro mondo».

Io non avevo avuto nessuna idea di suicidarmi: ma per una sorte di spavalderia inesplicabile in quello stato, finsi due o tre volte di eseguir quel proposito, e ogni volta la povera vecchia mi si gettava su per impedirmi [p. 299 modifica]ciò che ai suoi occhi era un grande delitto. Alla fine, colto da vergogna, smisi. Infatti, perchè recitar così la commedia in faccia alla morte, che in, quel momento credevo inevitabile, e imminente? Del resto non ebbi tempo di scrutar la stranezza di sentimenti, nè rare la mancanza d’egoismo che oggi chiamerebbero altruismo della povera donna, poichè su quel punto gli ululati delle fiamme sulle nostre teste raddoppiaron di veemenza; e nel tempo stesso una voce di bronzo, quella del nostro angelo salvatore, squillò su di noi: «Cosa fate laggiù, sciagurati? State per morire; seguitemi!». E subito, senza saper chi ci chiamasse, nè dove bisognasse andare, io e la donnetta ci levammo, come spinti da una molla e ci lanciammo tra il fumo, seguendo un marinaio in camiciotto turchino, che vedevamo innanzi a noi arrampicarsi lungo una scala di corda. Senza saper perchè m’arrampicai anch’io su quella scala: credo che se in quel momento egli si fosse gittato in acqua, o avesse fatto qualunque stranezza, io l’avrei ciecamente imitato. Dopo aver saliti due o tre scalini, il marinaio saltò pesantemente sull’alto d’una delle vetture che già ardevano in basso. Saltai anch’io: udii la vecchia saltar dopo di me; poi, dall’alto di questa prima vettura, il marinaio saltò su una seconda, poi sopra una terza; io sempre dietro di lui, e ci trovammo così sul davanti della nave.

Quasi tutti i passeggieri erano riuniti là. I marinai, sotto la sorveglianza del capitano, erano occupati a scendere in mare una delle due scialuppe, fortunatamente la più grande. Di sopra all’altra proda del bastimento, scorsi, vivamente illuminata dall’incendio, la costiera scoscesa che scende verso Lübeck, distante circa un paio di chilometri. Io non sapevo nuotare.

Il punto ove ci eravamo arenati, poichè l’eravamo senza essercene accorti, era probabilmente assai poco profondo; ma i marosi erano altissimi. Tuttavia, appena ebbi scorta la scogliera, mi persuasi di esser salvo, e con sommo stupore de’ circostanti, mi misi a saltare gridando: «Evviva!». Non volli avvicinarmi ove la folla si pigiava per giungere alla scaletta che dava sulla grande scialuppa. C’erano lì troppe donne, vecchie e bambini; e poi io, dopo la vista della scogliera, non avevo più fretta, ero certo della salvezza. Notai meravigliato che qi;asi nessun fanciullo aveva paura, che anzi alcuni s’addormentavano sulla spalla materna. Nessuno perì.

Vidi fra il gruppo de’ passeggieri un generale d’alta statura, con gli abiti gocciolanti d’acqua starsene immobile appoggiato a un banco posto orizzontalmente, ch’egli aveva staccato dalla nave. Seppi che in un primo momento di terrore aveva brutalmente respinto una donna che voleva passar prima di lui per saltare in una delle prime imbarcazioni che s’eran poi capovolte. Preso da un dispensiere che lo rigettò indietro, il vecchio soldato aveva avuto vergogna della sua codardia momentanea, e giurò di non lasciar la nave che per l’ultimo, dopo il capitano. Era alto, pallido, con una scalfittura sanguinante sulla fronte, e girava intorno gli sguardi contriti ed umili, comé a chieder perdono.

Frattanto io m’ero avvicinato alla parte sinistra del bastimento e scorsi la nostra piccola scialuppa che ballava sulle onde come un gingillo: due marinai che vi si trovavano facevano segno a’ passeggieri di rischiare un salto: ma non era facile; perchè il «Nicolò I» era alto, e bisognava cadere proprio a piombo per non far capovolgere la barchetta. Alla fine mi decisi: cominciai dal posare i piedi sopra una catena d’àncora tesa lungo il bastimento all’esterno e stavo per lanciarmi, quando una massa pesante e molle venne a piombarmi sopra. Una donna mi si era afferrata al collo e pendeva inerte sul mio corpo. Confesso che sul primo momento ebbi voglia di prender quella mano e gettar la massa al di sopra della testa, ma fortunatamente non seguii quella voglia. Mancò poco che l’urto non ci facesse precipitar nel mare, ma per ventura si trovò lì, dondolar dinanzi al mio naso, pendente non so d’onde, una corda, colla quale m’afferrai con forza con una mano scorticandomela fino al sangue; poi, gettando uno sguardo in giù, mi accorsi che io e il mio fardello ci trovavamo proprio sulla scialuppa, e.... per grazia di Dio, mi abbandonai, scivolando, scivolando.... Il battello scricchiolò: «Viva! viva!» gridarono i marinai.

Deposi la mia compagna svenuta in fondo al battello, e mi rivolsi verso la nave, ove scorsi una quantità di teste, massime femminili, che si affollavano febbrilmente lungo la ringhiera. «Saltate!», gridai, tendendo le braccia. In quell’istante, la riuscita del mio ardimento, la persuasione d’esser lontano dalle fiamme, mi davan forza e coraggio ineffabili; e accolsi le tre sole donne che osarono saltare nella scialuppa, con tanta facilità con che si prendono le mele al tempo del raccolto. È da notare che ognuna di quelle signore gettò un grido acuto sul punto di gettarsi dall’alto, e giunta giù era svenuta. Un signore, probabilmente innamorato, mancò poco che non uccidesse una di quelle infelici gettandole una pesante cassetta che si spezzò cadendo sul battello e lasciò vedere un ricco scrigno. Senza chiedermi se avessi diritto di disporne, offersi subito la cassetta ai due marinai, che la ricevettero anch’essi senza cerimonie. Poi giù sui remi a tutta lena verso la riva, accompagnati dalle. grida: «Tornate presto! Rimandate la scialuppa!». Così appena non vi fu che un solo metro d’acqua, bisognò discendere. Cadeva una pioggettina sottile e fredda già da un’ora; ma se non fa nulla sull’incendio, ci finì d’ammollare sino alle ossa.

Alla fine giungemmo alla fortunata riva ch’era un pantano di fango liquido, ove si affondava sino al ginocchio. La nostra barca si allontanò rapidamente, e insieme alla grande prese a fare il tragitto dalla nave alla sponda. Pochi viaggiatori eran morti, otto in tutto: uno era caduto nel magazzino del carbone; un altro s’era annegato per aver voluto portar seco tutto il denaro: era colui che conoscevo bensì solo di nome, ma che aveva giocato con me a scacchi durante gran parte del giorno e con tale accanimento che il principe W. giunse ad esclamare: «Si direbbe che giocate per la vita o per la morte!». I bagagli però, comprese le carrozze, furon tutti perduti.

Nel novero delle signore scampate dal naufragio, ce [p. 300 modifica]n’era una, la signora T., molto graziosa e amabile, ma ingombra di quattro bambine con le relative donne: onde restava abbandonata sulla spiaggia co’ piedi nudi e le spalle coperte appena.

Credetti mio dovere di cavaliere aiutarla: lo che mi costò il soprabito, una scolla, e perfino gli stivali; senza contare che un contadino con una carretta a due cavalli ch’io ero andato a cercar sull’alto della ripa, inviandolo poi in prima all’incontro delle naufraghe, credè bene di non aspettarmi e di partir per Lübeck con tutte le viaggiatrici, sicchè restai lì solo, seminudo, fradicio sino al midollo, in faccia al mare, ove la nostra nave finiva di consumarsi lentamente. E dico bene finiva, perchè non avrei mai creduto che così gran mole potesse distruggersi tanto rapidamente. Non era più che una larga macchia fiammeggiante giacente immobile sull’acqua, solcata dai neri profili dei fumaiuoli e degli alberi su cui roteavano i gabbiani con volo grave e indifferente: poi un gran pennacchio di cenere disseminata di scintille che si diffondevano in vaste linee curve sui flutti già meno agitati. Questo è tutto? pensai; e tutta la nostra vita non è che un pizzico di cenere in balia del vento?

Fortunatamente pel filosofo che già cominciava a battere i denti, un altro carrettiere venne a raccogliermi. Il brav’uomo si fe’ pagare due ducati, ma in compenso mi avvolse con la sua pesante cappa e mi cantò due o tre canzoni Mecklemburghesi, che mi parvero molto carine. Così giunsi a Lübeck sul levar del sole; vi trovai i compagni di sventura e partimmo per Amburgo.

Là trovammo ventimila rubli che l’imperatore Nicolò, allora di passaggio per Berlino, ci aveva mandati per un aiutante di campo. Tutti gli uomini si riunirono e fu deciso di offrire questa somma alle viaggiatrici, cosa tanto più facile in quanto che di quel tempo un Russo in Germania godeva credito illimitato. Ora, purtroppo, non è più così!

Il marinaio al quale avevo promesso in nome della mamma somme enormi se mi salvava la vita, venne a reclamare il compenso; ma siccome non ero proprio certo che fosse lui, e che d’altra parte lui non aveva fatto per me addirittura niente: così gli offersi un tallero ch’egli gradì con riconoscnza.

Circa la povera cuoca che aveva mostrato tanta premura per la salute dell’anima mia, non l’ho più riveduta; ma, o arrostita, o annegata, sono sicuro che ha già un bel posto assegnato in Paradiso.

(dalle Straniere, di Ivan Turgheniew)

I progressi delle leggi operaie

nei paesi europei.

La politica interna dei paesi europei, ora che tutti i Parlamenti sono chiusi, non ha nulla di particolarmente interessante; è la calma estiva il periodo consueto del riposo e della preparazione. Mentre si sta riposando è utile ed opportuna una rivista rapida dell’opera legislativa sociale compiuta, negli scorsi mesi del 1912, dai diversi Parlamenti europei.

Il movimento delle leggi operaie che esprime la cura crescente dei poteri politici verso il proletariato, è uno dei fenomeni più salienti, che presenta per noi un interesse speciale in quanto, siamo in linea teorica, un partito, una scuola favorevole all’intervenzionismo statale.

Chi scorre la carriera legislativa sociale dei governi d’Europa, rileva subito che, tra tutti i problemi, quello che primeggia, che è maggiormente discusso, che preoccupa tutti i legislatori, è il problema delle assicurazioni operaie. Esso è il più complesso, il più difficile, il più grave per le conseguenze finanziarie. La intensità con cui il problema è sentito dimostra come si sono fatti dei grandi progressi e lo Stato ha un più alto concetto dei suoi doveri verso le classi lavoratrici. In ogni paese si parla di assicurazioni operaie; in alcuni paesi per attuarle, in altri per migliorare gli istituti già esistenti e per renderli più efficaci, per estenderne il beneficio.

L’assicurazione operaia è una parola la quale comprende le pensioni e le assicurazioni contro la invalidità, la vecchiaia, la disoccupazione, la maternità. Le pensioni operaie costituiscono la più viva preoccupa. zione in questo momento: i lavoratori le reclamano con crescente insistenza, ed i Governi non possono rifiutarsi di ascoltare questi reclami e queste rivendicazioni.

Il paese in cui le pensioni operaie furono oggetto di più vive discussioni è la Francia, dove la legge che le ha istituite, in seguito all’agitazione dei lavoratori ed alle richieste di autorevoli parlamentari, è stata corretta: le pensioni non saranno più concesse a 65 ma a 60 anni.

Bisogna riconoscere che il governo repubblicano è stato arditissimo con questo passo che viene a gravare il bilancio già oberato, di nuovi fortissimi oneri. Non sembra però che questa riforma insieme ad altre di minore importanza, abbia disarmato i rivoluzionari della Confederazione del lavoro che continuano a far opera di boicottamento della legge, chiedendo le pensioni gratuite. Ben diverso è stato il contegno dei cattolici sociali, che non si sono mai scostati da questo principio: «le pensioni operaie sono un’istituzione ottima in sè, sebbene difettosa e lacunosa in diverse parti. Accettiamo il principio e pensiamo di migliorarne l’applicazione». Essi hanno avuto il piacere di vedere riconosciuta alle società di mutuo soccorso la facoltà di costituire delle casse autonome per la raccolta delle quote. È un parziale riconoscimento di quel principio discentratore per cui l’organizzazione delle pensioni operaie ha da assidersi su un buon ordinamento corporativo professionale.

Dopo la Francia ci si presentano l’Inghilterra e la Svizzera, le quali, per il loro contegno e per le riforme presentate indicano che anche i paesi più liberisti per spirito e tendenze, non ripugnano più all’intervento statale.

L’Inghilterra è il solo paese europeo che è vero, la pensione non si gode che a settant’anni, età raggiunta da pochi operai, ma è innegabile che è stata una grande riforma.

E dopo di essa abbiamo visto in questi mesi, applicata l’assicurazione obbligatoria contro le malattie, l’ [p. 301 modifica]invalidità e la disoccupazione. Nessun paese ha avuto il coraggio di far tanto progresso in una sola volta di presentare insieme tante riforme: la Germania ha proceduto gradualmente e non ebbe la sua triplice sociale che in diversi anni, L’Inghilterra fu più ardita; la sua arditezza consiste anche nell’avere essa apportato l’esperimento della assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione in due delle industrie più vessate dalla mancanza di lavoro.

E noi attendiamo, con vivo interesse, i risultati di questa importante esperienza sociale, che potrà decidere intorno all’opera eventuale di altri Governi.

La Svizzera, paese tanto democratico, ha sempre avuto una vera diffidenza verso l’intervento del potere federale in materia di assicurazione; essa, dopo al ere compiuta l’opera grandiosa della riforma del suo codice civile in cui è entrato un largo soffio sociale, ha riconosciuto il principio dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, in riguardo alle malattie ha voluto procedere con spirito liberistico, poichè ha destinato dei sussidi alle società di mutuo soccorso e lasciato ai Cantoni il potere di imporre l’assicurazione obbligatoria.

Sono questi i fatti più salienti del movimento politico sociale in questo primo semestre, per ciò che riflette l’assicurazione operaia, la quale intanto è assai dibattuta nel Belgio e non è dimenticata in Italia.

La Germania ha visto entrare in vigore la riforma delle sue assicurazioni, per cui anche gli orfani e le vedove, dopo tanto tempo che il Governo si era impegnato a farlo, sono ammesse al beneficio della legge. Nel Belgio c’è una corrente sempre più favorevole al principio dell’assicurazione obbligatoria ed il ministro dell’agricoltura ha promesso formalmente di presentare un progetto in questo senso.

L’Austria ha istituito le pensioni per gli impiegati privati.

In Italia il fatto più saliente è la Cassa di maternità, la prima forma di assicurazione obbligatoria contro le malattie, la quale ha incontrato le critiche e la diffidenza delle lavoratrici e l’opposizione vivissima degli industriali. Ma il principio è buono: quello che importa è il correggerne la pratica applicazione.

La parte più cospicua della attività legislativa odierna — sul terreno sociale — è dunque rivolta alle assicurazioni. Ma altri problemi premono e incalzano: in Italia si sollecita, oltre le diverse riforme che attendono da lungo tempo come il probivirato agricolo e l’ispettorato, l’assicurazione contro gli infortuni agricoli, il sussidio alle casse di disoccupazione ed una legge a favore dei minatori.

In Francia, mercè il concorso efficace dei cattolici sociali, si sta per ottenere l’abolizione del lavoro di notte nei forni; l’abate Lemire ha fatto provare l’abolizione del lavoro notturno dei fanciulli nelle industrie a fuoco continuo, la proibizione delle veglie nell’industria dell’abbigliamento, che esauriva tante povere lavoratrici.

In Germania è passata la legge sul lavoro a domicilio, molto imperfetta certamente, ma che, coi comitati facoltativi di salari che essa consente, promette migliori e più efficaci provvedimenti. In Ispagna la limitazione delle ore lavorative dei minatori è all’ordine del giorno: nè questo è il solo problema sociale che sia trattato e discusso in quel paese.

Il governo belga uscito più forte e più incoraggiato dall’asprissima lotta elettorale, ha un programma di riforme da attuare e che verrà proponendo con quella saggezza che distingue l’opera sua.

Anche la Russia, la Rumenia, ed altri diversi paesi partecipano, in forme più o meno importanti, a questo movimento che or mai si impone all’attenzione di tutti.

Non tutto è ben riuscito, ottimo quello che si fa: non mancano i difetti e gli errori, ma l’esperienza è il crogiuolo che attraverso l’opera sociale legislativa si purifica, si migliora, si eleva. Non è un intervenzionismo ad oltranza che ormai si vuole e si ricerca, ma leggi sociali sagge, proporzionate alle esigenze di ogni paese, ben preparate. È questa la mira e la tendenza dei legislatori più esperti, più educati, più colti.

lettere americane


Villeggiatura...

New-York, agosto.

Se l’inverno è terribile a New-York per l’estremo rigore della temperatura, la stagione estiva non è certo più piacevole, per cause analoghe se pur inverse. Ma l’eccessivo domina in tutto e in tutti. A un inverno polare succede, senza gradazioni di trapasso, un’estate torrida, come a un’attività convulsa succede improvvisamente una prostrazione generale. Qui il caldo non ammazza solo fisicamente gli individui: li ammazza anche mentalmente, economicamente, togliendo loro ogni energia, ogni volontà, ogni impulso e, per conseguenza, ogni profitto. Il numero delle vittime del caldo che le agenzie si fanno premura, in mancanza d’altro, di comunicarvi in questo periodo dell’anno, non è una volta tanto, ciò che si vuol chiamare un’americanata. L’asfissia fulminante dei colpi di sole, che uccide i deboli come i pletorici, gli oziosi come i lavoratori, e specialmente i lavoratori all’aperto, non è nulla in confronto di quell’asfissia che colpisce l’organismo delle industrie e degli uffici pubblici e privati, della metropoli. Nelle fabbriche gli operai, nei bureaux gli impiegati si riducono a quantità inerti, inefficienti; le operaie, le sartine, le typewriters non reggono a lungo alla fatica quotidiana: molti negozi, molte ditte son costrette a sospendere i lavori, per parecchi giorni, durante il periodo più caldo, e tutti, ad ogni modo, a chiudere i loro battenti per qualche ora del giorno, quando più arde la canicola.

New-York intanto si spopola. Si trasporta in campagna. È l’epoca dell’esodo classico: sembra che un pungolo misterioso ecciti ogni cittadino alla fuga dalla città di fuoco e di polvere verso le rive fresche [p. 302 modifica]verdi, le campagne ombreggiate e tranquille, i culmini delle montagne biancheggianti di nevi perenni.

Se non sembrasse un’ironia, a questi lumi di canicola, si potrebbe quasi esclamare che ora, a New-York, si respira! Lo spopolamento, in certe ore del giorno, è veramente impressionante. Pare di trovarsi in una immensa necropoli, in cui vagoli soltanto qualche povera anima triste e sperduta. La vita è altrove, al di là delle mura, all’aperto. I fiumi e i laghi, tanto numerosi, degli Stati del Nord-Est, si coprono di imbarcazioni leggiere, mentre le coste dell’Atlantico acquistano tutta una nuova flottiglia, in cui minuscoli yachts si trovano a canto di yachts grandiosi e superbi, la cui sola manutenzione esige la rendita di un milionario. Tutti diventano marinai a quest’epoca dell’anno: del resto non v’è fanciulla americana che non sappia almeno remare e guidare un piccolo battello e sono specialmente le fanciulle che organizzano con amici ed amiche quelle complicate spedizioni di pesca che durano spesso due o tre settimane.

A bordo poi degli yachts privati si danno ricevimenti feste con un lusso e una profusione non inferiori a quelli in voga nei grandi palazzi della città. Solo, sul mare, è invertito l’ordine dell’etichetta che dà il predominio alla signora della casa: qui è il padrone che fa gli inviti e ne risulta spesso un’accolta di ospiti più utili che gradevoli....

Intanto, mentre una folla di stranieri e di parvenus che il Grand West, gli Stati del Centro, del Sud e le Americhe spagnole riversano su le rive dell’Atlantico, affollano le stazioni balneari più famose, come Saratoga e Richfield, gran numero di abitanti di New-York, di Boston, di Filadelfia, di Washington, di Baltimora, vanno a ritirarsi sulle montagne, dove gli ardori dell’estate non giungono, dove si suole anzi, la sera, raccogliersi intorno a grandi fiammate, accese sotto camini monumentali. Queste colonie urbane, che si sparpagliano un po’ su tutti i culmini disponibili, vi trovano per altro tutte le comodità della vita cittadina: hôtels colossali, veri palazzi aerei costrutti di sottili piani sovrapposti, si drizzano fin su le cime più ardue, nei punti più pittoreschi. La vita che vi conduce è, generalmente, molto calma e non rassomiglia per nulla a quella che passano, per esempio, a Saratoga, gli eleganti parvenus.

In quanto ai touristi, alla categoria, cioè, più difficile più numerosa — essi non vanno a cercare la frescura e il riposo onde abbisognano sui versanti della grande Cordigliera, nè su quelli delle Montagne rocciose o dell’Alleghany, che fan da contrafforti al Mississipì, al Missouri e all’Arkansas; i turisti si accontentano di spingersi a qualche ora di distanza dalla città, ove trovan, del resto, delle altre montagne compiacenti che riproducono, sia pure in miniatura, la bellezza selvaggia ed orrida delle grandi catene centrali sono, per giunta, molto più accessibili.... ed economiche, come, per esempio, le Highlands, le Catskills, le Shandakens, nello Stato di New-York; le Honsatokens nel Connecticut; le Berkshire nel Massachussett; le Montagne Verdi nel Vermont e, più al nord, le Montagne Bianche e le Adirondacks.

Queste ultime sono le più belle e più varie e, per conseguenza, le più visitate. Ma per visitarle, non crediate che si adoperino le gambe: si va in battello. Esse presentano, infatti, una superficie quasi interamente composta di piccoli laghi susseguentisi all’infinito e così vicini fra di loro da non permettere altro mezzo di.... locomozione.

Le gite si effettuano in questo modo. A ciascun viaggiatore è assegnata una canoë, una specie di piroga indiana, lunga, stretta e leggera, con rispettivo barcaiuolo. Su questa non vi è posto che per due persone e il barcaiuolo deve attendere a un duplice servizio: remare su l’acqua e portare su le spalle la canoe durante il percorso fra un lago e l’altro: percorso che varia, generalmente, da due a sei chilometri.

Il paesaggio intorno è veramente incantevole e i così detti «punti di vista» si succedono ininterrottamente, con varietà di fascini sempre nuovi.

D’autunno, la scena si fa ancora più bella: il fogliame riveste una patina brillante d’un rosso così vivo che è solo possibile trovare in certe campagne americane; la caccia viene poi ad aggiungere i suoi allettamenti alle bellezze di questo angolo privilegiato della natura: la selvaggina vi abbonda e gli sportsmen formano qui dei veri accampamenti, non più preoccupati, oramai, dal pericolo delle frecce indiane, che lasciano vagar sicuro e tranquillo anche il capriolo lungo le rive limpide di questi laghi incantatori.

Dopo le Adirondacks, le Montagne Bianche sono quelle che presentano maggior interesse. Si percorrono in diligenza o in vettura, quando non si vogliono organizzare allegre cavalcate, come spesso avviene fra i giovani della contrada. Il punto culminante di questa catena è il monte Washington, a circa tremila metri sul livello del mare. Una ferrovia funicolare agevola la fatica della salita ai garretti non troppo solidi.

E in cima, una solida capanna, fissata alle rocce per mezzo di robuste catene, offre tutte le attrattive dell’alta montagna. In una sala bassa, mal rischiarata, ma in compenso abbastanza riscaldata, si può anche gustare un buon fritto di «maiale e fagiolini». In quanto al dormire, quando il numero dei visitatori è troppo abbondante bisogna accontentarsi. Si va a letto in certe cuccette primitive che a pena bastano per una persona di dimensioni normali. Certo, se si è venuti soli, l’idea di dormire col primo che capiti, non è soverchiamente confortante; per fortuna, l’aria della montagna serve a meraviglia a disperdere certe ubbie: vi abbatte subito in un sonno così profondo che dormireste anche in un letto di serpi. D’altronde, il vostro sonno non è destinato a durare a lungo. Prima che il giorno cominci, una campana vi desta di soprassalto, come il buon Tartarin, nell’albergo svizzero delle Alpi.... Non è un allarme d’incendio: è semplicemente il segnale che annunzia il primo numero del programma della giornata. Non v’è stagione alpina che non l’offra ai suoi ospiti e non lo calcoli poi a prezzi variabili ne’ suoi bills settimanali. Nessuna meraviglia, quindi, che anche su le Montagne Bianche d’America siate costretti a interrompere i vostri sonni profondi per [p. 303 modifica]assistere allo spettacolo della levata del sole. Lo spettacolo è troppo noto ed è stato già abbastanza descritto e veduto perchè io ve n’abbia ad infliggere una nuova cucinatura.

Ravvolti in pellicce, in plaids, in coperte d’ogni genere, i freddolosi touristi, ancora mezzo assonnati e sbadiglianti, balzano dalle tepide cuccette ad affrontare la nebbia umida e fredda della prima alba e cercano di farsi animo reciprocamente con esplosioni ammirative o con barzellette eroiche che cooperano a rendere ancor più rigida l’atmosfera. Poi succede un grande silenzio, la nuvolaglia comincia a disperdersi, i primi fiati dell’aurora la sciolgono come gelati di crema, forme da prima caotiche e fantastiche si levano su dalle valli, si alleggeriscono, si attenuano, sembra si spiritualizzino, prendendo grazia, più salgono verso l’alto e l’azzurro; poi viene il vento che squarcia rapido l’ultimo velo; una tinta rosea si delinea su tutte le forme vaghe e vaganti nel cielo, le montagne intorno si ricoprono di rubini e di smeraldi, brillano nella prima luce, indorqno, arrossano, finchè il sole balza dietro un vertice luminoso, si affaccia di colpo, contempla soddisfatto lo scenario che si è spiegato a riceverlo e ogni cosa a poco a poco si precisa nell’immobilità del paesaggio.

È inutile: ci si lamenta sempre, prima disturbati nella nostra pigrizia e nella nostra indifferenza; poi.... poi si è costretti ogni volta a gridare di entusiasmo, a gioire come bimbi e si dimentica tutto, sonno, stanchezza, freddo, appetito e.... conto finale. Si ridiscende allegri, soddisfatti, commossi, proprio come la prima volta....

Interessanti, nella stessa catena montana, a qualche ora soltanto da New-York, sono certe rocce mostruose che, dopo aver servito di letto all’oceano, si trovano oggi a circa mille metri nel suo livello. Lasciato là da qualche cataclisma antidiluviano, esse han veduto succedere delle gigantesche foreste vergini ai ghiacciai secolari. E oggi dei vasti campi di frumento ondeggiano su la stessa plaga dove son caduti, sotto i colpi dei mazzaioli, quegli alti abeti, destinati a percorrere il globo, ritti su le prue dei velieri, sotto la carezza delle bandiere «Star and Stripes».

Nascosto fra queste montagne, vi è un piccolo lago conosciuto sotto il nome di «Christus Judey», «The Great Stone Face», la «grande faccia di pietra». Il nome è derivato da un fenomeno curioso. Riflettendo gli abeti e le rocce franose che la circondano, l’acqua di questo lago riproduce i tratti severi e dolorosi di Cristo. La corona di spine, la barba, l’espressione del viso, tutto vi si ritrova e il silenzio della natura circostante non fa che aumentare la impressione solenne prodotta da questa imagine.

Gli indiani adoravano la faccia di pietra e ad ogni primavera le loro barche, cariche di fiori e di frutti, coprivano le acque consacrate di spontanee offerte. Essi imaginavano, nella loro semplicità, che al tempo in cui eran saggi e buoni, la figura assumesse i tratti d’un vegliardo gioioso che ridesse con loro; quando poi obliarono gli insegnamenti dei padri e vennero gli uomini dal pallido volto a castigarli cacciandoli dai loro boschi e dalle loro montagne, da quel giorno la Faccia di pietra non ride più e i cristiani la chiamarono «Christus Judey».

Il poeta americano Hawthorne ha scritto, intorno a questa curiosa effigie, una leggenda fantastica molto nota nel paese. Ma non è questo il momento di dilungarmi a narrarvela.

Ritornando al nostro soggetto, vi dirò, per finire, che una moda molto in auge in questi ultimi anni è quella di godersi le vacanze estive facendo delle tournées di parecchie settimane su certe vetture di montagna, simili a quelle di cui si servivano un tempo i marraioli del lontano West: vetture curiose composte di un’unica asse flessibile lunga da tre a quattro metri, le cui estremità riposano. (per modo di dire) su le ruote producendo un traballamento continuo. Al centro dell’asse si trova l’unico seggio, sotto il quale è posta la cassa delle provvigioni. Come vedete, non è certo questo l’ideale del comfort escursionista, ma tutti i gusti son gusti. Gli escursionisti abbondano e tutto serve per viaggiare agli americani che hanno l’ottima abitudine di visitar bene il proprio paese prima di lanciarsi alla scoperta degli altri.

Naturalmente, anche viaggiando, essi portano seco le loro piccole e varie manie. Per esempio, quella dei clubs. Ovunque vadano, è la prima cosa cui pensano e provvedono.

L’anno scorso, alle Catskill, alcuni escursionisti affittarono a prezzo d’oro una stanza comune del pianterreno dell’hotel per poterla usare come sede di club.

La metamorfosi fu compiuta in poco più di mezz’ora. Le signore portarono ventagli cinesi, sciarpe, drappi, fotografie, incisioni, sgabelli, sedie, balançonnes, mantelli, plaids, ecc. I ventagli, le fotografie, le sciarpe, i drappi servirono a coprire la nudità delle pareti; si intrecciarono i mantelli e se ne fecero delle causeuses civettuole; si distesero i plaids a mo’ di tappeti e per completare l’arredamento del locale, un signore portò da una fiera vicina alcune lanterne giapponesi che vi stettero a meraviglia.

Costituito il club, i membri presero subito l’unica deliberazione della season, ciascuno s’impegnò a darci una festa per proprio conto, con l’intesa che tutti dovessero obbedire ciecamente, per turno, all’organizzatore. Così, per tre mesi, a Catskill, vi fu una successione continua di concerti, di feste veneziane, da vaudevilles, di spettacoli, insomma, d’ogni genere.

L’aria viva delle montagne cooperò al buon esito terapeutico della season; su le gote delle fanciulle si riflessero i colori bronzei e dorati delle foglie d’autunno. E come le prime nebbie cominciarono a delinearsi su l’orizzonte, tutta la comitiva parti soddisfatta e rinvigorita a riprendere nella città, con la classica energia, la varia vita quotidiana di lavoro, di agitazione, di gioia....

E. A. Marchi.