Il buon cuore - Anno XII, n. 03 - 18 gennaio 1913/Il Cardinale Capecelatro

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Il Cardinale Capecelatro

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Il buon cuore - Anno XII, n. 03 - 18 gennaio 1913 Educazione ed Istruzione
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Il Cardinale Capecelatro

Cenni gentilmente favoriteci dal R. Mons. G. Polvara


Il Cardinale Capecelatro si è spento serenamente santamente in Capua il giorno 14 novembre alle ore 18 dopo una giornata di sofferenze.


Una vita di apostolato


Il card. Alfonso Capecelatro nacque a Marsiglia il 5 febbraio 1824 da Maddalena Sartorelli e dal conte Francesco Capecelatro, duca di Castel Pagano, valoroso soldato che all’assalto di Capri del 1808 aveva meritato una promozione dal prode Gioachino Murat, e che nella vigilia del famoso 14 dicembre del 1820 aveva difeso strenuamente la reggia, al quale però tanti meriti non erano valsi agli occhi sospettosi del sovrano Ferdinando I, che finiva per obbligarlo a volontario esilio. I coniugi vissero a Marsiglia sino al 1826, troppo breve tempo. perchè nel temperamento del fanciullo rimanesse traccia d’impronta straniera. Ma i disagi dell’esilio trascinato per altri cinque anni da Marsiglia a Roma, da Roma ad Ancona, e le angustie inseparabili della vita raminga, affrontate però senza pentimento dai suoi, dovettero rivelare assai per tempo a quel bambino il pregio dei «liberi ordinamenti». Nè forse fu senza efficacia nello spirito di chi ha scritto la mirabile pagina della mansaetndine evangelica, la preghiera che dalle labbra della madre buona egli apprese a fare per coloro che la spingevano innocenti a dolorare lontano dalla patria.


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Nel 1830 poterono finalmente ritornare a Napoli; ma, o fosse disgusto di uomini e di cose, o fosse desiderio di sicurezza e di tranquillità, la famiglia Capecelatro preferì dopo qualche anno, di ridursi a vivere in una villa che aveano costrutta a San Paolo Belsito, nelle vicinanze di Nola. Qui cominciarono i primi studi del giovanetto. Nessuno però ricorda più il nome del modesto insegnante del Seminario Nolano, dal quale, nelle belle giornate, si recavano i fratellini Alfonso e Antonio per apprendere i rudimenti d’italiano e di latino. Del resto è bene dir subito che il cardinale Capecelatro non imparò mai molto nella scuola, che frequentò assai poco. Nell’Oratorio di Napoli aveva anche trovato un modello amabilissimo di perfezione evangelica nella persona del P. Giuseppe Pennasilico, e la biblioteca copiosa: e quegli e quella furono i primi veri maestri al suo spirito attivissimo. Mancava solo una occasione che gli avesse rivelata la particolare attitudine del suo ingegno, e l’ebbe a 20 anni, quando, uscito appena dal noviziato, fece una visita a Montecassino, dove era già monaco don Luigi Tosti. Si conobbero, divennero amici, e fu allora che al roveto ardente dello storiografo della contessa Matilde, si accese la limpida fiaccola dello storico di Santa Caterina da Siena. Il 30 maggio del 1847, si ordinò sacerdote, portando a Dio, sull’altare, tutte le speranze, tutte le ansie che allora ardevano e gemevano nel cuore dei cattolici italiani. Però il turbine degli avvenimenti incalzantisi non lo rapì, nè allora, nè poi: ma nemmeno lo sgomentò. Credeva, sapeva che Gesù Cristo è eterno nell’umanità: eterno l’aveva veduto nelle mutevoli contingenze della storia. e perciò non poteva maledire al presente senza pericolo di disconoscere il «Cristo che è oggi». E nella profondità di tale coscienza cristiana gettò le radici tutta l’opera sua di sacerdote e di scrittore, di cui tosto cominciarono a sentirsi i benefici. Perchè nella sua cameretta ai Gerolamini, attorno al confessionale nella balla chiesa di San Filippo convenivano già, tra il 1849 e il 1860, quanti cattolici aveva Napoli più intelligenti e più operosi. E in quei fraterni convegni ove spesso si trovava insieme Alfonso Casanova, P. Ludovico da Casoria. Enrico Cenni, don Gaetano Bernardi. Federico Persico si facevano e si trovava il modo di eseguire disegni come eli «A sili infantili» e l’«Opera di assistenza per i fanciulli abbandonati» del Casanova: gli ospizi marini di P. Ludovico: libri di politica e di filosofia come quelli del Cenni; di propaganda manzoniana come quelli del Bernardi; saggi aurei di catechismo, fatti a prova, dal Persico e dal Capecelatro medesimo. Il quale se traeva profitto dalla comunione con quegli uomini in contatto con la vita, giovava poi esso a tutti con l’equilibrio inalterato del suo spirito e con senso vivo della realtà effettuabile. E non fu meno efficace l’opera di lui [p. 18 modifica]come direttore di anime se si pensa anche solo a Teresa Ravaschieri e a Paolina Craven Laferronays.

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E intanto la Storia di S. Caterina da Siena (1856): Newman e la religione cattolica in Inghilterra (1859); S. Pier Damiani (1862); Gli errori di Renan; La vita di Gesù Cristo; La dottrina cattolica e molti altri scritti tra il 1860 e il 1880 su tutte le aspre questioni politico-religiose di quel periodo difficilissimo San Filippo Neri (1881), come aveva diffuso il nome e il pensiero del padre Alfonso Capecelatro per tutta Italia e fuori, aveva destato anche nei cuori in cui il desiderio di pace era più segreto ma non meno vivo, la fiducia di ricondurre a Cristo, ancora una volta, la civile società. Poteva esserci apostolato più degno di un sacerdote cattolico di questo che intendeva a conciliare la Chiesa eterna con la patria immortale lo spirito della fede che non passa con lo spirito della scienza che non muore? Ora S. Pier Damian, S. Caterina, S. Filippo Neri, non avevano saputo superare nella loro vita, e nei loro secoli, siffatti e più profondi dissidi dei tempi passati? e al tempo nostro l’armonia non cominciava a farsi nejla coscienza rinata eroicamente cattolica di Giovanni Enrico Newman? Non è meraviglia dunque che il padre spirituale del piccolo cenacolo della casa di S. Filippo in Napoli — la stessa magnifica casa che la mite franchezza cristina del P. Preposito Capecelatro strappò intera alla furia anticlericale d’allora — non è meraviglia che sia poi divenuto come il padre spirituale di tutti i grandi cattolici, votati col medesimo sincero fervore alla causa della Chiesa e a quella della patria. Di quegli uomini bisogna ricordare i nomi; giacchè essi si chiamarono Alessandro Manzoni, Niccolò Tommaseo, Gino Capponi, Federico Sclopis, Cesare Guasti, Augusto Conti. E a questi bisognerà aggiungere Felice Dupanloup e Carlo Montalembert, pomi che stimò dapprima nella calda ammirazione della comune amica Paolina Craven, la scrittrice di Recit d’une soeur, e più, quando poi conobbe direttamente, nel vescovo d’Orlèans un modello di pastore di anime, e nel Montalembert il tipo di patriota cattolico; senza dire quanto abbia influito sullo scrittore delle vite dei Santi, la bella vita di S. Elisabetta di Ungheria dello eloquentissimo conte. Ed eccoci al 1879. Il santo ideale che il modesto Filippino aveva proseguito con diritta coscienza e spesso tra dolorose diffidenze, allora aveva attratto a sè anche la mente di Leone XIII, che in quel medesimo anno creò cardinale l’altro grande sospettato Enrico Newman, e chiamò in Roma col titolo di prelato modestie°, all’Ufficio di sottobibliotecario di S. Romana Chiesa, il padre Alfonso Capecelatro. Ma bastarono a quel Papa pochi mesi per conoscere quale amore per la Chiesa e pel Vicario di Cristo ardesse nell’anima di quell’esile prelato. Nel 1880 lo stesso Leone XIII lo nominò arcivescovo di Capua e nel 1885 lo creò cardinale e poi bibliotecario di S. Romana Chiesa.

Frutto dell’operoso raccoglimento nella sua silenziosa Capua, ma di non più che pochi minuti giornalieri concessi alla scrittura dagli obblighi pastorali, sono stati: P. Ludovico da Casoria, S.’ Alfonso, La Venerabile Frassinetti, Le virtù cristiane: e senza contare le «Pastorali», più 1i trenta discorsi e, parecchie monografie, su argomenti capitali come Il divorzio, vitali come Le vie nuove del clero e L’insegnamento religioso. Perfino la sua preghiera quotidiana egli trovò il modo di farla in comune con la

sua immensa famiglia spirituale: e il Sursum Corda, L’anima con Dio, I.e elevazioni al Sacramento hanno potuto essere visti tra le mani dei pontefici e di regine, di generali d’armata e di ministri d’Italia, di scienziati e di poeti, sotto altere fronti inclinate a Dio, sopra umili cuori a Dio elevati. Se ne vide uno «L’anima con Dio» anche in mano al poeta nell’atto di offrirlo a una sua cara bambina dicendole: «Prendi, così pregherai in buona lingua italiana». Ma non solo per questo a Giosuè Carducci, per quanto letterato, il libretto doveva sopratutto piacere per la sua fresca vena di religiosa sincerità. Seguace della nuova scuola storica italiana che ebbe maestri il Cantù, Cesare Ba’bo, il Troya, il Capponi, il Fornari e P. Tosti, egli non chiese alle cifre e ai polverosi documenti più di quelli che essi potessero dare e il velo nascosto trasse e fece rivivere in pagine stupende, spiranti luce e calore. Nei numerosi scritti d’indole oratoria che rivelò doti di eloquenza sacra e veramente superiore. Niuno meglio di lui conobbe ed amò in Gesù Cristo i nostri tempi, e niuno meglio di lui seppe considerarne i bisogni e gli avvenimenti, guardandoli nella luce degli insegnamenti cristiani, e sollevandosi spesso ad altissime considerazioni, che rivelano i] filosofo della storia, il quale nei fatti umani scruta i disegni di Dio. Ma la forma della sua eloquenza è piana, senza artificio di rettorica, accessibile anche al popolo minuto, tracciata veramente secondo le norme e l’esempio di S. Filippo Neri. Tra gli oratori sacri contemporanei, non sapremmo indicare ai giovani sacerdoti un modello migliore di sacra predicazione veramente pastorale. Infine va ricordato che egli fu anima superiore alle grettezze di parte, serbando sempre intero il suo amore per la Chiesa d’Italia e dimostrandolo nella vita senza ambiguità nè timidezze, anche quando lo sciagurato conflitto che tutti affligge, pareva rendere incompatibile i due amori,

Una bella pagina del card. Mercier sul grande estinto. Noi non sapremmo rinunciare in questo breve cenno biografico sul grande seomnarso, gloria fulgidissima della Chiesa nonchè dell’Italia, a una bella pagina del cardinale Mercier, che nell’aprile scorso in occasione del giubileo cardinalizio del card. Capecelatro scriveva di lui: «Io dubito che al Presente esista nel mondo cattolico un uomo il anale sintetizzi, in egual grado del cardinale Capecelatro, gli interessi vitali della Chiesa. Sacerdote innanzi tutto. discepolo fedele dei Santi Filipno Neri e Alfonso de’ Liquori, dei quali Pali ha. in forma tanto elevata, esnosta la storia edifi-ante, ha messo sempre tra le prime cure del suo zelo apostolico la formazione morale e religiosa del suo clero e più snecialmente emella dei giovani leviti del Santuario. Ministro e soldato della Chiesa e fiero patriota a un tempo, egli ha notentemente conferito al decoro dell’alto clero nella sua bellissima patria l’Italia. I suoi numerosi scritti pieni di attrattiva e di dottrina. occupano uno dei primi poti nella letteratura religiosa di questi ultimi 50 anni. Da lungo tempo io ardeva dal desiderio di fare la conoscenza personale di q uest’uomo insigne, e dacché io ebbi l’onore di, occupare l’ultimo nnon del illuSacro Collegio, che a nome e le opere di strano da un quarto di secolo. il mio desiderio si raddoppiò. Ricordo vivamente l’emozione che mi sentii calando nel marzo dell’anno scorso mi trovai finalmente in presenza del venerabile vegliardo. Fgli ha conservato tutto il vigore del suo pensiero, l’occhio è rimasto penetrante: la sua parola, anche [p. 19 modifica]in francese d’una eleganza accademica, è sempre piena di grandi ricordi, il suo accento è comunicativo, e quando dalla sua solitudine di Capua egli spazia lo sguardo scrutatore sul mondo cattolico e si domanda a che punto sono in Inghilterra e negli Stati Uniti, in Germania, in Francia, nel Belgio, gl’interessi della Chiesa, i suoi interlocutori sentono che il cuore di lui batte più forte, la sua parola si riscalda e si colorisce, le aspirazioni si elevano ma con una tinta di melanconia, da cui l’anima sua non può sentirsi libera. lo considero come un favore singolare l’aver passato non più di qualche ora testa a testa, oserei quasi dire cuore a cuore, col cardinale Capecelatro». Recentemente la veneranda sua canizia fu conturbata da dolori venutegli da acuite ostilità e da accuse ingiuste. Coll’animo in pena e rassegnato, egli dettò mirabili pagine riboccanti di carità evangelica per i suoi calunniatori. Pagine più soavi non ha la letteratura nostrana. La lettera pastorale pubblicata dalla casa Desclée di Roma data dallo scorso ottobre.

Alle note biografiche del compianto cardinale Alfonso Capecelatro arcivescovo di, Capua diamo cenno dell’ultimo suo scritto. E’ una lettera pastorale dell’ottobre scorso, nella quale egli comunica al suo clero diletto l’amarezza dell’animo per certe accuse ingiuriose alla sua persona e con grande semplicità espone quali siano stati sempre gli intendimenti del suo governo spirituale. E’ quindi un documento che a caratterizzare l’uomo vale tutta la lode che nell’ora dolorosa, da ogni parte d’Italia e del mondo risuona alla sua memoria. Crediamo quindi di far piacere ai lettori riproducendo quasi integralmente la lettera interessante: «Voi, e altri ancora che non appartengono a quest’archidiocesi, avete avuto notizia delle calunnie messe a stampa in alcuni foglietti anonimi contro la mia persona. Conoscete altresì che sebbene io abbia desiderato che di tali calunnie non si occupassero nè i giornali, nè altri, parendomi assai meglio che esse cadessero da sè, pure ciò non fu possibile. Però divulgatasi nei giornali la notizia di esse ne seguirono le molte proteste fatte dal mio clero, dal mio popolo, e da altri, centro i calunniatori, le quali si possono vedere stampate nel periodico dell’archidiocesi, la Campania Sacra. Ora mi pare utile che io, per il bene dell’anima mia e delle vostre, manifesti qui col cuore aperto i sentimenti onde sono animato. E per tal fine mi rivolgo innanzi tutto a Dio per benedirlo e ringraziarlo della tribolazione con cui ha voluto e vuole santificare la mia molto tarda età. In vero riconosco e mi piace qui di confessarlo davanti a Dio e a tutti che non è passato un sol giorno della mia vita senza che io non mi sia accorto di avere avuto singolari e segnalati benefizi dall’infinita bontà di Dio. Ma riconosco tra i maggiori di tutti i benefizi ricevuti questo del tentativo fatto da alcuni di gettare una fosca luce sulla mia povera persona, per darmi così occasione di elevarmi più in alto con la mente e col cuore, di riconoscere come massimo dei benefizt per un vescovo la tribolazione, e sopratutto di aver potuto imitare quel Gesù Cristo che accusato di essere posseduto dal demonio. rispose nobilmente e pacatamente così a chi lo accusava: «Io non ho in me il demonio, ma glorifico il mio Padre, che è nei cieli». Indi riassunto in breve le accuse mossegli in occasione di alcuni concorsi a benefici ecclesiaistici continua: «Ma quali sono mai le disposizioni del mio animo verso i calunniatori? Io li perdono, prego per essi

con quanto ho di cuore, particolarmente, ogni giorno, e desidero che tutti, sacerdoti e laici di questa mia archidiocesi preghino pure col medesimo intendimento. Se io vedessi una volta qualcuno dei miei detrattori veramente pentito, quel giorno sarebbe per me una vera festa dello spirito. Quanto a coloro, che in questa grande tribolazione da me sofferta si mostrarono indifferenti, per quello che dicono quieto vivere, io mi contento di ricordare loor che non c’è un solo di essi che non abbia avuto benefizi da me anche recentemente, e desidero che almeno mostrino di amare il loro padre e pastore pregando molto per me. Vorrei pure che essi benignamente pensassero che in questa mia tribolazione non si tratta di una quistione tra me e qualche mio sacerdote, perchè, in tal caso avrei pregato il sacerdote di ricorrere alla Santa Sede, giudice inappellabile; ma di tutt’altro si tratta. Qui alcuni sacerdoti, io credo, in minor numero delle dita di una mano, accecati non so da quali passioni, hanno, con stampe anonime e ingiuriose. voluto diffamare me; ma in verità hanno diffamato sè stessi, nocendo anche alla buona riputazione del mio diletto clero. Intanto, figliuoli e fratelli carissimi, per la mia età tanto inoltrata e per i non leggieri acciacchi da essa derivanti, io potrò solo per breve tempo governare ancora questa mia archidiocesi. Quando piacerà a Dio noi ci separeremo, a voi auguro un vescovo che possa e sappia fare meglio; io spero, dopo di avere veduto quaggiù il mio Dio, secondo che dice S. Paolo, come in uno specchio nelle sue creature, di vederlo presto faccia a faccia nella sua infinita bellezza. Però prima di uscire da questo mondo credo bene di manifestarvi con quali principi e con quale animo ho procurato di reggere l’archidiocesi affidatami da Dio per mezzo del Papa: tanto più che io son risoluto di non mutare neanche in piccola parte, nemmeno ora, la mia condotta. Io ricevei da natura un’indole affettuosa e proclive alla mansuetudine; diventato, per grazia di Dio figliuolo del dolcissimo S. Filippo Neri, ebbi anche molte occasioni di persuadermi che le vie della carità e della dolcezza fossero le più opportune a ben governare e a dare all’autorità episcopale una forza e una efficacia, che tanto sono maggiori quanto meno vedute. Il venerabile padre Lodovico da Casoria e quattro o cinque servi di Dio, che mi furono affezionatissimi, dandomi ogni giorno prove di carità e di dolcezze ineffabili, giovarono molto a confermarmi in questa idea. Diventato vescovo per obbedienza al Sommo Pontefice Leone XIII, il quale mi accennò pure le gravi difficoltà che io avrei incontrate qui a Capua, mi credetti obbligato e spinto a governare la mia archidiocesi sopratutto in carità e mansuetudine, credendo altresì che l’una e l’altra mi sarebbero di aiuto nel compiere la giustizia ad ogni costo, sempre. Con tali disposizioni di animo io soffrii e soffro sempre che debbo punire qualche mio sacerdote, e anche se debbo solo contrariarlo in quei desideri di beni umani, i quali anche se onesti non ci appagano mai interamente: sì che S. Agostino potè con grande sapienza dedurre da ciò che noi siamo creati per godere eternamente Iddio. Nondimeno dichiaro qui altamente che queste sofferenze dell’animo non mi hanno mai impedito, come io spero, di compiere il mio dovere di pastore delle anime vostre; perchè sono convinto che il vescovo, il quale non vuole e non sa soffrire nel compiere il dovere proprio sia al tutto indegno del suo ufficio. Nè questo basta. Io per approssimarmi quello che, secondo me, è l’ideale di un buon vescovo, ho creduto e credo che egli nelle sue azioni non debba voler piacere agli uomini, ma farsi sempre ispirare nel governare clero e popolo dalla propria coscienza, [p. 20 modifica]dalle leggi di Dio e della Chiesa e, secondo i casi, dal volere o dai consigli del Papa. Questi sono i principi da cui io ho voluto e voglio farmi sempre guidare. Quanto poi ai fini principali che mi sono preposto nel governare I arcnicliocesi essi sono due: uno riguarda la vita religiosa del clero e del popolo, l’altro la vita morale dell’uno e dell’altro. Per quello che riguarda la vita religiosa io mi sono sempre adoperato, perchè essa sia, quanto è possibile, anche interiore e si manifesti nel culto senza le molte profanazioni che talvolta la contaminano, e con quella dignità, nobiltà e bellezza, che particolarmente ci sono state comandate in questi ultimi tempi, sia per il canto, sia per il resto, dall’amatissimo Pontefice Pio X. La vita morale io la stimo nel cattolicismo inseparabile dalla vita religiosa e chi crede e spera che basti andare in chiesa e usare a certe pratiche religiose pdPrA essere buon cattolico, erra grandemente. La divina Scrittura insegna che la fede senza le buone opere è morta, e da ciò si deduce chiaramente che è pur morta la vita del culto esteriore, quando essa non ci induca a vivere secondo la nobilissima morale di Gesù Cristo e della Chiesa. Figliuoli e fratelli carissimi, che avete avuta per me grande reverenza ed amore, ascoltate benignamente queste parole, pregate molto per me, e io, dichiarandovi che anche dopo morto, non dimenticherò mai i vincoli che mi hanno unito a voi, cordialmente vi benedico». Ad altro numero un cenno sopra gli scritti del Cardinale Capecelatro.