Il buon cuore - Anno XII, n. 05 - 1º febbraio 1913/Religione

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Vangelo della Quinquagesima

Testo del Vangelo.

Il regno de’ cieli è simile ad un uomo il quale seminò nel suo campo buon seme. Ma nel tempo che gli uomini dormivano, il nemico di lui andò, e seminò della zizzania i nmezzo al grano, e si partì. Cresciuta poi l’erba e venuta a frutto, allora come parve anche la zizzania. E i servi del padre di fanti [p. 36 modifica]glia accostatisi gli dissero: Signore, non avete voi seminazo ouon seme nei vostro zampa/ s ome aunque ha ueiea sizzanair’na ez rispose coro: ticaccize nemico na!culo tal cosa..0 z servi giz azssero: oiele voi cne anuzamo a coglierla/ Cu egli rispose: LV o, Ancrie cogzienao za zizzania, non essirpaiie con essa anche zl gitii10. lasciate cne cuna e Laura crescano sino ama acuita, e ai tempo aeua ’,cotta airo az mieiziorz: sierpate in primo zuago la zizzania, ze,gazeta astemi per bruciarza; a grazio poi rauzinaieio nel mio granaio. 1--ropuse loro un’altra parabola, dicendo: E’ simzie regno ae’ cieli a un grano az senapa, che un uomo prese e semino nel suo campo: La quote e bensì la più minuta az tutte le semenze; ma cresciuta che sia, e maggiore az zuliz z legumi, e diventa unazoero, azmouoine gli uccelli aeti" aria vanno a riposare sopra z uz lei rami. Un’aztra parabola disse loro: E’ simile il regno dei cieli a un pezzo ai lievito, cui una donna rimescola con tre stizza ai farina, /intanto che tutto sia fermentata. l utte queste cose Gesù disse alle turbe per via di parabole; nè mai parlava loro senza parabole; affinchè si adempisse quello che era stato detto dal f’rofeta: Aprirò la mia bocca in parabole, manifesterò cose che sono siate nascoste dalla fondazione del mondo. Allora Gesù, licenziato il popolo, se ne tornò a casa; e accostatiglisi i suoi discepoli, dissero: Spiegaci la parabola della zizzania nel campo. Ed ei rispondendo disse loro: Quegli che semina buon seme, si è il Figliuol dell’Uomo. Il campo è il mondo; il buon seme sono i figliuoli del regno, la zizzania poi sono i figlioli del maligno. Il nemico che l’ha seminata, è il diavolo; la raccolta è la fine del secolo; i mietitori poi sono gli Angeli. Siccome adunque si raccoglie la zizzania e si abbrucia, così succederà alla fine del secolo. Il figliuolo dell’Uomo manderà i suoi Angeli; e torranno via dal suo regno tutti gli scandali, e tutti coloro che esercitano l’iniquità; e li getteranno nella fornace di fuoco ivi sarà pianto e stridore di denti. Allora splenderanno i giusti come il sole nel regno del loro Padre. Chi ha orecchio da intendere intenda. S. MATTEO, cap. 13.

Pensieri. Gesù anche un’altra volta ha voluto Egli stesso fissare l’interpretazione della parabola. Bisogna pur concludere che Egli vi annetta una singolare e straordinaria importanza. Ciò che è perfettamente giustificato dallo spettacolo che il mondo di tutti i giorni ci offre. Niuno di noi può e rimane indifferente innanzi allo spettacolo doloroso — lagrimevole — delle verità oppresse, della sacra morale conculcata, dell’innocente perseguitato: quante volte non ci siamo domandati se non sia una chimera, una folìa il santo nome di vero, di bene, virtù, innocenza: quante volte noi medesimi — umani troppo — non abbiamo ap plaudito alla furberia coronata da successo, all’au cucia trionfante, aii’oppressore... Dio! cne miseria, che brutto spettacolo abbiamo offerto!... come lo sentiamo più brutto oggi — innanzi alle semplici parole di cristo, al suo Vangelo — non quando la nostra fantasia s’accende alla falsa luce celie massime mondane, al luccichio delle splendide pompe della terra, quando siamo rintronati dalle musiche di quaggiu, quando ci incanta l’addormentatrice sirena delle nostre passioni. Addolorati nel profondo dalla ritardata soluzione di questo angoscioso problema — che il mondo pone e non puo risolvere — non ci siamo rivolti a quell’uno e solo che le cose conosce — Gesù — e che ai più ardui e terribili casi sa trovare la più facile tranquillante risposta. No, fortunato, beato del mondo, non temete. Insieme alla buona semente, Dio tollera pure la zizzania; permette assai più: tollera che l’una cresca a fianco dell’altra, tollera che la zizzania signoreggi il buon grano... Verrà il giorno in cui tagliata e raccolta l’una e l’altra, passerò il primo in luogo d’onore, sarà pasto naturale del fuoco la seconda. Non irridete l’economia divina ed eterna: siete di un giorno, siete un istante— perchè tentate porvi in contraddizione coll’eterno? • •

Gesù ci ha dato la verità in modo chiaro, solenne. Ha domandato agli uomini la fede, dopo d’aver dato le prove che il nostro ossequio libero sarebbe stato ragionevole. Colla verità tutelare elevandola la nostra dignità creando lo stato del libero, nobilissima facoltà per cui è dato all’uomo di scegliere il mezzo migliore e più rapido a conseguire il proprio fine, la propria perfezione. Non era il paradito in terra? Eppure l’uomo nemico in questo campo, gettò la zizzania gridando: libertà! ’Non era la lotta larga, generosa, la gara delle migliori energie, no, era la contraddizione, più che della mente, della volontà del cuore. Ed ecco a mille moltiplicarsi i nemici della verità cristiana, del dogma: ribellarsi al vero per distruggere l’impero e la legge. Non era il desiderio di libertà: incominciava la lotta secolare contro l’autorità per il regno dell’arbitrio e delle passioni, per il regno della superbia, del libertinaggio, della prepotenza, della invidia, della calunnia, per opprimere, per conculcare, per innalzare il proprio io sulle rovine del fratello. No, non ve li spinse l’amor del vero, quel fine e delicato amai- del vero che fa sì che ai piedi del vero nasca il dubbio. Non è possibile regni il vero in menti turbate ed annebbiate dai fumi grassi che salgono da cuori putridi, da desideri infami, da spiriti che fremono carne e passione: no: da questi nascono gli scandali in mezzo ai buoni, in mezzo ai tanti che, paghi di quel vero che soddisfa le lor menti, di quella morale che tranquillizza i cuori, altro non chiedono che pace, armonia, bontà intorno a loro. Il ne [p. 37 modifica]mito a Cristo ha iniettato l’odio, il livore nella vigna di Dio.

Pur ne la notte (se a scrutar mi attardo, da la finestra aperta la strada che s allunga ampia e deserta) pur ne la notte il ripulsar gagliardo

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d’avide arterie mi ritien pensosa. eco, una lontana eco di faticante opera umana, che non ha tregua mai, che non ha posa.

In una cerchia un po’ più ristretta, osserviamo i minori — per modo di dire — scandali, che se sí differenziano dagli altri per gravezza, molte volte a loro sono pari negli effetti deleteri. E’ nella famiglia — pia, religiosa, ammodo — una certa ippercriticità agli ordini, desideri, della Chiesa. Ci si ubbidisce ai superiori sì, ma solo ed allorquando dell’utilità e ragionevolezza del comando siamo persuasi: omaggio al nostro io, non ossequio all’autorità esterna. Siamo pii, eppur non risparmiamo puntigli, capricci, piccole vendette, che irritano di più, quando partono da noi, che le pretendiamo — per la nostra religiosità — ad esseri speciali. Sono preferenze che desideriamo: nelle compagnie avverse, contrarie portiamo più la persona che le idee... Sono, sono quelle infinite debolezze, che una religiosità più profonda, più viva avrebbe dovuto togliere per sempre. Siamo religiosi perchè schiviamo il male, ma abbiamo lo spirito sempre pronto ad afferrare l’occasione di bene? Non è la zizzania... son le male erbe, che sottraggono umore sano alla semente sana. B. R.

Fischi, or tronchi, or lunghissimi, che il vento in cupo suon ripete, si slogan da le valvole inquiete, quasi appello a non so quale cimento; poi sordi rombi, e ruvide percosse di poderoso maglio.— e so che il cielo ha un livido barbaglio, come d’incendio, per le fauci rosse entro cui bolle in un’accensione che fuma e rugge, a guisa di sorgente vulcanica, la ghisa, elaborata in rapida fusione.... Quante volte così, mentre già invasa da linefiabil pace del buon riposo, ogni rumor si tace intorno e dentro a l’umile mia casa; quante volte così resto a sentire, per non so qual malia, la rude voce de la fonderia, che ha note d’ansia ed impeti d’ardire! De le macchine il lungo ansito greve mi si ripete in core, eco d’ansiti umani e di dolore, che mi persegue poi nel sonno breve....

Ma un tesor d’energie, ma un paziente anelito mi viene da quell’aspra armonia; le oscure pene de la gente viri!, ch’è la mia gente,

CANTO IL LAVORO

fan ch’io risenta la grandezza vera d’ogni utile fatica; e da l’intimo fan ch’io benedica a l’umiltà de la mia sorte austera.

Figlia e sorella di lavoratori, e avvezzi a misurare, con la virtù dei pazienti amori, la volubil fortuna e le sue gare; figlia e sorella d’umili. di forti, serbo nel cuor, nel sangue la poesia che per età non langue. Da miei vivi che adoro, da’ miei morti. cui benedico memore, da l’aria, pur da quest’aura mia, ch’entra, a ondate di rustica armonia, ne la stanza ove scrivo solitaria; per tutti imparo, in tutto amo e respiro l’alacre gloria onesta de la fatica. L’inno che mi desta a l’albe estive, l’inno onde m’inspiro, vien dal lavor. che la materia inerte muove, nel conscio vanto d’una virtù, cui move agile accanto l’idea che sempre nuove forme avverte. Fra industri mura o per la via ferrata. freme il vapore e seco un trerr ar d’ansie e di trionfi un’eco palpita e canta ne la mia giornata: palpita e canta immemore talora, (quando più ferve il verso, pervaso da l’anelito universo) immemore del buio che m’accora...

MARIA MOTTA Maestra cieca.

Commemoraziolle del Cav. Rodolfo Sessa Alla sede del Patronato delle Scuole Comunali Maschili di via Rossari, domenica scorsa, con sentimento di affettuosa riconoscenza, si tenne una commovente commemorazione del rimpianto cav. Rodolfo Sessa, che di quell’istituzione fu benemerito 0311sigl iere. L’ampio salone conteneva duecento vispi scolaretti circondati da signore e signori. Sulla parete di fronte, spiccava la bella effigie del defunto, e al posto della presidenza sedeva l’assessore per l’istruzione cav. avv. Mojana. Il vice-presidente ing. Carlo Vandoni, in sostituzione del presidente barone cav. Giuseppe Bagatti [p. 38 modifica]Valsecchi, che era dolentissimo di esser costretto da una maiwosizione ad astenersi dal renaere personalmente omaggio alla memoria aei alletto amico, ripresento in un atteituoso discorso la nobile ugura del rimpianto collega, rievocarla° le nnezze aei di lui spinto gcntne e me sue benemerenze nei campo dell - arte e in quello della benencenz.a. Ai:tua:ella° con frasi gentili alle m.gliala ai bambini benencati dal Sessa nelle aure ossigenate aeree valli o (lei monti e più ancora la sui grato uella riaente. sponaa cli Leile, l’oratore- ebbe una nota commovente suina riconoscenza ai.mignaia ai cuori materni che, nel si lenzio e nella preghiera, benediranno, all’insigne beneiattore dei i.gir nel popolo. L’un. assessore bioiana, facendo adesione ai sentimenti espressi clan: oratore, rammento la commemorazione cne ce’ cav. Sessa fece t - on. Smaaco breppi dinanzi al Consiglio Comunale, e mise m bella luce le (loti cli mente e di cuore del rimpianto defunto, il quale, in arte e in benencenza, con mezza impareggiabile, cercava penosamente una irraggiungibile perfezione. ln seguito, il direttore delle scuole, cav. proi. C. A. iVior, con bella improvvisazione sgorgante dal cuore commosso, fece una sintesi eloquente delle virtù cieli’ Uomo buono che fu patrono affettuoso della sua scolaresca, e ispirandosi ai ragazzetti che con espressione s,gnin.cante guardavano al bel ritratto del ben noto loro benefattore, con elevata parola affermò il culto dovuto alle anime generose. Un inno eseguito dagli scolaretti sotto la direzione di quel veterano che è il maestro Pontoglio, compiva la mesta cerimonia. Noi, uscendo dal palazzo scolastico col cuore pieno di dolci e dolorose memorie, rammentavamo pure queste belle parole stampate sopra una imagine ricordo: — Rodolfo Sessa — anima pensosa e severa — illuminata dall’amore — per la compagna carissima — dall’affetto per la famiglia — ai grandi agli umili — amò insegnare — più coll’esempio che colla parola — nella cercata armonia delle linee — e dei suoni — venerò il segno della divina sapienza — pietoso agli altrui dolori — pazientissimo dei suoi — nun a questi cedette — ma alla speranza dell’eterna pace.