Il buon cuore - Anno XII, n. 43 - 25 ottobre 1913/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XII, n. 43 - 25 ottobre 1913 Religione

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Uno storico della marina


PADRE ALBERTO GUGLIELMOTTI


Continuazione del numero 42.



Così leggo nel volume primo della Guerra dei Pirati (dal 1500 al 1569): «Osserva i fatti sul gran Libro della Natura; ed essa ti sarà guida a ragionare e a calcolare più dei maestri. Procedi col metodo di Aristotile e di Galileo così per ordine: prima, l’osservazione; poi, il raziocinio; e finalmente, il calcolo; non a rovescio, come fanno certi cotali oggidì. Altrimenti la ragione si appoggia sul vuoto e dal calcolo non caverai un punto di quanto vi hai messo. Questo lo ripeto in genere delle scienze naturali e specialmente dell’applicazione loro all’arte nautica; cui — dopo lunga e non ignobile pratica — soglio dir mia». Ed era proprio sua, perchè erane diventato maestro; donde la sicurezza delle affermazioni, la sagacia della critica e la certezza dei vaticini. E più innanzi ecco un altro periodo che prova il mio assunto: «Vado con la italica scuola sperimentale e soffio sulle nebbie del settentrione. Sembrano alte le nubi, paiono sublimi, ma tornano vuote, come ognuno sa pel fatto d’Issione. Senza confonderci nei vani amplessi, tutto si spiega quanto s’intende per chiarezza. Mettete insiem la verità dei fatti, la giustizia dei diritti, la legge di natura, il giuoco delle passioni e l’ordine dei tempi, e voi avrete senza tanti stenti i principi e le conseguenze, i motivi e gli ostacoli, le cause e gli effetti: insomma avrete tutto il raziocinio e, compiuta, la filosofia della storia».

Ma per intessere a questo modo la storia conveniva disporre sul telaio l’ordine e la trama nella piena maturità della vita, e dopo avere acquistato, mercè lo studio della lingua, il possesso dell’ordigno; mercè la ricerca, i documenti; ed infine, mercè la cognizione delle scienze che, applicate, costituiscono l’arte di mare, quella sicurezza di giudizio senza del quale non vi è lavoro perfetto.

Ecco perchè Padre Alberto Guglielmotti si accinse alla sua opera di storico quando scoccavagli l’anno cinquantesimo; e vi si era preparato studiando l’italiano, ristudiando, il latino ed il greco, imparando n francese, lo spagnuolo, l’inglese ed il tedesco e poi infine l’arabo, solo idioma che, com’ebbe a scrivere «gli costò fatica».

Poi, tra il 1862 ed il 1889 vennero alla luce in edizione definitiva le opere seguenti: Marcantonio Colonna alla battaglia di Lepanto, presso il Le Monnier, Storia della Marina Pontificia nel Medio Evo, due volumi, anche questi dal Le Monnier, La Guerra dei Pirati e la Marina Pontificia in altri due volumi e presso la medesima casa editrice. Eppoi La squadra permanente della Marina Romana — Le squadre ausiliarie a Candia e alla Canea — Gli ultimi fatti della squadra Romana dall’Egitto a Corfù. Queste tre opere le stampò il mio buon amico commendator Enrico Voghera.


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Nei nove volumi trovo ogni insegnamento. Balza dalla narrazione viva ed evidente di un episodio di guerra navale ad un rilievo filologico che non è mai fuor di posto; poi ad una lezione di tattica, oppure ad un suggerimento architettonico. L’opera veramente didascalica, è buona lettura, tanto per un ministro di marina, quanto per un tenente di vascello, per un relatore del bilancio come per un costruttore. Ho visto nel 1878 il Maestro arrossire di contento quando sul trasporto Europa il mio defunto amico Pio Gloria — allora luogotenente di vascello — gli additò nella privata biblioteca del proprio camerino il Marcantonio Colonna. [p. 338 modifica]Ma temo che i nove volumi del Guglielmotti siano tuttora assenti dalla biblioteca di ogni nostra nave; per compenso le biblioteche contengono moltissimi esemplari dei romanzi dello sciagurato Salgari. Primo dovere di chi è acceso di amore infinito per an istituto nazionale è depurare l’idioma professionale. La Marina italiana sino al 1889 non ebbe un Vocabolario. Tale non era davvero quello dell’illustre professore universitario Simone Stratico, compilato per ’ordine di Napoleone I e che per puro accidente ho scoperto, sia la traduzione letterale dell’Allgemeine’s Worterbuch der Marine di J. H. Roding. Nemmanco quello, quantunque più- puro, del barone Parrilli. Il Guglielmotti ha dato all’Italia il vocabolario quale deve esere, cioè secondo le origini etimologiche delle parole e secondo i testi classivi ove queste si trovano. Lo ha dato, spoglio di pedanteria, il che non è dir poco. Padre Alberto non arricciava il naso al neologismo quando risultavane giustificata la origine pelasgica. Così, accadutomi dì coniare il vocabolo chelandia per determinare quel barcone che i francesi chiamano chaland e noi dicevamo sciala. no. Guglielmotti adottò il vocabolo nuovo e da me buttato là nella stampa; lo adottò in nome del greco chelonys, ignorando che proprio per cagione di che-, lonys io l’avessi adottato. E’ completo il vocabolario? Oggi non lo è più, perchè fu ultimato nel 1879 e, quantunque l’autore abbia proceduto a continua elaborazione prima di mandarlo alle stampe nel 1889, va stabilito anzitut• to che il materiale navale in pochi anni ha subìto tante mutazioni che nuovi termini si sono aggiunti all’idioma marittimo. L’istesso esemplare custodito gelosamente nel Collegio Angelico e corredato di note ed aggiunte di pugno di Padre Alberto, e che in fondo al volume contiene la nota: a Quindi innanzi questo volume da me riveduto, sarà il mio originale», mal corrisponderebbe alla richiesta d’oggi. Il ministro NUnzio Nasi ventilò di far compilare un dizionario marittimo. Trovandomi in Roma di passaggio, egli mi domandò, presente il suo capo di gabinetto, professor Dante Vaglieri, gl’indicassi qualcuno cui l’incarico potesse affidarsi con sicurezza. Consapevole della complessità dell’opera e che non vi erano disponibili spalle forti e pazienti quanto quelle del mio Maestro, risposi che era indispensabile affidare il lavoro ad una commissione in cui l’ingegneria navale, la meccanica, la navigazione, la balistica esterna e la interna, nonchè l’elettrotecnica, fossero egualmente rappresentate sotto la presidenza di filologo insigne. Gli eventi e Nasi precipitarono. Ignaro se al Ministero i costui propositi trovino continuatori. Ritengo nondimeno necessario l’Italia possieda un dizionario navale cui il vocabolario di Gugliemotti servirà di fondamento ed anche di guida. Alla stampa del Vocabolario contribuirono S. M. il Re Umberto, S. A. R. il Duca di Genova, il Ministero della marina, alleviando così parzialmente il comm. Enrico Vogliera dall’amarezza delle spese vive. Nulla fu dato all’autore, nè per questa nè per le altre opere di lui, fuorchè cinquanta copie a ciò

egli ne facesse omaggio agli amici. Più tardi, non incontrandosi verun editore che assumesse l’impegno di stampare l’Atlante delle Cento Tavole raccolte da Padre Alberto, Monsignor Ciccolini, amicissimo di lui, se ne aprì col Pontefice Leone XIII il quale, apprezzando da molti anni l’opera del Domenicano modesto ed illustre esclamò: «Non solo l’Atlante, ma tutte le opere. Si farà una edizione Leonina». E’ l’ultima. Costò al Vaticano 32.000 lire. Ma prima di chiudere nell’ottantesimo primo anno di età il 31 ottobre del 1893 il corso della vita per insulto apoplettico che lo colpì mentre, chino sullo scrittoio, lavorava, il Padre della nostra Armata aveva condotto a buon punto l’Archeologia Navale, la quale doveva comprendere 22 capitoli, ma si è fermata al XIV e propriamente a quello che si intitola a Remi e Poliere». L’ultima mano a cotesto lavoro Padre Alberto la pose il 4 febbraio del 1892, giorno anniversario del suo ottantesimo. Qui è necessario aggiungere che in. Italia sin qui, sull’archeologia navale non vi è nulla di stampato, almeno in forma completa. Gli studiosi del mare bisogna chiedano il soccorso indispensabile all’a Archeologie Navale» ed al e Glossaire Nautique» di Auguste Jal. A questi ha ricorso Gabriele D’Annunzio quando studiava la Nave. Lascio da banda ornai gli insegnamenti storici, filologici e linguistici di padre Alberto e vo a senitare se di insegnamenti pratici l’Armata d’Italia gli è debitrice. Verifico che ne ha impartiti e che non sono stati ascoltati. La prima edizione della a Storia della Marina Pontificia» (che egli ritirò dal commercio perchè non orane soddisfatto) già conteneva la esposizione dei due principi sulla costruzione, sull’armamento e sulla tattica della nave moderna. Dalla pagina 179 sino alla 184 leggo tutto un inno alla nave autonoma con la conclusione che segue: Deve tornare l’ordinanza dei piroscafi e dei corazzieri per la marcia e per l’attacco simile all’ordinanza delle galee. Di fronte, a globo, a punta, a cuneo, quando la forza, lo sperone, gli armamenti sono soprastantemente sulla testa».

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Ma tre secoli di vela (di vela, così spregiata da Guglielmotti fuorchè sulle navi commerciali) avevano distolto l’Italia dal pensiero giusto, classico e nazionale. La venerabile dottrina mediterranea era ignorata e le si preferiva quella accettata in Oceano. Ed ecco Lissa in cui il nostro avversario si gioiva dell’insegnamento di Guglielmotti! Quando alfine, per Saint-Bon e per Brin, venne iniziata la riforma del naviglio e quello che si era àdorato si bruciò, nel grembo della stessa marina i due iconoclasti-creatori incontrarono opposizione vivissima; quanti uccelli di malaugurio gracchiarono! Guglielmotti, schivo per natura ed anche per,l’abito che rivestiva, dal partecipare a polemiche, m’incuorò a gettarmi a capofitto nella mischia e, insigne onore, fui suo interprete presso numerosi che, ignorando (o quasi) i volumi [p. 339 modifica]dello storico, ne ebbero visione, ancorchè attenuata, per mezzo di articoli sparsi nei giornali e nelle riviste politiche letterarie. Come Guglielmotti seguisse l’opera costruttrice di Brin e della costui scuola si intenderà di leggeri. Non vedeva egli nel Duilio, nell’Italia, nel Ruggero, nonché negli incrociatori protetti, la giustificazione delle proprie dottrine? Infatti nel Giornale di Viaggio del Padre ai foglietti del quale affidava le fugaci impressioni e che tra breve la Rassegna Nazionale pubblicherà integralmente, leggo che a Genova, dietro una visita all’Arsenale ed alla corazzata- Conte Verde, appunta: «La fregata Conte Verde, costruita già a Livorno, qui si corazza con l’istesso metodo di Francia e di Inghilterra, cioè tutta l’opera morta, un metro di vivo e più; cassero e:spedale a prua e ponte di legno. La batteria sui fianchi è in un suo ordine. La Roma è al Molo Nuovo costruita alla Foce del Bisaglio; esssa pure con quel cassero a prua che non mi sembra buono a batterla, -ma solo a respingere da prua i colpi di mare e da coprire uno spedale». Vede poi in cantiere a una fregata nuova in costruzione, a corazza parziale sul centro e a scompartimenti stagni», e qui aggiunge: «il suo disegno è quello che sin ora più si accosta al mio ideale. La batteria è tutta sul centro, cioè quattro pezzi che battano sulle diagonali, dieci sui fianchi e due in testa, in tutto sedici». E soddisfatto in parte (non del tutto, veh!) rivedeva le galeazze di Lepanto; di Lepanto cioè della giornata di cui era stato storico così veritiero e così austero che il volume su a Marcantonio Colonna» aveva indotto lo spagnuolo Padre Sanchez a comporre il suo «Felipe II y la liga del 1572 contra el Turco» che meglio che l’apologia del Re, era invettiva furiosa contro il nostro storico. Dell’uomo che ho tentato tratteggiare è stato a mala pena celebrato il centenario natalizio. Adesso, però, Civitavecchia, fedele alle promesse fatte allora, si appresta ad onorare decorosamente il suo grande e saggio cittadino. JACK LA BOLINA.

VICTOR HUGO per l’insegnamento religioso

In quest’ora culminante per l’accentuata lotta elettorale politica, i discorsi s’incrociano colle invettive, e i candidati e gli elettori, i comitati e i giornalisti si affannano a bandire le loro dottrine, cagionando una enorme confusione. Specialmente in tema di religione, è ben difficile trovare, tra migliaia di programmi, una frase limpida, sincera, che sia franca manifestazione dell’intimo sentimento di chi parla o scrive: siamo — a parte qualche eccezione — in pieno opportunismo. Appunto a questo spettacolo tutt’altro che educativo, noi riteniamo opportuno contrapporre l’esem

pio che diede un vero genio, Victor Hugo, il quale trattando dell’insegnamento religioso al Senato francese, così si esprimeva in una memorabile adunanza del 185o:» Giammai si potrà per colpa mia ingannarsi su quello che dico nè su quello che penso. «Lungi dal voler proscrivere l’insegnamento religioso; esso, è, notatelo bene, esso è, a mio avviso, più necessario oggi che mai. Quanto più l’uomo si fa grande tanto più deve credere. Più s’avvicina a Dio, tanto più deve veder Dio. (Movimento). a Dovere di tutti, chiunque siamo, legislatori o vescovi, sacerdoti o scrittori, è di spargere, di dispensare, di prodigare, sotto tutte le forme, tutta l’energia sociale per combattere e distruggere la «miseria» (Bravo a sinistra) e in pari tempo di far levare tutte le teste al cielo (Bravo! a destra) di dirigere tutte le anime, di rivolgere tutte le aspettazioni a verso una vita ulteriore», in cui «giustizia n sarà fatta, e in cui a giustizia» sarà resa. Diciamolo ben alto: «Nessuno avrà nè ingiustamente, nè inutilmente sofferto!» La «morte» è una restituzione» (Bravissimo! a destra. Movimento). La legge del mondo Materiale è a l’equilibrio», la legge del mondo ’morale è a l’equità». a V’ha una disgrazia ai nostri tempi, direi quasi non v’è che una disgrazia: ed è la tendenza di mettere tutto in questa vita. (Sensazione). Nel dare all’uomo per fine e per segno la vita terrestre e materiale si aggravano tutte le miserie alla negazione che vi sta in capo: alla oppressione dei miseri si aggiunge il peso insopportabile del nulla; e di ciò che non era che la sofferenza, cioè la legge di Dio, si fa la disperazione, cioè la legge dell’inferno. (Lungo movimento). Da ciò le profonde convulsioni sociali. (Sì!

Sì!). a Io sono certamente di quelli che vogliono — e nessuno di quanti mi ascoltano può dubitarne — io sono di quelli che vogliono, non dico con sincerità chè la parola sarebbe troppo debole: «io voglio con ardore irreprensibile e con tutti i mezzi possibili» migliorare in questa vita la sorte materiale di coloro che soffrono; ma il primo dei miglioramenti è quello di dar loro la speranza (Bravo!) Oh! come diminuiscon le nostre miserie terrene quando ci consola una speranza senza fine. (Benissimo!). a Dio si trova alla fine di tutto. Npn dimentichiamolo e insegniamolo a tutti: non vi sarebbe nessuna dignità a vivere, e questa non ne varrebbe la pena,

se dovessimo interamente morire! a Ciò che allevia le nostre fatiche, ciò che santifica il lavoro, che rende l’uomo forte, saggio paziente, benevolo, giusto e a un tempo umile e grande, degno dell’intelligenza, degno della libertà è — d’avere innanzi a sè la perpetua visione di un mondo migliore che brilla attraverso le tenebre della vita. (Vi va ed unanime approvazione). a In quanto a me, poichè vuole il caso che io parli in questo momento e che sì gravi parole escano da una bocca sì autorevole, mi sia permesso di dirlo [p. 340 modifica]qui e di dichiararlo — «altamente lo proclamo da questa tribuna — io credo, profondà..mente credo ad un mondo migliore». «. Esso è per me ben più reale di questa misera chimera che noi divoriamo e che chiamiamo vita, esso è sempre dinanzi a’ miei occhi; ci credo con tutte le potenze della mia convinzione, e, dopo tante lotte tanti studi e tante prove, esso è la suprema consolazione dell’anima mia! (Profonda sensazione). «Io voglio dunque,.voglio sinceramente, fermamente, ardentemente, l’insegnamento religioso della Chiesa, e non l’insegnamento religioso di un partito. Lo voglio sincero e non ipotetico. Io voglio che abbia per iscopo il cielo e non la terra»