Il buon cuore - Anno XII, n. 43 - 25 ottobre 1913/Religione

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Vangelo della domenica la dopo la Dedicazione

Testo del Vangelo.

In quel tempo, disse il Signore Gesù a’ suoi, discepoli: Il regno de’ cieli si assomiglia ad un re, il quale volle fare i conti co’ suoi servi, e avendo principiato a rivedere la ragione, gli fu presentato uno che gli andava debitore di diecimila talenti. E non avendo costui il modo di pagare, comandò il padrone che fosse venduto lui e sua moglie, e i figliuoli, e quanto aveva, e si saldasse il debito. Ma il servo prostratosegli a’ piedi lo supplicava dicendo: Abbi meco pazienza, e ti soddisferò interamente. Mosso il padrone a pietà di quel servo, lo lasciò in libertà e gli con-, donò il debito. Ma partito di lì il servo, trovò uno de’ suoi conservi, che gli doveva cento denari; e presolo per la gola, lo strozzava, dicendo: Pagami quello che devi. E il conservo, prostrato a’ suoi piedi, lo supplicava dicendo: Abbi meco pazienza, e io ti soddisferò intieraniente. Ma quegli non ’volle, e andò a farlo mettere in prigione, fino a tanto che l’avesse soddisfatto. Ma avendo gli altri conservi veduto tal fatto, grandemente se ne attristarono; e andarono, e riferirono al padrone tutto quello che era avvenuto. Allora il padrone lo chiamò a sè, e gli disse: Servo iniquo, io ti ho condonato tutto quel debito, perchè ti sei a me raccomandato. Non dovevi adunque anche tu aver pietà d’un tuo conservo, come io ho avuto pietà di te? E sdegnato il padrone, lo diede in mano de’ carnefici, per fino a tanto che avesse pagato tutto il debito. Nella stessa guisa farà con voi il mio Padre celeste, se ciascheduno di voi non perdonerà di cuore al proprio fratello. S. MATTEO, Cap. 18.

Pensieri. La cifra enorme, esposta da Gesù nel riferire il credito del Signore verso il servo, può indurre alcuno al dubbio. Invero, tradotto in lire sonanti, tale cre dito ha dell’inverosimile, nè ho mai potuto capire:1 perchè molti esegeti perdano il loro tempo prezioso in un calcolo inutile. Oh! anch’io credo impossibile — quaggiù — un tale credito fra uomini che vogliono garanzie ineccepibili e superiori ad ogni dubbio: meno poi possibile il fatto narrato dal Vangelo di aver concesso tale somma ad un... servo, ad un nulla tenente, come diremmo oggi. Un tale signore — almeno — si meriterebbe oggi il titolo di imprudente, mentecatto e peggio, quando non corra il rischio di aver invocata la legge per una provvida tutela. E fin qui nulla di male. Ma se ciò è impossibile quaggiù, (notatelo, egregi amici miei) la cosa si presenta fattibile non solo, ma vera, reale, superiore all’enunciato, quando le cose si svolgono tra il quaggiù ed il... lassù, fra Dio e le sue creature, fra il paradiso e la terra. Oh! qui davvero noi siamo i servi più che onerati e gravati di debiti di cui possiamo dichiarare subito, subito l’insolvibilità assoluta col nostro relativo... fallimento. Buon per noi, che il nostro creditore -- Dio — non è nelle sue relazioni e prestiti nè egoista, nè gretto, altrimenti ogni ora, ogni minuto a lui, che chiede il suo, solo il suo, a lui dovremmo gridare — ginocchioni e colle lagrime — «Abbi pazienza...» senza il coraggio o la sfrontatezza di soggiungere — come quel servo — il ti restituisco tutto. Come sarebbe possibile?!

Nè voglia il lettore cortese credere che quanti nel superiore stelloncino stà scritto sia l’effetto d’una frase fatta, di cui l’oratore sacro abusi. No! per amor di Dio! Vogliamo un bilancio, per modo di dire? Osserviamo. Doni di natura: creazione, conservazione, intelletto, volontà, cuore, istruzione, educazione, sanità, posizione economica a noi migliore di milioni e milioni... Perchè? eravamo più belli noi? più buoni? più degni? potevamo — non ancora esistenti — vantare alcun diritto?! No! dunque... Doni di grazia: la fede cristiana (molti ne fanno senza: lo so anch’io, come so che il selvaggio del deserto, il beduino sprezza la nostra civiltà, i nostri comodi, la nostra vita.., è una disgrazia, non un privilegio!) la grazia dei sacramenti, l’istruzione religiosa, la facilità a partecipare alle funzioni del culto, la poesia del culto, la grazia dell’ambiente buono, religioso, sano di mente, di cuore... Non sono crediti enormi da parte di Dio? debiti fortissimi da parte nostra? Non sono questi crediti, che ci danno diritto al paradiso -- somma, sola, completa felicità — mentre ciò è impossibile al resto dell’umanità? Cosa possiamo dare noi? Sì, qualcuno dà qualche acconto: sono fiori di santità e virtù nell’individuo, in qualche famiglia, in qualche comunità. Ma che è questo innanzi a quanto chiede Dio? Per noi — data la nostra debolezza, miseria — anche il poco è molto, ma... Oh! come è vera la parabola del signore così ge [p. 341 modifica]neroso! come è reale il nostro bisogno di gridare a lui: abbi pazienza!

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Nei Promessi Sposi — trionfo del buon senso popolare — Alessandro Manzoni in una scena terribile fa gridare a Lucia, prostrata innanzi all’Innominato: a Dio perdona tante cose per un atto di misericordia!» Ecco la conclusione pratica e religiosa della parabola. Il signore che ha perdonato, punisce rigorosamente il servo egoista e cattivo col fratello. La mancanza di quella misericordia, di cui aveva esperimentat,) la dolcezza poco prima, muove a sdegno il signore, che usa tutto il rigore di sua giustizia. Oh! pensiamo a questo. Noi siamo i cattivi... noi perdonati forse ogni settimana, forse parecchie volte nella settimana, perdonati forse ogni qual volta un incidente ci strappa un grido di pietà, ’forse noi col fratello siamo duri, intolleranti, settarii, ostinati. E Per quale cosa? Meno, mene assai dell’inezia dei cento danari. Pei danari ci pensa la legge degli uomini, ma noi siamo caparbi per un’offesa minima, per.un preteso diritto, per la nostra suscettibilità, per... meno e meno ancora! O mio Di’:A Paventiamo i vostri giudizi e ricordiamo che voi perdonate tante cose — passionalità, durezze, odii, ingiustizie, disonestà, bestemmie, ecc. per un’opera di misericordia! Dateci modo — le cercheremo — di poter fare queste opere di bontà e di amore perchè perdonando ci si possa garantire il vostro perdono. R. B.

NELL’OTTAVA DELLA MORTE DEL TENENTE GENERALE

CONTE VITTORIO BIANDRA DI REAGLIE

Vice-Presidente dell’Istituto Nazionale Per le figlie dei militari italiani.

IN MEMORIA. I.

Io riguardavo come trasognata Le nere cinghie stringere la’ cassa Di ricco legno, doro istoriata; La vedevo calar giù ne la bassa Profonda fossa, ancor dal sol baciata, Nel tetro avel che mai redir non lassa. Ridea la vita intorno, e abbandonata Egli l’avea! Tutto nel mondo passa! Che son la gioia, la bontà, l’amore? Ombra fugace, vana, e scolorita... Ma lo spirto• invisibil, che non muore, Cantava in ogni foglia, in ogni stelo: Dolce è la morte fonte de la vita, E’ il tramite che a noi dischiude il cielo.

Ed il canto gentile e misterioso Del passato adducea la visione: Giovane, forte, ardente e coraggioso Io Lo vedea pugnar •nel vasto agone, Di quel Risorgimento avventuroso Che, l’oppressor cacciando, la Nazione Libera e unita fece, e del. glorioso Italo nome fu l’affermazione.

CZOVità UN NUOVO LIBRO DI MONS. BONOMELLI

Monsignor G. BONOMELLI

Peregrinazioni Estive COSE — UOMINI -- PAESI

Io Lo vedea ne l’opere di pace Soccorrere pietoso l’infelice, Del lavoro, del ben fido seguace. Sereno sempre, fra le alunne amate Appariva più lieto e più felice: Or che le guarda dal ciel, non le ha lasciate.

GIULIA CAVALLARI CANIALAMESSA. Volume di 400 pagine con 16 illzistraz. L.

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Per gli abbonati del Buon Cuore L. 3,50 Casa Editrice L. F. COGLIATI - Milano, Corso P. Romena, 17

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GIUSEPPE ARRIGO Lucida mente e spirito sagace, Avea del verso dialettal la vena, Pd falso e per l’ingiusto ognor mordace, Dolce pel bello e la virtù serena. [p. 342 modifica]Sdegnoso di viltà, non mai capace D’adulazione e di menzogna; appena D’amor, di patria, o d’arte ardea la face Note e carmì scrivea con nova lena. • Chiaro tra noi, e fuor del patria suolo, Sapea ritrar con nobile armonia Il giubilo festante e il fiero duolo. Canti d’amor, di fede, inni di guerra Conóbber la sua facil melodia, Or sorvivono a Lui, s’Ei va sotterra. GIULIA CAVALLARI CANTALAMESSA. Il 3o Settembre alle ore 18 cessò di vivere GIUSEPPE ARRIGO, uomo integerrimo, tempra adamantina di costumi illibati.. Nacque in Mede Lomellina nel settembre 1838. Ebbe compagni di studio Domenico,Cagnoni, Carlo Coccia e Reimondo Bucheron. Ancora giovane ottenne il posto di direttore della banda in Bardi (Emilia) e quindi fu direttore della scuola musicale di Cassine (Alessandria). Fu collaboratore per la parte artistica e musicale della Palestra Musicale di Milano, del periodico La Banda di Roma e d’altri giornali. Iniziò col De Paoli e poi continuò da solo la raccolta di musica sacra che l’editore Vismara di Milano incominciò a pubblicare nel 1869 col titolo: «L’arpa davidica» fu per oltre 3o anni direttore degli studi musicali nell’Istituto Nazionale per le figlie dei militari. Scrisse un’opera buffa Don Stazio e molte composizioni musicali lodate dal Biagi nell’appendice della Nazione di Firenze. Scrisse pregevolissime messe funebri, un album di 25 romanze per piano edito a Lipsia, e moltissimi inni e cori per la scuola e per l’esercito. La salma venne trasportata il 3 u. s. a Genova per essere sepolta come era desiderio del Maestro accanto alla compagna della sua vita Giuseppina Torti. Alle signorine Arrigo così crudelmente provate dalla sventura il sincero cordoglio di «La Scuola Nuova».

I bambini ciechi in villeggiatura.

Villeggiatura passata o futura? Futura. Veramente un articolo, con questo titolo, venne già da noi publicato nel Buón Cuore alcuni anni or sono. Cos’era allora la villeggiatura?

Alla metà del mese di luglio, finito l’anno scolastico, gli allievi e le allieve dell’Istituto erano par Liti per la vacanza. Una parte, la, più notevole, recavasi in famiglia, l’altra parte, la’ meno numerosa, ma pur numerosa, complessivamentet un’ottandi allievi e allieve, era stata condotta a Binago, vicino a Malnate, nella bella casa loro lasciata a questo scopo in eredità dalla nobile signora Marianna Calliani Ca.sciglioni, il cui nome sarà sempre in benedizione presso i ciechi, e in cui ricordo il Consiglio dell’Istituto, nel tempo in cui i ciechi stanno a Binago fa sempre celebrare una messa in di lei suffragio. Cos’era allora la villeggiatura pei bambini dell’Asilo? Partita la comunità,’ il vasto giardino dell’Istituto co’ suoi viali, co’ suoi prati verdi, colle sue ombre, restava libero, disabitato. Era una bazza pei bambini: restavan9 essi padroni dí tutto il giardino dell’Istituto. E se lo godevano! Avevano subito studiato, sotto la guida intelligente della lori direttrice, la signora Pollino, quali fossero le migliori località del giardino per sfuggire il sole e godere le ombre nelle diverse ore della giornata, ora a levante ora a ponente, e vi si sentivano benissimo. Ben pochi bambini, anche di case signorili, avrebbero potuto trovare in Milano una località di svago più comoda, più libera di pericoli, come la loro. Ma igienicamente c’era una terribile assenza, l’assenza dell’aria fresca e ossigenata della campagna, la possibilità di far delle passegiate in mezzo alle pinete ristoranti... Non si poteva mandare a Birago i bambini dell’Asilo insieme alla comunità dell’Istituto? Ci si è pensato cento volte, ma la proposta non era possibile ad attuarsi per mancanza di spazio conveniente e suff icente. I bambini formano un gruppo riunito di ciechi d’ambo i sessi, maschi e femmine, promiscuità, finchè stanno fra loro, senza inconvenienti, essendo i bambini ristretti fra i due estremi d’età, dai quattro agli otto anni. Ma è evidente che questo gruppo non può nell’Istituo essere mescolato, come appendice alla comunità femminile e molto meno alla maschile. Perchè i bambini stiano bene, perchè si possano svolgere nei diversi bisogni della loro vita, liberi, senza preoccupazione di pericoli fisici e morali, è indispensabile che abbiano il loro cantuccio, unito e separato, col resto della comunità. Ciò importa uno spazio determinato pel dormitorio, pel luogo dello studio, per la ricreazione al coperto ed all’aperto.... Questo spazio speciale, que [p. 343 modifica]sto quartierino, con annessi e connessi, richiesto pei bambini a Binago non c’era. Per far posto ai bambini, bisognava restringere gli allievi e le allieve, o riadattare o costruire altri locali. Non si voleva far la prima cosa perchè per far star bene i baribini, non si voleva far star male gli allievi, non si poteva far la seconda, per mancanza di mezzi: per questa mancanza erano passati molti anni senza che si fosse potuto riparare il letto del granaio, convertito in dormitorio della comunità maschile, ridotto in condizioni cadenti e quasi pericolose. Non potendo provvedere al necessario, all’indispensabile, come si poteva pensare a quello che era soltanto utile e conveniente? Grazie al legato provvidenzialmente disposto dal Marchese Emanuele D’Adda di L. 50.000, il Consiglio fu contento di trovarsi nella possibilità di rimettere a nuovo tutto il locale del granajo, coi locali annessi, e farne uscire un locale ampio, arieggiato, ben difeso, che fa piacere a vederlo, e che la comunità già da due anni può godere con intera sicurezza e soddisfazione. Ci sarebbe modo di stralciare dal resto del fabbricato un bel quartierino appositamente pei piccoli bambini, un quartierino ideale, con dormitorio, con sala di ricreazione, con porzione di giardino... Sarebbe presa, togliendo una porzione dei locali in uso per la comunità maschile. Ma per far ciò, in modo conveniente, bisogna compensare la comunità maschile con altri locali in compenso di quelli che le verrebbero tolti. C’è la possibilità di far questo? Sì; il locale rustico è vasto, e ci sono molti locali che possono essere riparati e ridotti ad uso abitabile e conveniente. Ma... qui c’è un gran ma: ci vogliono i denari; non saranno’ molti, ma ci vogliono. Il Consiglio che ha affrontato la grossa spesa, più di venti mila lire, per togliere il pericolo che il tetto del granajo cadesse in capo agli allievi, si trova a disagio per incontrare, a così breve scadenza, un’altra spesa per l’Asilo Infantile. Non ci sarebbe modo di provvedere con altre risorse? Il modo c’è, ed è tale che il Comitato delle Signore patronesse dell’Asilo, sentendoselo comunicare, non solo non si sgomenteranno, ma si sentiranno liete, incoraggiate a nuovo slancio nelle industrie della loro beneficenza. Sfamo alla vigilia della fiera di beneficenza per l’Asilo Infantile: essa, come fu già annunciato, avrà luogo nei primi giorni del mese di dicembre. Le signore da molto tempo sono in faccende nel pre

parare, e nel far preparare, oggetti da esporsi e da vendere. Ecco un nuovo argomento, un nuovo titolo, per infervorare il loro zelo, zelo di cooperazione, zelo di propaganda: la fiera di quest’anno è destinata a raccogliere i mezzi necessari, indispensabili, per preparare a Binago i locali richiesti, affinchè l’anno venturo i bambini ciechi possano andarvi in villeggiatura. Non è questo uno scopo simpatico, utile, santo? Procurare anche ai piccoli bambini il vantaggio dell’aria pura, salubre della campagna, la possibilità delle belle passeggiate in mezzo al verde, sotto le ombre confortanti delle pinete, allargare i loro poi/moni, far rifluire sal loro volto il bel roseo abbronzato di una evidente sanità e robustezza? All’opera dunque: le Signore avevano già nella loro indole gentile lo stimolo sufficiente al loro zelo: ora un nuovo raggio di luce Si presenta a illuminare la loro mente che si muterà in fiamma al loro cuore: i miracoli della beneficenza della fiera di dicembre, già noti nel passato, si verificheranno un’altra volta. L. VITALI.

Elezion! Elezion!

Quand vedi tant reelam per i elezion, pensi alla gran spesa che se fa Per mett in piazza i merit d’on cozzon, per mandai a Roma a bagolà; pensi ai ghei trasaa per quell stampò; Me senti a strene la gola del magon Per tanta gent che manchen del mangiò, che ghe tocca misurò i boccon. El sariss mei che tutti qui danee, Che tree sui mar domà per ambizion D’ess nominaa (e de quist ghe n’è on vivee)1 Avessev, dand ascolt alla coscienza, Che la ve batt in eceur el tamboron, De adoperai per... la beneficenza FEDERICO BUSSI.

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