Il buon cuore - Anno XII, n. 49 - 6 dicembre 1913/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XII, n. 49 - 6 dicembre 1913 Religione

[p. 385 modifica]Educazione ed Istruzione


LETTERE PARIGINE


Nel cuore dell’Africa



Parigi, novembre.


L’ultimo numero delle Lectures pour Tous contiene un notevole articolo, dal titolo Dix annees de missions en Afrique, che vi riassumo nelle sue linee generali. La direzione del periodico fa precedere lo scritto del suo collaboratore dalla nota seguente, nota assai significante: «È un dovere patriottico segnalare i servizi che continuano a rendere alla Francia i missionari, continuando con incessante solerzia l’opera civilizzatrice che hanno intrapresa nei paesi tuttora soggetti alla barbarie. Questi eroi lottano, con grande rischio della vita, contro costumi abbominevoli che non sono ancora scomparsi totalmente dalla superficie della terra da essi disonorata. Facendo conoscere e amare la nostra lingua, i nostri costumi, il nome francese, i missionarii contribuiscono potentemente alla estensione della nostra influenza. È questo il modo più semplice ed eloquente di mostrare come sia necessario aiutare con tutti i mezzi questi ammirevoli collaboratori di una più grande Francia».

Dopo questo elogio, del resto assai meritato, ha principio l’articolo di cui vi parlo, articolo che si inizia con le parole pronunciate da Felice Rocquain a conclusione della relazione presentata all’Accademia di scienze morali e politiche, chiamata a deliberare circa l’assegnazione di uno dei suoi premi a mons. Augonard, vicario apostolico dell’Alto-Congo francese.

«Due volte — disse in quella occasione il relatore — noi attribuimmo questo premio ad uomini che portarono la bandiera di Francia nel cuore dell’Africa a Brazzà, l’illustre esploratore, e a Marchand, l’eroico soldato. Oggi l’Accademia ha decretato lo stesso premio a mons. Augonard, il quale, attraverso prove più dure, si è recato, prima come semplice prete missionario, e poi come vescovo, su questa stessa terra africana. Oggi egli vanta trentaquattro anni di soggiorno nel Continente Nero. Se noi l’abbiamo distinto fra tutti gli uomini che hanno accettato il nobile incarico di civilizzare i popoli barbari; è per il fatto che nessun altro ha mostrato eguale amore alla Francia e all’apostolato». In queste brevi linee vi è la definizione dell’opera feconda e ammirevole compiuta dai missionari nel centro dell’Africa.

Fatta questa constatazione lo scrittore francese così continua:

«L’Europa, da circa venticinque anni, si è data alla divisione del Continente Nero. Tutte le sue regioni, anche quelle difese più ferocemente dalla natura del suolo e dal carattere degli abitanti, sono state oggetto di penetrazione. Le vie si avanzano nella profondità delle foreste vergini, i vapori risalgono le correnti dei grandi fiumi, le ferrovie stendono il loro nastro d’acciaio attraverso i deserti. In questa divisione di un mondo nuovo la Francia è stata grandemente favorita perchè ad occidente e a settentrione possiede territori, la cui superficie è dieci volte più estesa di quella della terra madre e, tutti sommati, [p. 386 modifica]formano un terzo del Continente Nero. Milioni di indigeni parlano la nostra lingua, ubbidiscono alle nostre leggi, si stringono intorno alle nostre bandiere. Ai prodi esploratori che per i primi visitarono queste contrade, agli ufficiali e ai soldati che versarono il loro sangue per una più grande Francia, rendiamo a fianco di questi, i pionieri di questa colossale opelargo e meritato omaggio: ma non dimentichiamo, ra di civilizzazione, coloro ché ci conquistarono,’ uomo per uomo, le popolazioni indigene, coloro che insegnarono ad esse il nome e la lingua della Francia, il rispetto e l’amore per il nostro paese: i missionari!» A questo punto l’articolista ricorda i primi eroici tentativi dei missionari, accennando anche ad uno dei più salienti episodi dell’opera di penetraziorie nell’Africa selvaggia, all’avventura mortale corsa venti anni fa dal missionarie, padre Allaire che per poco non rimase vittima dei Bondios. Questo popolo di cannibali, accampato nell’Oubanghi, accolse il missionario europeo con cortesi dimostrazioni di ospitalità. Ad un tratto, dopo essersi eccitati con grandi grida, gli indigeni gli si slanciarono contro per impadronirsene. 11 missionario fuggì attraverso la folta vegetazione della regione, e malgrado l’inseguimento feroce e la pioggia pericolosa delle zagaglie, potè raggiungere la riva del fiume, gettarsi in acqua è ridursi a salvamento a bordo del vapore Leone XIII, che lo aveva trasportato fino a quel punto. Ma non sempre il missionario trova una simile accoglienza. Spesso le popolazioni, per quanto allo stato selvaggio, non hanno abitudini così crudeli. Allora il missionario si ferma e costruisce una piccola e molto primitiva capanna. Di lì a qualche giorno, un’altra costruzione, anch’essa assai primitiva, viene designata a cappella, poi il missionario si addentra nel paese, fa il suo ingresso nei villaggi, vince tutte le diffidenze, accosta piccoli e grandi, si improvvisa ingegnere, maestro, giudice, medico, veterinario. La battaglia iniziata dalle missioni è contro l’antropofagia e la schiavitù, massimamente; ma ve ne è un’altra non meno importante di questa ed è la bat, taglia dai missionari sostenuta in nome della fede a favore della scienza. Dalle scoperte archeologiche alla lotta contro la terribile mosca tsè-tsè, alla utilizzazione del ragno della seta, alla costruzione degli osservatori, alla intensificazione della coltivazione degli alberi utili è tutto un lavoro pazientissimo di indagini e di iniziative ammirevoli, le quali, oltrechè di, grande beneficio alle regioni interessate tornano utili alla intera Europa.

Tutto questo senza contare l’opera umile e diuturna della civilizzazione degli indigeni, dall’alfabeto alla macchina da scrivere, dall’uso dell’ago a quello della macchina per cucire, dall’arte- del vestire a quella di abbellire le capanne, di conservare gli alimenti, di coltivare la terra, di adattare tutte le cose vive e tutte le cose morte ai vanti bisogni dell’uomo. Le. Lectures osservano che questa grande opera di bene, che è poi anche una grande afiermazione patriottica, si compie in speciali condizioni, le quali stanno a significare lo spirito di sacrificio assoluto che anima i missionari. Infatti, secondo le statistiche più rigorose, ciascuno di essi non riceve dalla terra madre che un sussidio di sei soldi al giorno. L’articolista mette a conclusione del suo articolo una assai amara osservazione, che deve servire di monito e di incitamento anche a noi italiani. a Quando — è detto nella conclusione — si è grado di ammirare risultati così grandi ottenuti con così poca spesa si comprende come in tutti i paesi del inondo i governi si onorino di profittare della iniziativa dei missionari e si affrettino ad incoraggiarli con ogni mezzo. Non facciamo di meno in Francia! Le nostre congregazioni, stabilite all’estero, devono affrontare grandi difficoltà per reclutare i loro membri; i novizi. Gli ordini religiosi francesi vedono aumentare il numero dei loro aderenti stranieri, i quali provengono dai paesi ove essi si sono stabiliti dopo la cacciata di Francia. Quando i superiori francesi saranno morti, saranno elementi forestieri che li sostituiranno e la Francia perderà uno dei suoi più potenti mezzi di influenza. Già se ne vedono gli inizi. L’Italia, ad esempio, si prepara a disputarci in Oriente il predominio che noi fino ad oggi esercitammo sopra i cattolici, inviandovi legionir.di religiosi alle quali essa concede i fondi derivanti dal pagamento della indennità per la guerra di Cina. La Francia si rassegnerà a questo stato di cose senza far nulla per riguadagnare il terreno perduto? Per farlo le basterebbe utilizzare senza riserve lo zelo dei suoi missionari, i quali altro non domandano che di servirla al prezzo degli sforzi i più penosi, dei sacrifici più duri, nel cui novero essi non hano mai esitato a mettere anche quello della loro vita». Parole amare queste, Ma profondamente giuste, che gli italiani dovranno bene imprimersi nella mente. Eviteremo noi gli errori della vicina sorella latina? Ruth. Il libro più bello, più completo, più divertente che possiate regalare è l’Enciclopedia dei Ragazzi [p. 387 modifica]LA VOCE DELLE COSE

I Comignoli.

Io sono un poeta, ma polche non mi sono ancora deciso a scrivere un poema drammatico in endecasillabi sciolti, bisogna che mi contenti di vivere e di sognare in un altissimo abbaino che domina — ironia dei verbi! — tutta la città. Talvolta, particolarmente quando il tintinnio civettuolo di due monete sia pure di rame, si tace per ragioni facili a capire, e non fa sognare alla mia fantasia, sempre pronta a spiccare voli poco dirigibili, mi piace affacciarmi all’angusto finestrino dominatore e trascorrere pensando poco e sognando molto, le lunghe ore della notte. Anche ieri sera accadde tutto ciò. L’orizzonte era meravigliosamente chiaro: sotto il nitore delle stelle si distinguevano perfino, diritti e luccicanti come due spilli, i binari del vapore che si perdevano nell’infinito misteriosamente. L’aria meravigliosamente queta: nel silenzio della notte, soave culla al mio fantasticare, dentro l’anima mia aperta come un fiore alla pace profonda delle stelle, udivo, comprendevo la voce delle cose. Parlò la terra, ma dal mio trono troppo alto non udii ciò che dicesse; udii soltanto un fragore tragico e solenne che solo Beethoven potrebbe interpretare.._ Parlarono le stelle: ma dal mio trono troppo basso non udii ciò che dicessero; udii soltanto nell’anima commossa un eroico silenzio, che certo solo gli angioli comprendono. Parlaron gli orizzonti, le luci lontane della notte, le praterie sconfinate, le piante ristorate dalla rugiada, le case della immensa città dormente, su la quale, torbidi, insoddisfatti, amari aleggiano i sogni degli uomini, i tetti, i comignoli... Ahi! Mi parve d’essermi risvegliato da un sogno troppo vasto e come un fiore sotto la rugiada la mia anima si raccolse. Non più terse immensità stellate: il mio senso interpretativo si protese verso le finestrelle fuliginose di cento comignoli. Per essi il mio trono non era nè troppo alto, nè troppo basso: ad essi io fui, forse, in quel momento simile. • •

Uno disse: Ogni sera sotto la mia cappa un pensatore brontola non so quali saggezze, io le sento salir per la mia gola col fumo della polenta. Ogni sera il gatto del filosofo, che ama più della sua casa i tetti, si ferma accanto a me; annusa il fumo della polenta e delle sagezze e se ne va scontento. Della polenta? Delle saggezze. Un comignoletto di terracotta rossa, pulito e ci

vettuolo aveva interloquito con una vocetta maligna. Ecco dunque — pensai — un gatto — il più filosofo degli animali domestici — e un filosofo -il più domestico degli animali selvaggi — discordi tra loro. Perché? Se il tuo filosofo — riprese il comignoletto rosso e civettuolo -- vivesse come vive il tuo gatto e come viviamo noi sopra i tetti delle case, sotto la cappa del cielo, si persuaderebbe che l’odore della. polenta è sgradevole anche se condita con le più elette saggezze. Si capisce che hai a che fare con una cantante. Io invece penso che se vivesse quassù guarirebbe del suo male di cervello, non per gli odori che salgono dalle case degli uomini, ma pei profumi che scendono dal cielo. Tu parli come un poeta di trent’anni fa, ma io penso che non guarirebbe. Vedi? In quell’abbaino abita un sognatore. Lo credi sano, tu? Io no. Domandiamolo un po’ al suo comignolo. Si parlava di me. Attesi con curiosità ed anche;:on un po’ di timore le parole del mio fumaiolo. Ma taceva. Finalmente gli altri lo interrogarono più vivamente. — O tu, non parli? Ho la gola secca... E poi, che volete che vi dica? Non cuoce mai nulla... Verità sacrosanta. - Te lo dicevo io? Tutti pazzi gli uomini, tutti pazzi. Tu sei ingenuo perché il tuo filosofo è vegetariano, ma se sapessi di quali imbrogli vivono, gli uomini! — Vivono?... Muoiono!... Chi non ha sentito queste due parole pronunciate nella profondità della notte da una voce sepolcrale e ròca, lentamente, ferocemente, non può comprendere il brivido di morte che percosse ogni mia Fibra in quell’istante. Mi parvero quelle due parole, due sordi rintocchi’ di campana; due tonfi di pietre in uno stagno fetido. L’umanità è avvelenatal... Non era molto divertente. Ma col terrore, era nata in me la curiosità di sapere donde mai venisse quella voce lugubre, chi fosse mai quel tristo che per lei parlava. E come se tra me e i comignoli, anche invisibili come quello, si fosse già stabilita una misteriosa intelligenza, la stessa voce mi rispose: «Grand Hòtel Italien». E la brezza notturna portò fino al mio volto una nube di fumo denso e bianco simile a quello dell’odioso forno crematorio. Ouando parla colui — disse il leggiadro comignolo di terracotta rossa — mi sento tutto rabbrividire come se un triste presagio mi premesse la gola e guardo- sottecchi il cielo col timore di vederlo annerire dal ciclone o arrossato dal terremoto. Di D esce tutto il fumo denso dell’opulenza mondana. che si adagia beata senz’altri ideali fuori dei buoni piatti. (Continua).