Il buon cuore - Anno XIII, n. 37 - 14 novembre 1914/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIII, n. 37 - 14 novembre 1914 Religione

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LE OASI DELLO SPIRITO

La Certosa di Trisulti


Parto di buon’ora da S. Francesca, quando ancora il mondo riposa nelle brume, nell’ora antelucana cui il cielo si tinge di un tenue color di rosa.

In mancanza di un sauro destrier degli inni, mi contento di un modesto somarello che mi porta nella via sassosa con un passo lento e sicuro, con un ritmo regolare.

Si sale continuamente attraverso i monti e ampie vallate. Il paesaggio è bello, pieno d’incanto e di poesia; le vette dei monti si slanciano superbamente nell’immensità del cielo, verso un più libero spazio, scevro di passioni, di odi, di soperchierie e di vendetta. Quei monti sono assaliti da una irrefrenabile follia di salire verso l’alto; e ricevere per i primi, il più cocente, forse il più libero bacio del sole. Hanno fretta di giungere, temono di essere sofraffatti nell’ascensione.

Tutto è puro, giovane, fresco, sereno sotto questo gran cielo mite. Solo qualche nuvoletta bianca sale nell’orizzonte, su la vetta dei monti.

Si sale attraverso, il paesaggio pittoresco. Dai campi, dalle capanne, dai ruscelli, dai boschi risuonano liete canzoni; alla poesia dell’azzurro del cielo si sposa giulivamente il canto verde dei campi.

Si sale, si sale ancora finchè si giunge alla valle di S. Nicola, assai vasta e ben coltivata.

L’altipiano si stende maestoso dopo la salita, coi prati in fiore, con un fremito leggiero dell’erba alta e dei rami degli alberi, carezzati da un lieve a-

lito profumato come di fanciulla, nel cinguettio delizioso degli uccelli.

A destra una folta boscaglia attrae le sguordo. Le fughe interminabili dei tronchi alti e dritti, gli uni esili, gli altri colossali, assumono forme strane e destano nella niente dell’osservatore le più curiose immagini. Sono talvolta colonnati che si perdono lontano, sono misteriose navate di templi mostruosi, sono coorti di giganti arrestate da un subitaneo, arcano comanda. Non v’è fantasia ferace di architetto che non -abbia qualche superba ispirazione da rapire allo spettacolo della vergine natura.

Più oltre, perduti nella solitudine, spiccano i ruderi del Monastero di S. Nicola, vescovo di Mira, dove un tempo risuonò il puro canto di centinaia di vergini innocenti: il solo cantico che attraverso tanti secoli abbia rotto il silenzio della valle alpestre e solitaria. Fu però una poesia di breve durata. Le figliuole di S. Benedetto, il gran Patriarca di Occidente. verso la metà del secolo XIV, lasciarono per sempre la mistica solitudine. Il monastero abbandonato, in breve fu ridotto ad un cumulo di rovine. Un’umile chiesetta, con un bel quadro di stile bizantino, è rimasta lì a testimoniare ai secoli l’ardore serafico che un tempo rifulse in mezzo a questa calma idilliaca, a questa tranquillità solenne.

Pochi passi ancora e ci si offre allo sguardo la magnifica Certosa. Una grande allata ci divide, in fondo alla quale scorre il fiume Cosa. Prima di proseguire nel cammino, fermiamoci a contemplare il superbo panorama che ci si stende dinanzi agli occhi.

L’orozzonte si allarga con ampiezza di linee e magnificenza di tinte, pieno di inesprimibili sfumature e contrasti di verde e di azzurro, ora lievi, ora forti, e caldi, con riflessi d’oro e di porpora, sotto il sorriso di un cielo infinito. E’ una scena estesa, varia, multiforme, affascinante; è un insieme di paeaggi pittoreschi che formano una armonia stupenda, in guisa che l’asprezza dei monti, il sorriso dei poggi, lo smeraldo delle valli, la flessuosità delle colline si fondono e si congiungono come in un abbracciamento di amore che rivela l’unità meravigliosa e la concordia artistica di tutto il creato. Si contempla a lungo lo spettacolo, penetrati dalla [p. 290 modifica]sua profonda bellezza. Tutto è bello qui: il canto degli uccelli, il mormorio delle acque, la calma della valle, il silenzio dei boschi danno l’idea di un luogo voluttuoso, incantevole, in cui l’anima si apre ai sogni più lieti. Trisulti, in mezzo a questa cornice splendida di tutti i colori, dolce di tutte le mezze tinte, bella in tutte le seduzioni, appare deliziosamente come una mole maestosa che mette sul bruno delle roecie e sul verde dei boschi, un solenne fastigio di biancori e di fulgori. Il fabbricato brilla, lampeggia, investito dalla luce del sole che sembra si riversa in fiumi d’oro sulla magnifica Certqsa. Per abbracciarne tutta la bellezza, bisogna contemplarla dall’altura di Civita. L’impressione grande riesce rafforzata la considerazioni che si offrono spontanee alla mente. Affacciandosi alla rocciosa altura di C ivita, dalle forme rosee e severe, un’esclamazione di lieta meraviglia erompe spontanea dal petto e accompagna il volo ampio dello sguardo sul panorama incantevole che si spiega dinanzi agli occhi superbamente. Immensa nel verde delle foreste, in mezzo a questa solutudine sterminata, la mirabile Certosa si presenta come una bella maga addormentata. In basso il fiume Cosa, nella pace solenne, si è scavato un corso sinuoso nel vivo calcare, e procede imponente e spumeggiante in mezzo a un impetuoso caos di rocce che vorrebbero arrestare il corso violento. Le onde si infrangono senza posa, ricadendo in fiocchi di spuma bianca. Quanta poesia emana dal rumore cadenzato di quelle acque! E’ tutta una dolce e limpida melodia che pare scaturisca per virtù meravigliosa dagli intimi recessi fluviali. Quel mormorio sembra una perenne canzone nuziale che culli i sogni della bella addormentata. Assai grazioso e pieno di poesia, a mezzogiorno della Certosa, scendo verso il fiume Cosa, si offre allo sguardo il Santuario delle Cese, meta di frequenti pellegrinaggi dei •paesi vicini. Quella vista affascinante, domina l’immaginazione, crea le illusioni, le fantasie più meravigliose, trasportando in una regione ultramontana. Il monte Rotonaria da questa parte scende giù quasi a picco, orrido e vertiginoso fino quasi al piede della valle ove corre impetuoso il fiume Cosa. La chiesolina sorge pittorescamente nel cavo della roccia, la cui apertura può misurare cinquanta metri di larghezza per trenta di altezza. Al disopra un masso enorme ha una lieve inclinazione sul dinanzi, così che al primo vederlo, si ha la terrificante visione che esso si stacchi dal monte e piombi, mostro terribile, a sconvolgere la gola sottostante in una convulsione di cataclisma immane. Nel ripiano brevissimo dove la roccia per quindici o sedici metri si incurva come a rentrare nella montagna, si addossa alla parete l’umile cappella bianca dalle linee semplici, dove si venera la prodigiosa immagine della Madonna delle Cese. Serve di comunicazione con la Certosa una

strado ripida, ma abbastanza comoda, che dal 1883 è venuta a sostituire la pericolosa scalinata, scavata nelle irregolarità dalla roccia, dal lato destro del Santuario. La Certosa è addossata alle falde del monte Rotonaria,: che si presenta maestoso e severo all’-,sservatore, formando una veduta invidiabile. E’ uno spettacolo magnifico ed imponente sia quando lé nubi l’avvolgono o le nebbie vaporose scherzano intorno alla cima sovrana, come pure quando l’aria pura e il sole lo recingè sfolgorante. Quella vetta si profila nell’orizzonte infinito, e sembra raggiungere i limiti estremi in cui la realtà si confonde col sogno. Su quell’altura è una calma profonda, un silenzio grave, rotto a quando a quando dal grido lugubre e stridente di qualche uccello di rapina che si libra nell’aria, molto in alto... Regina dello spazio e della solitudine, sul punto culminante, si eleva una croce gigantesca, che sfida le folgori e il ruggito delle tempeste: una croce di ferro che disegna negli azzurri la grande illusione di un mondo migliore del nostro. All’intorno della Certosa, dove nessuna mano si interpone a impedire o a favorire la vegetazione sul terreno roccioso, che il raggio del sole accende con assidua vampa, cresce una selvaggia e confusa famiglia di piante, che si diffondono in forme bizzarre e con le tinte più varie. In mezzo a quel bosco è tutta una vita che si agita e freme: rami che si curvano leggiadramente agli aliti del vento, fusti diritti che si confondono, si addensano nella chiara trasparenza dell’aria. Dalla collina di Civita si scende giù nella valle del Cosa. Il luogo è ridente e corso da fresche aure stimolatrici dell’appetito. Oltrepassato Ponte dei Santi, la via sale rapidamente sul monte Rotonaria. In un’ora e mezza di erta, ma amena salita, fra scogli rocciosi, fra macchie e boschi, si giunge su un ampio ripiano, nel mezzo del quale sorge pittorescamente la Certosa di Trisulti. Poco prima di giungere alla Certosa, la nostra attenzione è richiamata da la grotta di San Domenico, scavata naturalmente nella viva roccia, larga in. 4.5o. Nel 1683 lo speco fu fatto chiudere a forma di cappella dal priore Cacciamani, il quale vi fece costruire anche un altare nell’interno. Quivi negli ultimi anni del secolo X si ritirò Domenico da Foligno, già monaco benedettino. Nel 999, cedendo alle istanze di alcune pie persone che desideravano seguirlo nella disciplina monasica, fondò una badia nelle vicinanze della sua grotta, presso una sorgente d’acqua limpidissima, dedicandola a S. Bartolomeo Anastolo. S. Domenico rimase nella Badia di Trisulti dedici anni. In seguito passò a Sora per una nuova fondazione, la badia di S. Domenico, dove morì il 22 gennaio 1031. I monaci benedettini abitarono il monastero di S. Bartolomeo quasi duecento anni, finchè, venuta [p. 291 modifica]meno la disciplina e diminuiti di numero, Innocenzo III sostituiva ad essi i figli del novello Ordine fondato da S. Brunone: i Certosini. I locali della vecchia abbazia erano troppo angusti per la nuova famiglia di religiosi, la quale ideò di fabbricare di sana pianta una nuovo Certosa, nel luogo dove attualmente l’ammiriamo. Per la nuova costruzione si servirono in gran parte del materiale ricavato dalla demolizione del chiostro benedettino di S. Bartolomeo e dei fabbricati annessi, lasciando la sola chiesa badiale, che, sfidando le ingiurie del tempo, è giunta sino a noi. Sono visibili tuttora i notevoli avanzi della vecchia badia: da’ quei ruderi su può argomentare che il fabbricato doveva essere abbastanza vasto. Scarso è il materiale relatiyo alle origini d Trisulti. La Certosa di S. Maria di Casotto, nel Piemonte (diocesi di Alba), dovette somministrare la prima famiglia, trisultina e il priore destinato a governarla. Un antico documento conservatoci dal Marucci nei suoi Annales Trisultani (ms• del 1691,) ricorda il numero dei religiosi, il nome del priore, e perfino il numero dei famigliari e delle cavalcature venute da Casotto con il giorno preciso del loro ingresso conventuole in Trisulti: «die quarta ante festunt S. Michaelis, hebdoinadae feria V, indict. i i, Incarna)tionis Dominicat 1208 (alcuni leggono I2o4),Pont. Domini Innocentii pp. III, anno IX (25 settembre 1208), intravit conventualiter Ordo Cartusiae in domum S. Bartholomei Ap. de Trisulto antea scilicet Nigrorum Monachorunt (Benedettini). Intravit autem in Monachis quidem cum Priore Rodulpho numero decem et octo, cum famulis vero duodecim; super hos, quatuor fuerunt ante ad loci custodiain destinati, quibus coni superioribus contputatis 34 fit numertis personarum; et hoc absque equitaturis et famulis ja;n dictorum quatuor conversorunt». L’avvenimento mirabile è ricordato anche in un grandissimo quadro posto nell’interno della chiesa, sulla porta d’ingresso, figurante Innocenzo III che conduce i Certosini di Casotto al possesso di questo monastero. La chiesa fu consacrata il 17 luglio 1211 dal menzionati Pontefice Innocenzo III, il quale, come si rileva da una iscrizione posta nell’interno del tempio, aveva sostenuto tutte le spese necessarie per la nuovo costruzione, prelevando somme non lievi dal tesoro di S. Pietro: Innocentius PP. III — Domum hanc Divo Bartholomeo Apost. sacram — Aere apostolico excitatam absolutam ornatant — ob insignem eremiticani visionent, voti compos — Carthusiensi Ordini donavit — Anno Domini MCCIV. La Certosa si presenta come un insieme di edifici riuniti su una vasta area. Innanzi all’ingresso si apre un bel piazzale, dove sgorga da un mascherone, acqua abbondante e freschissima, proveniente dai vicini monti. Appena entrati, si scende nell’ampio fabbricato mediante una lunga gradinata fiancheggiata da

mura di travertino. A sinistra si apre un belgiardinetto simpaticamente vario di fiori, nelle aiuole e negli ornamenti. In mezzo a tutto questo verde spica il piccolo, ma elegante edificio destinato alla farmacia, costruito negli inizi del secolo XVIII. La farmacia ed il salottino adiacente sono riccamente ornati da pitture umoristiche di Filippo Balbi, piene di grazia e di genialità. Bellissima il ritratto di fra Benedetto Ricciardi, farmacista della Certosa, carissimo al Balbi, il quale volle dipingere ad olio sul muro il buon vecchio nell’atto di uscire dalla sua cella per ricevere i visitatori. Non meno attraente la famosa testa anatomica, inviata dal Balbi nel 1856 all’esposizione di Parigi. Nell’insieme ha un non so che di dantesco e di michelangiolesco. L’insigne pittore ha riprodotto in questo magnifico dipinto tutti i muscoli, tutti i e tendini, tutti i movimenti della carne mediante figure umane nude, riunite nelle posizioni più naturali e più ardite. Il dipinto, veramente bello, era considerato dal Balbi stesso come il suo capolavoro, tanto che soleva spesso ripetere con compiacenza: «Dal divin Michelangiolo in poi di questi lavori non se ne sono più fatti». Davvero che quel gran numero di figure potrebbero popolare una bolgia dell’inferno dantesco! L’attenzione del visitatore è attirata da una graziosa colonna di porfido donata alla Certosa nel 188o dal cardinale Teodoli. Vicino spicca, dipinta su mussola, una graziosa testa di vecchio sorridente. Usciamo dalla farmacia per visitare il tempio. La chiesa, dedicata a S. Bartolomeo apostolo, iniziata sui principii del sec. XIII dai famosi artisti comacensi, è venuta svolgendo attraverso i secoli, la lirica delle sue linee eleganti e maestose. E’ in una sola navata lunga m. 3o, larga m. 9, alta circa m. 15. La facciata, quale la vediamo ora, fu eseguita nel 1758 dal P. Bedini, priore della Certosa. L’interno della chiesa non ha conservato nulla dell’antica severità e nudità, presentandosi ora elegantemente rivestita di marmi e di quadri di pittori insigni. Nelle pareti laterali si ammirano quattro quadri grandissimi, che dobbiamo al pennello di F. Balbi Errando nel tempio l’occhio corre subito, involontariamente, sul dipinto riguardante la strage dei Certosini in Inghilterra avvenuta a Londra il 14 maggio 1535 sotto Arrigo VIII. Come sfondo, quasi diafana, lontano lontano, nella penonmbra, sorge la Certosa. Nel mezzo della scena un cavaliere dall’atteggiamento nobile e fiero, addita ai suoi soldati la Certosa. Questi, udito il comando, corrono in quella direzione, si avventano con ferocia sui poveri monaci, facendone un orribile massacro. Non meno commovente è il quadro della parete di fronte, riproducente la strage dei Maccabei. La scena biblica è stata presa nel punto più drammatico. Da un lato: l’ara di Apollo circondata da sacerdoti biancovestiti, cinta la fronte di corone. che preparano i sacrifici. A pie’ dell’ara, quattro dei [p. 292 modifica]IL BUON CUORE

Maccabei giacciono vittime immacolate, tutti in posizioni diverse e difficilissime. Un altro è ferito mortalmente sulla schiena. Accanto un altro dei fratelli si divincola fra le mani di un moro che con le tenaglie cerca di strappargli là lingua. A sinistra, assiso sul trono, il fiero monarca Antioco, circondato da’, suoi scherani, addita al superstite•Maccabeo il simillacro di Apollo. In mezzo a tanta strage, la madre. addolorata, ma senza versar lacrime, serena nello sguardo, esorta l’ultimo dei suoi figli ad incontrare coraggiosamente la morte, ripetendogli le parole bibliche: Peto, nate, ut aspicias ad Coelum. Un terzo quadro posto a destra del presbiterio rappresenta San Brunone che fa scaturire l’acqua dalle rocce del monte Chartreuse, quando, negli albori *della vita religiosa, i suoi compagni soffriva• no la sete. Meglio riuscito e più movimentato è il quadro che sta di fronte, riproducente Mosè che opera lo stesso miracolo di S. Brunone. La maestosa figura di Mosè: raggiante di luce e di maestà, forma come’ il centro di tutta la scena. All’intorno un popolo numeroso si muove e si agita: quel medesimo popolo che, poco prima, aveva sparlato del suo duce, perchè l’aveva tratto in quei luoghi a morir di sete. Bellissima tra le altre la figura di una madre che, seduta a terra, in dolce atto di amore, sorregge un bambino, lo accarezza e lo guarda con rara espressione di. sentimente. Quanto affetto in quelle sguardo! Altri quadri numerosi sono sparsi qua e là nelle pareti della chiesa, che si presenta come una vera pinacoteca. Fra le altre, le tele del cavalier d’Arpinò (1560-1640), mirabili per l’armonia delle tinte e l’espressione dei volti. Accanto alla chiesa sorge il cimitero della Certosa di dimensioni non molto vaste (18 per 13 e mezzo). E’ composto di quattro grandi loculi sepolcrali, ove si tumulano i religiosi senza ’Alcuna distinzione. Nel mezzo da una gran croce dritta e immobile nell’aria, scende una pace mistica, una dolcezza pura che dà all’anima un sensó di riposo dolce e soave! Terminiamo la nostra visita con un’occhiata al chiostro. Oltremodo gaio si presenta allo sguardo del visitatore il chiostro della Certosa, pieno di sere- ’ nità e di misticismo. Il lungó e maestoso porticato, l’architettura severa ed elegante, le aiuole, ricche di erbe e di fiori, le fontane fluenti acque saluberrime, tutto concorre a renderlo amenissimo e incantevole. Il suolo è ricoperto da una vera esuberanza di fiori smaglianti e vani, che prodigano all’aria l’ali* to voluttudso del loro profumo delicato e penetran- ’te. Dovunque- è un tripudio di vita e di vigore. E la vita quotidianamente.si rinnovella: si vedono cadere delle foglie secche e altre, turgide di linfa, aprirsi; dei fiori appassire ed altri sbocciare. Foglic, e fiori cademo per disolversi e alimentare nuove ge nerazioni di fiori e di foglie. E’ tutta una laude arcana e innamorata che dal seno della gran madre si slancia veemente incontro al sole che la feconda..

Questa è la meravigliosa Certosa di Trisulti. Qui, più che altrove, si sente la verità delle parole di Jean-Francois Ducis, il poeta tragico della Francia: «Che calma! che deserto! In una pace profonda non sento più muggire le tempèste del mondo.... Il mondò è sparito, il tempo si è fermato: Eternità sei tu che cominci per me?..... VINCENZO QUATTROCIOCCHI.