Il buon cuore - Anno XIV, n. 02 - 10 gennaio 1915/Educazione Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIV, n. 02 - 10 gennaio 1915 Religione

[p. 9 modifica]Educazione ed Istruzione


“Per amare la musica „


Per amare la musica, o meglio, per amarla di più, per intenderla nelle sue manifestazioni sinfoniche od operistiche, strumentali o canore, in,rapporto all’ambiente in cui si è maturata, alla scuola onde deriva, all’intelletto che ne ha colta l’eco nell’immensità del silenzio sonoro, e l’ha resa sensibile agli altri, è necessario non solo avere una conoscenza sia pure generale del cammino storico percorso da quest’arte, ma esservi iniziata da un punto di vista critico-estetico, al di sopra delle strettoie di un freddo tecnicismo.

Eppure tali studi sono affatto manchevoli, quando non sono addirittura assenti, in buona parte di coloro che compongono od eseguono la musica, ma specialmente ’in, coloro che l’apprendono, ed ai quali i misteri dell’arte divina vengono rivelati senza l’ausilio di quelle discipline più adatte a farne conoscere la mirabile evoluzione.

Gli studi storico-musicali sono certo, rispetto alla musica; ancora allo stato di prima infanzia. Non sono due secoli da che l’autore del «Contratto sociale» imprendeva ad indagar sull’origine e l’essenza di questa arte ammaliante; non è ancora un secolo da che veniva intrapresa la pubblicazione dei primi dizionari biografici di compositori di musica, ed è assai meno di cento anni da quando musicisti riformatorie creatori, come Berlioz, Schumann, Wagner, pensavano di trasformarsi in scrittori di critica storico-musicale per propagare il loro verbo, per alimentare le novissime tendenze da essi pro-

pugnate, per collegare i frutti della propria ispirazione all’opera dei loro predecessori più degni.

Pure, da qualche tempo a (mesta parte, lo studio della storia della musica è andato assumendo un fervore più vivo, non diciamo all’estero, ove tale disciplina ha già avuto tutto lo sviluppo che la sua fondamentale importanza richiede, ma anche in Italia, ove, mentre sino a pochi anni fa i cultori di essa erano rarissimi, tale materia di studio va trovando ora divulgatori ed insegnanti. Costoro però sono sopratutto dei tecnici, specie dopo che in recenti concorsi governativi, si è voluta un’accertata conoscenza della musica, tecnicamente intesa, in chi aspira all’insegnamento di storia della musica nei nostri conservatori.

Ma giova tale conoscenza tecnica alla divulgazione e alla scuola? O non serve piuttosto a restringere il campa, senza eliminare affatto il pericolo che sulla cattedra pesino predilezioni troppo spinte o ancora troppo in ritardo, odii troppo palesi, dispregi troppo esagerati e, spesso, infondati?

L’insegnamento storico comporta una serenità ed una superiorità sulle varie tendenze e sui vari gusti, che assai di rado possono riscontrarsi in un tecnico. E certa recente letteratura musicale, pullulata fra noi, raccolta in volumi o sminuzzata in articoli, ne è una riprova poco lieta, nei suoi preconcetti, nella sua asprezza, nella sua irriverenza, che mal cela a volte l’invidia, confessione di una ispirazione sorda o d’un successo mancato.

Questo risveglio di studi, nell’indirizzo che è andato assumendo in Italia, non può riuscire che di beneficio assai scarso alle giovani piante di musicisti che, nei conservatori e nei licei, vanno addestrandosi alle difficoltà degli strumenti e delle teorie e van formando, oltre alla conoscenza tecnica, la loro coltura. Si dimentica, il più delle Volte, dai nuovi cultori di queste discipline storico-musicali, quale dovrebbe essere l’insegnamento, e come svolgendosi facile ed attraente, esso dovrebbe significare pei giovani, affaticati da studi tanto ponderosi, una parentesi di diletto e di sollievo ber’più proficuo di quel che possa riuscire una trattazione tutta tecnica. Insegnamento storico, dunque, che additi le gloriose tappe dell’arte divina, e insegnamento estetico, nel [p. 10 modifica]tempo stesso, che susciti nel giovane un palpito di vera, di profonda, spontanea ammirazione per le opere che è chiamato a studiare, mentre risveglia in lui quello spirito critico ché è indice tji gusto e di sen— sibilità artistica; così noi lo vorremmo. E a chi pensa che proprio tale missione spetti alla letteratura e all’insegnamento storico - musicale, apparirà davvero utile la recente pubblicazione di un volume che ha questo titolo: «Per amare la musiCa» e che raccoglie e sintetizza, sotto un aspetto tutto storico ed estetico, il cammino della -musica moderna, dalla fioritura religiosa del XVI secolo sino ai giorni nostri, da Palestrina a Debussy. Anche altri testi di storia della musica hanno su per giù tali punti di partenza e d’arrivo e quasi identici raggruppamenti in capitoli di tendenze, di indirizzi, di scuole. Ma nessuno, come questo recentissimo, ha un intento così preciso e opportuno, e una forma così facile, senza essere pedestre, e un così felice amalgama di esatte e misurate notizie storiche e di giudizi critici, ora personali, ora sagacemente derivati, sempre appropriati, sereni, esaurienti. L’autore di esso non ha bisogno di presentazioni, proprio da queste colonne. Pasquale Parisi è un giornalista e uno scrittore acuto, versatile, instancabile, nel quale gli argomenti più vari e diversi, trovano la stessa preziosa virtù di estrinsecatore pronto e vivace. Egli ha già dato finora solida prova della propria coltura con un manuale di (( Letteratura Universale» e ha dimostrato di quanta competenza larga e sicura sia materiato il suo attaccamento alla professione giornalistica con quel suo ottimo libro sul «Giornale». Ma con questa pubblicazione ora stampata, egli ha potuto mettere in luce eccellenti qualità che nn sempre il «mestiere» può far valere. Perchè Pasquale Parisi è sopratutto un innamorato dell’arte e non è fortunatamente uno di quegli innamorati che restano inerti ed estatici innanzi al loro idolo. Questo gli ispira anzi un entusiasmo operoso e fattivo che egli trasfonde e mette ín opera ora in novelle che sono, come poche presentemente. interessanti per situazioni e sottili per psicologia, ora in articoli di critica che sono (come ben di rado se ne leggono) agili, perspicaci, onesti. E come la precedente produzione di lui è pure questo libro «Per amare la musica». E’ un libro — dicevamo — che -ha uno scopo preciso e lodevole assai: ricordare, in pagine interessanti e piacevoli; le conquiste, i progressi, i trionfi dell’arte più allettatrice, ed accendere, con l’amore e l’entusiasmo che emanano da ogni pagina del volume, l’entusiasmo e l’amore. necessari in chi a quell’arte si voti. E a questo scopo esso obbedisce in tutto — nella sintetica chiarezza, specialmente, e nella serena imparzialità — nè tali pregi mai perde. E’ palese in ogni pagina che l’autore s’è voluto rivolgere ai giovani. Ed i giovani faranno bene a rispondere all’appello ed a giovarsi di questo libro, perchè in essi troveranno tutti gli elementi indispen sabili alla esatta divulgazione d’una materia di studio e che essi non han forse finora trovati nell’insegnamento della storia della musica: semplicità espositiva, unità di metodo, competenza che non è pedanteria, predilezione evidente per l’argomento trattato, senza che per questo i gusti personali dello scrittore cerchino d’influire sul giudizio generale. Troveranno racchiusa, in venti capitoli, che non occupano più di centocinquanta pagine, nella nitida ed elegante edizione curata dall’editore Izzo, tutta la materia, pur così vasta e complessa, e che non vi resta affatto affogata o in qualche punto raccorciata e ristretta, tanto sagacemente v’è distribuita. Troveranno in questi venti capitoli notizie, dati, giudizi che invano si ricercano in altri testi del genere. V’ha per esempio, tutta la parte che riguarda la musica modernissima, sino. alla più recente produzione contemporanea, che è di una utilità preziosa, t quella, in, cui parla dell’Italia, di Verdi e dei maestri del nostro tempo, che può davveru riuscir di conforto, di monito e di sprone ai giovani che all’ardua carriera’ si addestrano. Certo, anche ammirando le doti di condensazione di cui l’autore ha saputo dar così accorta prova, dicendo di tutto e. di tutti in uno spazio così misurato, è pure da. deplorare che il libro, pel quale è stata necessaria uno così cosciente preparazione, abbia dovuto non sorpassare,le proporzioni di un manuale scolastico. Messe le prime basi con quest’opera, c’è da augtirarsi che l’autore di «Per amare la musica», sviluppi sulla trama in essa tracciata, argomenti più particolari, ma che gli diano *campo, appunto fra i tinniti non più ristretti, di spaziarsi in trattazioni più larghe e profonde, in studi di quesiti e di tendenze il cui interesse è cocente per la musica e peí musicisti moderni. Dalla sua competenza ciò si può ottenere; anzi, si deve pretendere, perchè la musica, non solo fra i compositori, ma pure fra i critici, ha ora più che mai bisogno di artisti. UGO SCALINGER.


"Auspice Te!„

’Continuazione v. num. I)

Fede e dottrina teologica, patristica, agiografica sono, ripeto, per la poesia religiosa propriamente detta, anima ed ala.al volo, necessità congenite all’essenza del soggetto, MARIA: meditazione, estasi, aspirazione di penitenti, preghiera devota; non può essere up’infiorazione ’parassitaria a beneficio dell’arte; vuol essere commozione, ingenua od ispirata, emozione ascetica. Che se questo vuol dirsi della lirica religiosa in ispecie, quanto più si deve dire della lirica mariana in ispecie: lauda o elegia, canzone o strofe, poema o prosa cadenzata. E’ dessa un muover taumaturgico che l’ingegno e [p. 11 modifica]l’estro umano non possono avere, per sè stessi; è un addottrinato e genuino elevarsi di un motivo semplice, meglio diremmo umile, che ascende, di per sè, al sublime: un mover di cherubini trasvolanti in un pio zaffiro, non pur soprannaturale, ma paradisiaco: cielo di candori e d’oro.: cielo di Iddio! Tale e tanta inerenza ascetica del soggetto chè della poesia sacra, per davvero! rifugge dai lenocinii, dagli Spasimi convenzionali, venuti, ahimè! di moda in una certa poesia elegiaca, esteriormente pia e pietosa: vera e propria contraddizione nei termini; non oro, ma orpello. Sodo fiori di poesia dai profumi soporiferi asfittici, se pur suggestiva, pur sempre ea.mena profana. E’ visione fantastica, è ipnotismo, fissa la mente ad, un ideale. Sì; ma quale? Lo domanda un poeta, affascinante in sifatta maniera di induzione -pseudo - ascetica; Giovanni Camerana «La ideai mèta è ancor tanto lontana! Oltre i campi, oltre il colle, oltre la forte Selva, oltre tutto!» «Della mèta strana, Sai dirmi îl nome?.’..» (*) No, no; mai potrà essere che per entro la profonda malinconia aristocratica, in una solitudine di anima che le ragioni essenziali della poesia ricerca in un’auto-ispirazione, il poeta, per dotto e sincero che sia, trovi il ’soggetto religioso nella sua interezza. Questo, che è il vero noli me.tangere dell’Evangelista (**). L’effetto che il poeta ottiene non è, nè può essere, mistico; anzi, in rapporto al principio iniziativo — che è Fede, virtù teologale, riterrà, impronta di paradosso areligioso, di delirio ’nevropatico. Entra il poeta nel santuario d’Oropa. Ecco la sua AVE MARIA: Ave Maria, clic dalla nicchia d’oro, Tra i fulgori di tua veste gemmata, Negra in viso, ma bella, ascolti il ’coro, L’ingenuo coro della pia borgata. Ave Maria, di stelle inghirlandata, Curvo e tristo nell’ombra io pur t’imploro:,La valle imbruna, è il fin della giornata, Coi mandrian dell’alpe io pur t’adoro. Tu che salvi dall’ira del torrente, Tu azzurra vision nell’uragano, Tu ospizio infra le nevi ardue, tu oleate Aura, in che orror mi affondo, in che a[gonfia.. L’onta, il ribrezzo, il gran buio crescente, Tu lo sai, tu lo vedi: Ave Maria. Aprile 1882. E altrove: Strada che scendi alla fosca pianura (*) Versi di Giovanni Camerana, pag. 11. Prefazione. Torino, Casa Editrice, Renzo Streglio. (**) S. Giovanni. Vangelo. Cap. XX, 17.

Dal queto e bianco.santuario alpino, • La vita mia tu sembri e il mio destino; Dalla pace discesi alla sventura. Valle d’Oropa; 7 marzo 1883. Dite; oh dite! Maria dunque è vinta?..., Non in tale ambito si libra la lirica della quale parliamo; chè le sue inerenze ed aderenze sono liturgico ascetiche, chè non si affida a fascini sentimentali e rifugge financo dall’abbellirsi di mezzucci ipnotici e melici, dai sussurri de flauti e de’. liuti, dalle armonie onomatopeiche ad effetto; artifizi melodrammatici, romanticherie da chiar di luna; negazioni tutte di quell’astrarre dal mondo, il sine qua non d’ogni ispirazione ascetica. Giova ripeterlo? Il tèma MARIA non si presta a far da romanza; non si acconcia, anzi si ribella ad essere un episodio elegiaco, una variazione melodica su tèmi suggestivi per azione patetica: è arsi divina, non è tesi: è un’immanenza di ascensione al sublime. Sì; prchè Fede è Paradiso, Mentre le passioni e la mondanità ne sono la negazione; Fede è virtù, ed è premio a questa il gustarla rivelandola nella sua intima bellezza; Fede è adorazione, è, preghiera, è gaudio, integrazione del destino umano, canto di gloria; è poesia di Cielo! Non si richiede dunque allo svolgersi perfetto di un tale motivo poetica un’epopea ascetica, un carme, un’immensità estetica addensata in un metro neoarcaico, nè una superlirica apolliinea; nulla di tutto questo, anzi, -il contrario di questo! Ne ’sono eloquente {empio l’Ave Maria, la Salve Regina! le Litanie, il Magnificat, ne’ quali l’arte sta ad essi, come a fiamma, quanto più viva, il diffondersi della luce. Cón biblica integrità, con sobrietà evangelica di mezzi, redimita la forma classica latina da un senso di austero del bello strumento di effusa manifestazione del Vero evangelico, Gioachimo Pecci, nelle Precationes ad Beatam Virginem Mariam,, poeta ed asceta, ne dimostra la «quidditate», cioè l’intima essenza, d’una siffatta lirica. La traduzione, se pur fosse di merito indiscutibile, non vale a dar la identità perfetta dell’originale, di tipica bellezza ascetica Auri dulce melos, dicere, MATER AVE Dicere dulce melos, o pia MATER AVE. Che così suona: Dolcissima all’orecchio è melodia Il dire: AVE MARIA. La melodia più dolce e più soave E’ il dir: PIA MADRE, ave! Ma note d’arpa, al tocco d’angelo rapito in eMasi nell’ora pia, assai più che mesta, nel tramonto della vita, sono l’ultime strofe degli Estremi voti di Leone. Le ripeto da una traduzione, da quella illustre di Giovanni Pascoli:...Da’ suoi vincoli alfine fuggendosi libera via l’anima, subito anela, arde di andare lassù: corre, s’accelera: è quella la mèta del lungo cani[mino: ne la clemenza sua Dio còmpiami i voti che fo. [p. 12 modifica]Giungere io possa nel Cielo, godere de l’ultimo dono: la visione di Dio splenda in eterno per me! E mi riceva nel Cielo,, Regina del mondo, Maria, che tra i nemici la via, guida sicura, m’apra (coni’ io temeva!) a la patria. Lassù cittadino del [Cielo già, Perchè Tu mi guidasti, ho tanto premio, dirò. E come veramente è originale la virginea sobrietà poetica di questo carme lebniano; come aurora indefinibile su sconfinati candori in un’eterea regione! Ma neppure è nato a sentirla chi non sappia linguagg’i di Fede, di quella, dico, attinta dalla meditazione, fonte di grazia spirituale e di grazie estetiche, di ispirazioni, quali furono disseminate nelle laudi,francescane, e in ispecie, nel Canto delle Creature, detersi l’anima, santificato il genio dalla conversazione con Dio. Ecco nell’interezza sua l’ultimo degli Estremi voti di Leone, dianzi citato, in quella, quasi direi. profana traduzione:!eque, o Virgo, frui; matrem Te parvulus,infans Dilexi, fiagra,ns in sere crevit amor. Excipe me Caelo; Caeli de civibus Auspice Te, dicam, praemia tanta tuli. La critica evoluta chiama, ce lo sappiamo, sifatto misticismo poetico una malattia: «E’ una malattia che ha afflitto molte anime, che ha annebbiati molti intelletti, che ha lacerati molti cuori. Noi oggi ne siamo in gran parte liberati; ma essa fu pure, in altri tempi, una realtà terribile; tra i morbi dello spirito fu uno dei più micidiali, fu la peste bubbonica dalle anime nel grande lazzaretto del Medioevo.» (*) Spedale da infetti dove, fra i più infetti, troveremmo il Rapito d’Assisi, e quel da Todi, l’infettissimo Giotto, e Dante, e Vittoria Colonna, e Michelangelo ed il Manzoni, per tacere del Petrarca il gran malato che occasionò la critica spasimosa del Bortoli; cui, troppo spesso, un’areligiosità dommatizzante nascose i sofismi della critica, sia pure scentifica nella movenza sua generale e nel processo analitico, ahi! come contraddicente, nello studio di Messer- Francesco appunto.,Chè egli ci si presenta nelle battaglie del suo spirito non pur elevato ad essere nella Canzone Vergine Madre che di sol vestita l’immortale poetadi Maria, ma confortato; sanato il cuore da una pace ristoratrice e consolante: Sue letture assidue Ambrogio, Agostino, Gerolamo: «Mio filosofo — diceva — è Paolo, mio poeta è David.» Non lazzaretto, ma tempio sublime fu a lui la sua " Fede! «Un’onda di pianto trascorre davanti a quel tempio.... e travolge a’ piè della Vergine tutto ciò che l’artefice ha amato e desiderato e patito, tutto ciò che egli ricorda e teme; inginocchiato nella sua cameretta d’Arquà dinanzi alla Madonna di Giotto, che poi lasciò magnifico e amichevol dono al Signore di Padova.» • (CARDUCCI), (*) Adolfo Bartoli, Storia della letteratura italiana. - Francesco Petrarca. Cap. FI, pag. 55-84. Firenze, Sansoni. (Continua)

Pizzo MAGISTRETTI.


Pel fausto Natale di A. S. R.

MARIA DI SAVOIA

(26 Dicembre 1914)

Oggi, mentre la Chiesa ricorda il primo Martire cristiano, Tu, non peranco attesa, sei venuta dal tuo cielo lontano, Angioletti regale, la letizia a portar sul Quirinale. Una culla dorata — compenso ai puri abbandonati cieli — T’accolse, e addormentata in un’onda di trine e ricchi veli, Tu sogni forse ancora luci di stelle e sfolgorii d’aurora. Dormi, sogna e sorridi ancora ’alla vision del paradiso nei cui fiorenti lidi ebbe l’anima’ Tua il primo riso, nè il sonno Tuo profondo rompa il fragore che sconvolge il mondo. Tu non sai che la Terra • • or di sangue rosseggia e il ciel di fiamme: ch’una furiosa guerra orba dei figli mille e nulle mamme; ch’orribilmente f era ora la Forza del Diritto impera. Tu, fra seriche bende ch’entrò a mal chiuse tende, nella tepida cuna, o Bimba, ignori del verso esposte ai perfidi rigori, stanno infinite schiere con lampi d’odio su le fronti altere. Non sai che domattina l’un contro l’altro i legionari armati la morte e la mina lancieranno sui campi desolati, e ch’altre madri in pianto, gemeran sul novello camposanto.... Dormi e in sogno sorridi o discesa dal ciel Bimba regale! Fino ai contesi lidi dove infuria la mischia aspra e brutale il Tuo primo vagito svegli un senso che pare inciffidito. Nel cor d’ogni pugnace spenga l’odio e la sete di vendetta; suada all’alma la pace sì che la Terra torni benedetta, nè dalle nostre aiuole più, i raffi non torca, esterrefatto, il sole! Codigoro, 26 dicembre 1914. A. A. ANSELMI