Il buon cuore - Anno XIV, n. 48 - 27 novembre 1915/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIV, n. 48 - 27 novembre 1915 Religione

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La mamma del soldato


Siamo lieti di poter offrire ai nostri lettori queste pagine commosse, che dai campi della lotta il lecchese Capp. mil. Don Edoardo Gilardi invia a Vita e Pensiero, Rassegna di coltura, fondata dal P. Gemelli.

L’ammirazione comune circonda oramai il giovane valoroso sacerdote, il cui nome è strettamente congiunto con le glorie del 12. bersaglieri. Tutti parlano del primo cappellano decorato in guerra e ripetutamente onorato con la medaglia al valore. L’eroico general De Rossi ha potuto scrivergli: «Ho ammirato in lei il prete e l’uomo. Non mi dimenticherò mai di lei che ha saputo trarmi in salvo e apprestarmi le prime cure nel momento del maggior pericolo. I giornali hanno avute parole di entusiasmo per il suo coraggio, quando ferito non volle ritirarsi, ma continuò nel suo pio ministero.

In questi mesi di guerra egli ha mostrato il suo eroismo. In queste pagine ci rileva il suo cuore.


Non posso dimenticare quelle dolci serate di primavera, trascorse presso mia madre, sotto le glicinie in fiore, che pendono a mazzi festosi dal pioppo che sta nel mezzo del giardino di casa. Io leggevo qualche libro; ella lavorava in silenzio, felice della mia presenza, del mio amore, che fu sempre solo per lei. Qualche volta non udendo più il tintinnio degli aghi che si disputavano il filo della calza, m’accorgevo che la mamma insensibilmente aveva cessato il lavoro e mi guardava. Quanta gioia provavo nel colpirla in flagrante in queste sue amorose contempla-

zioni!..... Alzavo d’un tratto gli occhi dal libro e li fissavo nei suoi con un’aria allegra di scoperta. Ella non poteva trattenere un sorriso e si rivolgeva ai fiori del giardino, fingendo di non curarsi di me.

Povera mamma! Quell’abbraccio estremo, con quelle ultime parole nelle quali è tutto l’amore e la magnanimità dell’animo suo: Va, figlio mio, dove sei chiamato: sii buono e forte; ricordati di me che ti amo tanto», io non le dimenticherò giammai; ed ancora dopo quattro mesi di lontananza, sento correre sulle gote il tepore delle sue lagrime, per le membra la stretta di quell’amplesso affettuoso.

Ch’io dimentichi mia mamma?.... Quando mi rannicchio sulla poca paglia della mia trincea, facendomi piccolo sotto la coperta, per togliere quanto posso di me stesso all’impertinenza del freddo, parmi vederla vicina, compiacersi con me per il dovere santo scrupolosamente compiuto, sentire sulle guance l’impressione delle sue labbra nel bacio della sera.

Io non so concepire il senso selvaggio della frase sfuggita ad un giovane: «io vorrei essere al mondo, senza aver avuto mai nè padre nè madre». Come se gli affetti domestici più puri sieno impedimento a compiere il dovere di dare tutti noi stessi per una causa santa. Perchè mai gettare sulla memoria venerabile delle nostre buone madri quest’onta di viltà?

Alla donna che ci ha dato colla vita un sangue generoso, cresciuti gli anni nostri fra tanti dolori, educato in noi con cure amorosissime un animo grande, mancherà forse il coraggio di sopportare il più doloroso dei martirî, l’immolazione del figlio per la Patria più grande?

Chi ha madre e nutre veramente un cuore di figlio, ha presso di sè il custode più geloso del proprio dovere di fronte al nemico. Molte volte nei momenti più difficili della vita d’avamposti, rotto dalla fatica, inzuppato d’acqua, intirizzito dal freddo, impressionato dalla vista di tanto sangue e di tante stragi, ho desiderato ancora intensamente una volta al dolce seno di mia madre, per attingervi una giovinezza nuova. Come un bambino che s’accovaccia tra le braccia della nutrice e nascondendo colle manine gli occhioni azzurri grida: «Mi vedi?», io, abban- [p. 330 modifica]donandomi ai ricordi della famiglia, dei baci, delle carezze d’un tempo, m’illudevo di vivere qualche istante di immunità nella lotta sanguinosa e pensavo: Ora nessuno mi può toccare». E la mamma si fa vicino all’animo di chi soffre, come una visione piena di luce: il suo sorriso asciuga il pianto, ristora.le membra affrante, infonde nuove energie. Quando nel furore della lotta, con l’entusiasmo e la spensieratezza della nostra giovinezza, si contende arditamente l’esistenza alla morte che tutti sembra travolgere; ed il sangue nell’ebbrezza del trionfo ribolle di una nuova vita; il primo pensiero corre t sconoscente a colei, che ci ha dato alla luce per tanta grandezza, per una felicità così pura. lo amo contemplare mia madre come l’angelo delle mie battaglie, ed al mattino quando apro gli occhi ad un giorno nuovo, penso: «qual gioia, quale gloria oggi aspetta il mio buon angelo?». Fanciulli d’Italia, voi siete ancora piccoli; ma un giorno comprenderete la verità di queste parole: Quanto è doloroso pensare all’indifferenza colla quale nel passato si sono accolte molte delicatezze del cuore materno’ La madre è un bene troppo grande ed è necessaria talvolta la lontananza, per apprezzarne tutta la grandezza». Una lettera, un ritratto, un’immagine, tutto quello insomma che conserva il profumo delle sue mani diventa una reliquia preziosa per il figlio al campo. Ogni sera, prima di addormentarsi, bacia con grande. effusione la piccola medaglia, che la pietà della mamma ha nascosto tra le fodere degli abiti; la medaglietta colla Madonna del santuario dei monti nativi, che il giovinotto un bel momento ha trovato per caso addattandosi la giubba e gli ha fatto dire sorridendo: Le mamme son sempre quelle donne...», ma che ora tiene caro come un pegno di colei, che vigila al suo fianco, ricordando e pregando. Quanti cuori traviati furono condotti sulla vetta via da questa povera vecchietta, che nell’intimità delle mura domestiche vive solo della vita del figlio lontano. L’umile consiglio, senza pretese, buttatò per caso tra le righe di una lettera, fa rinascere nell’animo un senso profondo di nostalgia, di quella fede ingenua che congiungeva le nostre mani nelle sue nella prima età. Si ritorna con trasporto alle divozioni della fanciullezza; la preghiera dirada le tenebre e l’incredulo ritrova inconsapevolmente colla fede il candore dei suoi verdi anni. Fanciulli d’Italia, che ogni istante della giornata godete del sci-riso di vostra madre e quando vi prendete un piccolo malanno l’udite vegliare al vostro guanciale con dolci parole, ed a sera v’addormentate sognando i baci e le carezze, pensate alla desolazione di chi cade sul campo e muore martoriato senza il conforto di una parola cara. «Mamma, mamma mia!» è il lamento di ogni ferito. Il morente con l’ultima voce: «La potessi vedere, la potessi baciare ancora una volta!», ripete.

e cerca collo sguardo languido, rapito nel vuoto come in visione, la dolce figura di colei che conserverà chiuso nel petto il suo nome, la, sua gloria, il suo dolore. Ogni volta che io mi chino per medicare un ferito o confortare l’ultima ora di un morente, penso con angoscia alla piaga dolorosissima che, si apre in un Cuore lontano. Una vecchia donna seduta sotto il pioppo del giardino di casa, dove le glicinie ormai pendono avvizzite, legge una lettera ricevuta dal campo. La donna ’lacrima e pensa: «Mio figlio vive e combatte da forte». Chi dirà a quella povera madre che attende fiduciosa la gioia di un ritorno «Quella è l’ultima voce del figlio Che muore. Esso è tramontato come le glicinie del pioppo, che nel marzo trascorso ondeggiavano sul tuo capo?»., Povere Madri che vivete nascoste e consumate nel segreto del vostro cuore ansie e dolori da nessuno compresi Fanciulli d’Italia, passando davanti a quella madre. scopritevi il Capo e sorridete coll’ingenuità del figlio che non ritorna più. SAC. EDOARDO GILAROI Cappellano ... Reg. Bersaglieri