Il buon cuore - Anno XIV, n. 48 - 27 novembre 1915/Religione

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[p. 330 modifica] Religione


DOMENICA TERZA D’AVVENTO

Testo del Vangelo.

Avendo Gin valiti udito, nella prigione, le opere di Gesù Cristo, mandò due de’ suoi discepoli a dirgli: Sei tu quegli che sei per venire, ovvero si ha da aspettare un altro? E Gesù rispose loro: Andate e riferite a Giovanni quel che avete udito e veduto. I ci2chi veggo. no, gli zoppi camminano, i lebbrosi’ sono mondati," i sordi odono, i morti risorgono, si annunzia ai poveri il Vangelo, ed è beato chi non prenderà in me motivo di scandalo. Ma quando quelli furono. partiti, cominciò Gesù a parlare di Giovanni alle turbe. C.-sa siete voi andati a vedere nel deserto? una canna sbattuta dal vento? Ma pure, che siete voi andati a vedere? Un uomo - vestito delicatamente? Ecco che coloro, che vestono delicatamente, stanno nei palazzi dei re. Ma pure c(».a siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico io, anche più che profeta. Imperocchè questi ’è colui, pel quale sta scritto: Ecco che io spedisco innanzi a te il mio angelo, il quale preparerà la tua strada davanti a te. In, verità io vi dico: Fra i nati di donna non venne al mondo chi sia maggiore di GioVanni Battista: ma quegli che è minore nel regno de’ cieli, è maggiore di lui. Ora dal tempo di Giovanni Battista infin adesso, il regno dei cieli si acquista colla forza: ed è preda di coloro che usano violenza. Imperocchè tutti i profeti e la legge hanno [p. 331 modifica]profetato sino a Giovanni: e se voi volete Capirla egli è quell’Elia che doveva venire. Chi ha orecchie da intendere, intenda. (S. MATTEO Cap. 11).

Pensieri.

Una verità fondamentale della nostra religione viene a noi ricordata nell’odierno Vangelo. Noi siamo cristiani: perchè lo siamo? Perchè crediamo in Cristo. Perchè crediamo in Cristo? Perchè crediamo che Gesù Cristo è Dio. Quali ragioni provano la divinità di Cristo? Sono moltissime; una di queste, e delle più gravi, è appunto quella ricorda taci dall’odierno Vangelo. Gesù Cristo stesso ce la presenta. Perchè diciamo che Gesù Cristo è Dio? Perchè le opere miracolose ch’egli compie, non le può fare che Dio. I miracoli di Cristo sono le prove della divinità di Cristo. Le opere che io faccio, disse già Cristo in altra parte del Vangelo, rendono testimonianza di me.

    • *

Giovanni Battista trovavasi in prigione. Il suo apostolato di precursore lungo le sponde del Giordano era compiuto: egli aveva già additato alle turbe Gesù, come l’agnello di Dio, come colui che toglie’i peccati del mondo e l’aveva additato perchè egli stesso aveva avuto una testimonianza esterna e divina della divinità di Cristo. Colui, gli aveva rivelato lo Spirito Santo, sul quale tu, nell’amministrare il battesimo. vedrai scendere la colomba, colui è il figlio di Dio. Io l’ho veduta la colomba, afferma Giovanni, l’ho veduta discendere sopra di Gesù: credetegli; egli è il Messia. Giovanni non aveva quindi bisogno di altre prove per credere che Gesù fosse il Messia, egli che queste prove le aveva adoperate per far credere gli altri. Come si spiega quindi la missione che egli affida oggi a due suoi discepoli? Avendo udito in prigione le opere.grandi che compieva Gesù, egli manda due de’ suoi discepoli a Gesù per chiedergli: sei tu quegli che deve venire e dobbiamo aspettarne un altro? Cos’era Avvenuto? Giovanni aveva forse perduta la fede in. Cristo? il dubbio d’essersi ingannato, quando solennemente aveva salutato Gesù quale Agnello di Dio, era forse entrato’ nel suo cuore? Mai più: il dubbio dell’uomo non può entrare in un’anima che ha udita la parola di Dio. Scio sui credidi. Il dubbio non era in lui, ma ne’ suoi discepoli i quali vedendo la virtù, la penitenza, la parola inspirata di Giovanni, avevano pensato che Giovanni fosse, non il prècursore del Messia, ma il Messia stesso. Questa credenza era stata divisa anche dai farisei, che avevano mandato a chiedere a’ Giovanni: sei tu il Cristo? E Giovanni li aveva apertamente dissuasi dicendo: è in mezzo di voi il vero Messia, che voi non conoscete, e al quale io non son degno di sciogliere i legaccioli delle scarpe. Giovanni quindi manda i suoi discepoli a chiedere a Cristo se egli s;9 veramente colui che deve venire, perifrasi per dire il Messia, o se debbasi aspettare

un altro: fa questo non per dare la fede a sè, ma per darla agli altri. E quale è la prova che Gesù dà ai due discepoli di Giovanni per testimonianza che egli è veramente il Messia aspettato, il figlio di Dio, Dio egli stesso? Ponderatela bene: una delle basi della nostra fede è qui. Gesù rispose loro: Andate a riferire a Giovanni quello che avete udito e veduto: i ciechi veggano, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono: si annunzia ai poveri il Vangelo. In senso assoluto, il far dei miracoli non è una prova di essere Dio: quanti profeti nell’antico testamento avevano opèrato miracoli, compreso il, massimo di far risorgere i morti, e non erano Dio! Per comprendere la forza di questo argomento dei miracoli operati da Gesù a provare la sua’ misskine divina. la sua divinità, bisogna ricordare alcune circostanze: i Profeti avevano annunciato che il Messia avrebbe operato dei miracoli; l’epoca di Cristo era precisamente quella che corrispondeva all’aspettazione generale del Messia; molti altri fatti avevano provato che Gesì fosse il Messia; Gesù stesso aveva esplicitamente e ripetutamente dettó di esserlo: argomento quest’ultimo ben grave, perchè se Gesù avesse detto di essere il Mèssia, e non lo fosse, egli non sarebbe che un audace mentitore, un sacrilego; caratteri in perfetta contraddizione coll’indole, colle parole, colla perfezione caratteristica di Cristo. I miracoli opérati da Cristo, operati da lui come la prova della sua divinità in mezzo agli Ebrei, importantissima conseguenza, notatelo, diventano la prova della sua divinità anche per noi. L’Appellarsi ai miracoli per provare la sua divinità non è fatto ’secondario nella vita di Cristo è tatto fondamentale, è fatto culminante. A quale argomento per convincere gli ebrei che gli chiedevano la prova della sua divinità, Gesù li richiama? Al fatto miracoloso della sua risurrezione. Questa generazione chiede segni, e non gli verrà dato che il segno di Giona profeta: io starò nel sepolcro tre giorni, e poi risorgerò. La risurrezione di Cristo, ecco la grande proVa della divinità di Cristo. E’ per confermare la fede degli apostoli in questo fatto che Gesù Cristo rimase sulla terra quaranta giorni dopo la sua risurrezione; comparendo ad essi più volte, in circostanze diverse, chiamandoli a constatare coll’esperimento degli occhi, delle mani, coll’esperienza, ora si direbbe, scientifica, esperimentale; ch’egli fosse veramente risorto, ch’egli era veramente Dio. E’ il fatto della risurrezione che suggellò la fede degli apostoli nella divinità di Cristo, fatto non divinato, non trasfigurato dalla coscienza individuale interna degli apostoli, ma fatto esterno, constatato, ripetuto, oggettivo. •Se Gesù Cristo non è risorto, grida S. Paolo, noi credendo nella sua divinità, siamo i più miserabili degli uomini. Quanto è palese in questo rapporto la fallacia, l’er [p. 332 modifica]rore di uno dei punti fondamentali della dottrina dei modernisti, che affermano la risurrezione di Cristo essere un fatto che posa non sulla realtà oggettiva, constatabile, scientifica, diciamo la gran parola, del fatto stesso, ma sulla fede interna, sull’impressione, sulla persuasione personale degli apostoli! Non è vero: la risurrezione di Cristo per gli apostoli non è una impressione, è una affermazione; non è una impressione interna dell’anima, è una affermazione esterna, concorde, certa di un fatto evidente, che gli apostoli hanno potuto constatare, provando e riprovando: precisamente la forma rigorosa dei metodo scientifico, esperimentale. Se noi non possiamo ripetere la constatazione del fatto, abbiamo la testimonianza di chi ha veduto il fatto, gli apostoli, i discepoli, testimonianza sottoscritta da essi col sangue. Dopo tre secoli, non ha ancor perduto di valore la frase di Pascal:. io credo volentieri a dei testimoni che a conferma di quello che affermano di aver veduto e udito, danno il proprio sangue.

Una frase strana, impressionante, inaspettata, esce dalla bocca dì Cristo a questo punto. Parrebbe che dinanzi al fatto dei molti miracoli da lui operati, non dovesse sorgere in nessuno alcun dubbio sulla sua divinità; che la fede dovesse essere dalla parte degli uomini, pronta, completa, entusiastica. Invece?.... Beato chi non prenderà in me motivo di scandalo. Prendere scandalo vuol dire prendere occasione di peccato: prendere scandalo da Cristo vuol dire prendere occasione di peccato pensando alla sua persona, alla sua dottrina, alla sua morale. Chi prende scandalo dalla sua persona? Colui che giunge a negarne la divinità, la divinità nella verità storica della sua vita umana, proclamandolo uomo grande, non Dio; divinità nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, proclamando la sua presenza un puro simbolo. Chi prende scandalo dalla sua dottrina? Colui che la respinge per cagione dei misteri che la costituiscono, in molte parti, superiori alla comprensione diretta della mente umana. Chi prende scandalo dalla sua morale? Colui che taccia la morale di Cristo come troppo esigente, troppo severa, impossibile a praticarsi dalla debolezza umana. Un argomento solo, da solo, distrugge tutti questi scandali. Se Gesti Cristo ha dato le prove indiscutibili, scientifiche, della sua divinità, bando all’incredulità; se Gesù Cristo è Dio, i misteri che trovansi nella sua dottrina non possono essere che la verità; Dio non può ingannarsi nè ingannare, bando allo scetticismo; se Gesù Cristo è Dio, la sua morale non può essere che santa, e di possibile esecuzione all’uomo: Dio non comanda l’impossibile, perchè, o l’uomo può fare da sè, e fa, se vuole; o non può fare da sè, e Dio gli dà, in proporzione del bisogno, la sua grazia, perchè possa Le*

fare; bando alle perplessità, alle paure, agli sgomenti della virtù. I pagani hanno potuto dire: nil mortalibus ardùum est! L’hanno potuto dire appoggiandosi alle sole forze umane dell’intelligenza e della volontà; quanto più lo potrà dire il cristiano unito a Dio, a Dio suprema luce, a Dio suprema forza! Omnia possum in eo qui me confortat. E — quanto viene ricordato da Cristo nelle ultime parole dell’odierno Vangelo. Giovanni aveva voluto sapere chi fosse Cristo. Cristo, dopo di aver provato chi fosse lui. dice quello che è Giovanni: Giovanni è il tipo dell’uomo perfetto, straordinario: egli è profeta, egli è precursore, egli è angelo, egli è il più grande tra i nati di donna; ma soprtutto egli è l’uomo torte, l’uomo che non piega come canna al vento, l’uomo che non si arresta dinanzi alla difficoltà della virtù; l’uomo che non teme di condannare il vizio, sia pur difeso dalla incolumità della reggia; l’uomo che non piega nè dinanzi alle blandizie nè dinanzi alle minaccie; l’uomo che dal teschio reciso incute terrore e guarda con occhio morto l’ingiustizia, la violenza, la vanità, la lussuria, con tale forza più che se quell’occhio fosse vivo. Gesù Cristo è Dio; egli ha provato di esserlo col più rassicurante degli argomenti l’argomento del fatto, l’argomento dei miracoli: il seguirlo è dovere, è grandezza, è gioia, è premio: ma pure il seguirlo domanda forza, coraggio, violenza: Cristo lo ha detto apertamente: il regno de’cieli si acquista colla forza, ed è preda di coloro che ne usano. L’animo nobile e generoso non teme difficoltà; le guarda, le affronta, le combatte, le vince: divenendo più grande, quanto più le difficoltà sono grandi. L. V.

I bomb sora Verona e Brescia

E giò sti bomb a squinternacch i oss, Di Verones, Bresciana Povera geni! L’è 1 velen ch’el Peppin a pu non poss El cascia fo2ura di polnion rnarscient. El g’ha di forz anmò: ma la el se sent Quell non so che, quella fevretta addoss, Del tisich già persuas ch’el so moment L’è minga tatti lontan de andà in del foss. Allora itt el se sfoga, e tali stremii El cerca de ingannà e de ingannass: El da fteura de matt e invelenii El cred in qual macera de salvass. Ma finaltnent on di stramaledii El finirà, rabbios, andò a patrass, E nun diremm: Canaia! Ah te finii De massacrann e dopo— . rallegrass! FEDERICO Bussi. [p. 333 modifica]I doveri del soldato italiano

DISCORSO fatto nella Chiesa di S. Fedele in Milano la Domenica 1l’d’Avvento 21 Novembre 1915 alla Messa del Soldato. Interrogaverunt etiant milites dicentes: quid faciemus etiam nos LUCA, Cap. III).

Giovanni, il Precursore, predicava.sulle sponde del Giordano. Erano momenti solenni per l’umanità: nella coscienza universale si elaborava la grande causa della redenzione del genere umano. Cristo era già apparso sulla terra, ma non ’era ancor conosciuto. L’ufficio della rivelazione era stato affidato a Giovanni, un solitario, vestito di pelo di camello, che predicava il battesimo di penitenza per la remissione dei peccati. Era una rivoluzione interna delle coscienze, in preparazione della venuta di colui che avrebbe redento e giudicato il mondo. A questa parola incitatrice si era commossa tutta la Giudea; persone di ogni classe si affrettavano, per avere consigli, intorno a Giovanni: anche i soldati non estranei a questo movimento, che era un movimento sociale, si affollavano intorno a Giovanni, e gli chiedevano: che cosa,dobbiamo fare anche noi? Ed egli loro rispose: non togliete il suo ad alcuno • per forza, nè per frode, e siate contenti dei vostri stipendi. Ecco i doveri del soldato romano, predicati da Giovanni lungo il Giordano, ecco i doveri del soldato italiano, predicati a voi dalla Chiesa Cattolica.

Non rapite l’altrui nè con violenza, nè con frode, e siate contenti della vostra paga. Questi sono doveri specifici, doveri di classe; ma questi doveri erano stati preceduti dall’annuncio, dalla intimazione di altri doveri di carattere generale, non proprii di una classe sola di persone, ma di tutte le persone, propri dell’uomo, dell’uomo peccatore, che ha bisogno del perdono e della grazia di Dio. Voce di uno che grida nel deserto: preparate le vie del Signore. Razza di vipere, chi vi ha insegnato a fuggire l’ira che vi sovrasta? Fate frutti degni di penitenza. La scure è alla radice degli alberi. Ogni albero che non porta buon frutto sarà tagliato e gettato nel fuoco. • La penitenza, ecco il primo dovere che il soldato, nella sua condizione generale con tutti, come uomo e come peccatore, deve compiere.. All’atto pratico, come si adempie questo dos, ere di penitenza, che prima di essere nelle opere esterne deve trovarsi nel cuore, la penitenza, che si compie nelle profondità della coscienza prima di diventare una pratica esteriore? Non ve lo dirò io; ve lo dica un vostro compagno. Come voi egli si è trovato in questo periodo di eccezionale importanza e gravità della storia italia

na, come voi, al primo appello di guerra, egli volò coll’esercito, sull’Alpi e all’Isonzo, combattè per la causa d’Italia, a fine di dare all’Italia i suoi naturali confini, che sono oggi il suo diritto, per essere domani la sua forza. Il redattore del giornale l’Ordine di Ancona, l’avv. Gaspare Bianconi mandò una lettera al proprio fratello Luigi tre giorni priina di partecipare alla battaglia per la presa di una collina intorno a Tolmino, ove rimase ucciso. Il documento porta la data di un giorno del mese di ottobre, e comincia così: •,( L’ora del cimento si avvicina. Lo preannuncia il cannone che da qualche tempo echeggia cupo e minaccioso, sotto un cielo limpidamente azzurro. Io, tranquillo attendo la mia ora. Che essa apporti la vittoria e la gloria! Il mio pensiero corre ai miei cari, alle persone che mi sono amiche, a quelle cui son legato da affetto sincero. Se avverrà che io cada in questo cimento, nessuno imprechi al destino. Se esso deve compiersi, è meglio si compia sul campo dell’onore». La lettera ricorda poi uno per uno i membri della famiglia ed i parenti, facendo singole raccomandazioni. d’inspirar sempre ogni loro atto a virtù. Al padre dice di farsi animo, e gli augura che l’aFfetto profondo da lui sempre nutrito per la patria, gli mitighi il dolore; alla madre raccomanda di trovare nella fede un impulso alla rassegnazione. Poi dice: «Prima di morire le ho voluto dare un conforto: ho messo a posto la mia coscienza con Dio. La mattina della partenza, a Padova, nella basilica di S. Antonio, dopo tanti anni, sono tornato a confessarmi e a comunicarmi». «Sciolsi così una lunga crisi dell’animo mio. Sentii che in quell’ora mi guidavi tu e mi guidavano anche i miei poveri nonni, presso la cui tomba, spesso ho sentito come una voce che mi incitava a quel passo. Quella mattina ho pianto; ed ha pianto con me il confessore, una bella, veneranda figura di vecchio, che aveva tutti i lineamenti di mio nonno. Ora sono tranquillo». Lo stato di questo giovane soldato, nella prima parte di abbandono delle pratiche religiose, pur troppo ritrae lo stato di altri suoi compagni: forse qua:,:uno fra voi dovrà dire: è il mio!... Possano tutti seguire il compagno anche nella seconda parte del t itorno a Dio, acquistando così il santo diritto di dire: ora sono tranquillo. Non aggiungo altro: ogni parola aggiunta guasterebbe. Tale è il dovere che il soldato italiano deve compiere in unione con tutti i fedeli, secondo l’intimazione del Precursore Giovanni: fate frutti ’legni di penitenza: mettere prima di tutto;,ti regola la propria coscienza con Dio. Seguono i doveri specifici del soldato. Non togliete il suo ad alcuno per forza. Soldati italiani! Questa intimazione non è per voi: [p. 334 modifica]voi andate a combattere sì con forza, e qual magnifica forza! ma non per rapire quello che appartiene agli altri; voi andate per riconquistare all’Italia, ne’ suoi confini naturali, quello che fu ed è eternamente suo. Non togliete agli. altri il suo per frode. Questa è una rovente condanna in pieno petto ai nostri nemici: la frode nel combattimento è una loro esclusiva prerogativa: sono essi che sul mare, per avvicinarsi a noi e non essere conosciuti, inalberano, su navi austriache, la bandiera italiana; sono essi che in un assalto in campo aperto, vicini ad essere sopraffatti, levano le mani in atto di darsi prigionieri, e poi, quando i nostri, abbassate le armi, fidenti vanno incontro ad essi, essi, infami! si buttano in un colpo a terra, mentre i loro compagni, in rango dietro le spalle, colpiscono a tradimento nel petto gli italiani.

L’ultima raccomandazione che ai soldati fa il Precursore Giovanni è la seguente: contentatevi della vostra paga. In questa. raccomandazione sono raccolti tutti i sacrifici materiali che i soldati sono chiamati a sopportare: sono ben grandi questi sacrifici; chiedetelo specialmente a coloro che combattono in alta montagna, in mezzo alle nevi. al gelo; col rancio che arriva ritardato ed insufficiente. Soldati! Sopportate virilmente questi sacrifici: sono grandi; ma sono pur grandi i sacrifici che fa la Nazione per voi; sono pur grandi gli aiuti che, all’opera del Governo nazionale, aggiungono i vostri parenti, i vostri amici, tutti i cittadini: si può dire che in questo momento la nazione vede divisi i suoi figli in due grandi campi: da una parte i soldati.che combattono; dall’altra i cittadini che aiutano i soldati; li aiutano coi voti, coi doni, colla loro assistenza. Non scordate mai nell’animo vostro questa generale, questa eroica benevolenza: quanto gli altri sono generosi nel dare, altrettanto voi siate forti nel sopportare.

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A questi aiuti del paese aggiunge i suoi, coronandoli, consacrandoli, la religione. E’ uno dei grandi conforti dell’ora presente, l’aver veduto compiersi l’unione spontanea, completa, del clero colla Nazione: simbolo reale e simpatico di questa unione è il capellano militare: a voi sul campo di battaglia, lontani dai vostri, è il capellano che, colla sua presenza. desta a voi il pensiero del vostro parroco, P. ricordo della madre, il ricordo del campanile del vostro paese: il capellano Gilardi, che sulle sponde dell’Isonzo, prende fra le sue braccia, gravemente ferito, il colonnello De Rossi, e lo trasporta in luogo di sicurezza, è, per me, il simbolo vivo, vibrante della unione della religione colla patria. Menti grette,, e cuori più gretti ancora, cercano di sollevare dubbi, di mantenere nel rannorto politico diffidenze sull’opera dei sacerdoti, sull’indirizzo del Ci;no dello chiesa: questi dubbi, queste diffidenze hanno potuto sorgere e vivere un tempo; ora non

più. Udite che cosa il Papa Benedetto XV ha detto pochi giorni sono a chi, male avvisato, consigliava il Pontefice di voler approfittare dell’attuale sconvolgimento per patrocinare, nel futuro Congresso della Pace i diritti territoriali della Santa Sede: «Ci mancherebbe altro che il Pastore delle genti speculasse sul sangue de’ suoi figli!». Soldati, consolatevi. Questa è la parola ’del Papa. e non altra. La parola del Papa attuale è consona a quella pronunciata dal Papa, che primo,accese la scintilla del movimento nazionale in Italia, da Pio IX, quando, il 16 Giugno, 1846, dal balcone del Quirinale, sollevando le palme al cielo, con aria ispirata, gridò: «Gran Dio, benedite l’Italia! Quel grido sia pure il nostro. L. VITALI.