Il continente misterioso/13. I grandi calori dell'Australia centrale

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13. I grandi calori dell'Australia centrale

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13. I grandi calori dell'Australia centrale
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13.

I GRANDI CALORI DELL'AUSTRALIA CENTRALE


Gli australiani, che avevano lasciati intorno al dray una trentina di morti, pareva che avessero definitivamente rinunciato a rinnovare l'attacco. Dopo l'ultimo slancio e la vigorosa difesa del dottore e dei suoi due marinai, si erano dispersi per la pianura fuggendo colla celerità dei kanguri e non si erano più fatti vedere. Probabilmente si erano celati a molta distanza e stavano forse consigliandosi sul miglior modo per impadronirsi dei viveri e dei liquori che conteneva il dray, nonché degli animali coi quali contavano di regalarsi dei colossali arrosti, se pure non si erano messi in cerca di qualche altra tribù per opprimere gli uomini bianchi col numero.

Il mastro, fattosi fasciare il braccio ferito e il collo, si era messo febbrilmente al lavoro aiutato da Cardozo mentre il dottore e Niro-Warranga si erano posti in sentinella sulle rupi della sponda, per non farsi sorprendere dagli assalitori. Il bravo mastro, che un tempo aveva fatto il carpentiere, in meno di due ore riuscì a riunire i due pezzi della ruota, saldandoli perfettamente con grossi pezzi di ferro curvati a forza di martello e stretti con robuste chiavarde. L'adattamento della ruota richiese le braccia di tutti quattro, essendosi il dray rovesciato su di un fianco, ma finalmente anche quella operazione fu compiuta con esito brillantissimo.

— Speriamo che resista — disse il mastro. — Nel caso, più tardi penseremo a rinnovare questa ruota.

— Partiamo — disse il dottore. — Gli australiani forse non sono lontani.

— Temete che ritentino l'attacco? — chiese Cardozo.

— Quei bruti sono testardi e faranno il possibile per impadronirsi del nostro dray. La nostra salvezza sta nella celerità dei nostri animali.

— Attaccheremo al dray anche i cavalli — disse il mastro. — Orsù, spicciati Coco.

— E l'otturatore della mitragliatrice? — chiese Cardozo.

— Hai ragione, figliuol mio; cerchiamolo — disse Diego.

Mentre Niro-Warranga aggiogava i buoi, i due marinai accesero una torcia e si misero a cercare sul pendìo, esaminando attentamente i crepacci aperti nella terra dal grande calore, frugando i magri ciuffi di erbe appassite. Nulla trovando intorno al carro, scesero verso il fiume.

— Eccolo! — esclamò ad un tratto Cardozo con voce trionfante. — Sia ringraziato Iddio!

— Dove l'hai trovato?

— Fra le sabbie del fiume.

— Mille lampi! come si trova qui?...

Raggiunse Cardozo e guardò il dray.

— Il carro si trova precisamente sulla nostra linea — disse. — Il ladro dopo averlo rubato, lo ha gettato giù dal pendìo.

— Cosa vuoi dire?...

— Voglio dire che i miei sospetti si aggravano.

— Su chi?

— Su Coco!

— È una mania che hai, marinaio.

— No, figliuol mio, quella brutta scimmia trama qualche cosa a nostro danno e ti dico che fu lui a rubare l'otturatore.

— A quale scopo?

— Per privarci di un terribile mezzo di difesa. Se il ladro fosse stato uno degli assalitori, avrebbe portato con sé quest'oggetto per farsene qualche stravagante ornamento.

— Il tuo ragionamento mi colpisce, marinaio. Terremo d'ora innanzi gli occhi bene aperti e se m'accorgo che ci tradisce, ah! Per Bacco! Pagherà il conto.

Ritornarono al dray e informarono il dottore dell'importante scoperta. La mitragliatrice, che temevano di dover abbandonare come un peso inutile, ridiventava una formidabile arma per gli assalitori, nel caso che questi avessero avuto la brutta intenzione di rinnovare il colpo di mano.

— Partiamo — disse il dottore. — Marceremo colla massima velocità e con brevi fermate.

Salirono nel dray, Niro-Warranga frustò i buoi e i cavalli e la pesante macchina scese nel fiume trabbalzando sul fondo roccioso.

Attraversato il Finke senza trovare ostacoli, e senza che gli australiani dessero segno di vita, il dray si diresse verso il nord-est in modo da avvicinarsi al 134° meridiano, volendo il dottore visitare le due catene dei monti James e Waterhnousen che si spiegano lungo le rive dell'Hugh. L'immensa pianura che si estendeva dinanzi ai viaggiatori, appariva deserta e di una aridità spaventosa. Non si vedevano spuntare né un albero, né un cespuglio, né un filo di erba, ma invece abbondavano le rocce, i massi di pietre, i sassi d'ogni dimensione. Era il principio di quel terribile deserto di pietre che occupano buona parte dell'interno del continente australiano e che ha reso le esplorazioni tanto difficili? Il dottore lo sospettava e cominciava a diventare inquieto, sapendo che fra quelle pietre e quelle sabbie ardenti, non avrebbe trovato un filo d'erba pei suoi animali e non una goccia d'acqua. Alle quattro del mattino il sole apparve bruscamente, inondando coi suoi ardenti raggi l'immensa pianura sabbiosa. Subito, senza alcuna transazione, l'atmosfera divenne ardente.

— Mille fulmini! — esclamò il mastro, che non era capace di stare zitto un solo momento e operando contemporaneamente una pronta ritirata sotto la grande tela. — Come morde messer Febo! Si direbbe che ha munito i suoi raggi di denti triangolari. Ditemi, dottore, che in questo paese il sole sia più vicino che agli altri continenti?

— No, Diego — rispose Alvaro sorridendo. — Conserva l'eguale distanza.

— Di qualche milione di miglia, probabilmente.

— Qualche cosa di più, Diego. La sua distanza media è di 23.307 semidiametri della Terra.

— Non vi comprendo; ho la zucca dura io!

— Di 148.670.000 chilometri.

— Fulmini e lampi!... centoquarantotto milioni!... Ma allora i suoi raggi devono impiegare parecchie ore, prima di giungere fino a noi.

— Sette minuti primi e quarant'otto secondi.

— Che velocità! Altro che quella d'una palla di cannone!...

— Ditemi dottore — chiese Cardozo. — Deve essere immenso il calore solare, per tramandare a sì enorme distanza dei raggi così ardenti.

— Ecco: secondo le misurazioni altinometriche di parecchi valenti astronomi, si è potuto constatare che la massa di calore sviluppata all'ora da un solo piede quadrato della superficie solare, è eguale al calore che svilupperebbe una palla di carbone grossa come il nostro globo e in combustione da trentasei ore.

— Per Giove!... ci sarebbe da arrostirci per bene, se si cadesse sul sole.

— Lo credo, Cardozo.

— Ora comprendo perché sono così caldi i raggi, specialmente ora — disse il mastro.

— Oh, ma non crediate che la nostra Terra riceva tutto il calore del sole. Non ne riceve che la 2250 milionesima parte; le altre parti vengono assorbite dai componenti il sistema planetario, ma la più considerevole si disperde nello spazio. Alcuni astronomi però ritengono che quell'esuberanza di calore non vada perduta, ma ritorni al sole sotto altra forma.

— È molto grande, dottore, messer Febo?

— Ha 12.800 volte la superficie della Terra, 1.279.000 volte il volume del nostro globo e 600 quello di tutti i pianeti presi insieme. La sua massa invece è di 319.500 volte quella della Terra e poco più di 700 volte quella dell'intero sistema planetario, ma la sua densità media è di sole 0,233, ossia appena d'un quarto del nostro globo.

— Ditemi, dottore, — chiese Cardozo — il sole ha nessuna influenza sul nostro globo, oltre quella di illuminarlo e di riscaldarlo?

— Secondo gli ultimi studi fatti dagli astronomi, pare che messer Febo, come lo chiama quel mattacchione di Diego, influisca molto sugli sconvolgimenti atmosferici del nostro globo. Si è osservato che, quando la fotosfera solare è turbata, produce sempre dei fenomeni magnetici e di frequente dei perturbamenti nell'atmosfera terrestre.

— Non è stabile, la fotosfera solare?

— No, Cardozo. Quella massa gasosa, ardente, che circonda il nucleo solare, è spesso in movimento. Fiamme immense, d'una lunghezza di migliaia di leghe, prolungano verso la vòlta celeste e di quando in quando la fotosfera si lacera qua e là e mostra degli abissi d'una vastità smisurata e che gli scienziati chiamano comunemente macchie solari. Più queste macchie sono numerose, più si scatenano sul nostro globo burrasche magnetiche e atmosferiche.

— Senza interruzione?

— No, questi perturbamenti accadono quando le macchie sono volte verso il nostro globo. Compiendo il sole il suo giro attorno al proprio asse in circa ventisette giorni, vi è una interruzione quando la parte coperta di macchie guarda altrove.

— E sono immense queste macchie?

— Se ne sono osservate alcune che erano grandi quattro volte la superficie del nostro globo.

— Che baratri! Ma come si formano?

— Si suppone che siano giganteschi crateri scavati nella massa incandescente da correnti gasose invisibili a noi, e che lascerebbero intravedere nella loro immensa profondità il nucleo solare.

— E non si è riusciti a spiegare il motivo delle perturbazioni che il sole esercita sul nostro globo?

— Non ancora. Si è solamente osservato che, di mano in mano che crescono l'ago magnetico subisce delle forti alterazioni e che si sposta nel senso di quelle macchie. Più si allontanano dal nostro globo più si tranquillizza; più s'approssimano più si turba e quando sono proprio di faccia a noi, allora danza come se fosse impazzito. A queste pazzie, a queste convulsioni, corrispondono poi le apparizioni dei grandi fenomeni terrestri, aurore boreali, terremoti, ecc.

— Dunque, secondo gli astronomi, lo stato magnetico della Terra sta sotto l'influenza immediata delle macchie solari,

— Sì, Cardozo.

— Che influiscano anche sui terremoti?

— Pare che sia proprio così, perché si è osservato che i terremoti succedono quando maggiore è il numero delle macchie solari.

— Quale mistero!... che riescano un giorno a spiegarlo?

— Speriamolo, Cardozo. Queste macchie solari che producono tanti perturbamenti, le cui loro apparizioni coincidono stranamente coi cicloni, coi periodi di siccità, colle piene dei grandi fiumi e colle carestie, meritano di venire accuratamente studiate.

Così chiacchierando, i viaggiatori proseguivano la loro rapida marcia verso il nord-ovest sempre più inoltrandosi in mezzo a quella immensa pianura arida, bruciata dal sole, interrotta da vaste zone di sabbia biancastra che offendevano gli sguardi e priva completamente di alberi, di cespugli e di erbe. Il calore cresceva di momento in momento, e vi era da temere che gli animali cadessero fulminati per un colpo di sole.

Dei selvaggi, più nessuna traccia. Diego e Cardozo di quando in quando mettevano fuori il capo per lanciare un rapido sguardo verso il sud, ma nessuna creatura umana compariva in quella direzione. Senza dubbio quegli australiani, dopo la dura lezione ricevuta, avevano abbandonato definitivamente l'idea di saccheggiare il dray, difeso da uomini così intrepidi e da quella potente arma che seminava il terreno di cadaveri.

A mezzodì fecero una sosta presso il Finke, del quale avevano seguito il corso tenendosi a poche miglia di distanza, per evitare i larghi serpeggiamenti che descrive lungo il suo corso.

Diego e Cardozo scesero nel fiume per vedere se era possibile trovare un po' d'acqua, fra le canne semisecche che crescevano nel letto. Mentre frugavano fra quei vegetali, scorsero qualche cosa di grosso, che cercava di fuggire verso l'altra sponda.

— Oh! Oh! — esclamò il mastro. — Ci sono delle bistecche, a quanto pare.

— Hai veduto un animale? — chiese Cardozo.

— Sì, figliuol mio. Arma il fucile e inseguiamolo.

— Dov'è fuggito?

— Guarda laggiù, che le canne si muovono.

— Avanti, marinaio.

— Andiamo, Cardozo.

Si slanciarono in mezzo alle canne seguendo la selvaggina che fuggiva verso la riva opposta, aprendo impetuosamente i vegetali, i quali cadevano a terra come se fossero stati falciati. Attraversarono il letto del fiume e salirono la riva, ma fatti pochi passi si arrestarono entrambi, emettendo un grido di stupore e di orrore.

Un animale stava fermo dinanzi a loro, guardandoli, ma quale orribile animale! Un coccodrillo, una tarantola, un mostro qualunque insomma, sarebbe stato una bellezza in suo confronto. Era uno spaventevole sauriano, o meglio un gigantesco lucertolone, dalla pelle bruna, con macchie rosse cupe orlate di nero, e una corazza ossea mai veduta in nessun animale della creazione.

Era coperto interamente di squame in forma di pungoli rivolti in tutte le direzioni, che lo facevano rassomigliare a un ammasso di corna. Aveva la fronte corazzata, le gambe corte e ripiegate e pure irte di protuberanze acute e stranamente sovrapposte, gli occhi piccoli, neri, che luccicavano e che parevano volessero magnetizzare i due cacciatori.

Avendo raggiunto uno spazio scoperto, si era arrestato guatando minacciosamente i suoi inseguitori, come si preparasse a difendersi.

— Corna di Belzebù! — esclamò il mastro, rabbrividendo. — Che specie di animale è questo?

— Non ne ho mai veduto uno simile, né uno più brutto, marinaio — rispose Cardozo. — che sia un drago?

— Lo sapremo presto, Diego.

Cardozo puntò lo snider e lo scaricò contro quell'orribile mostro, ma la palla rimbalzò su quelle protuberanze ossee e si perdette altrove.

— Lampi e tuoni! — esclamò il mastro. — Ma quel drago è corazzato come un vascello!

— Aspetta, marinaio! — disse Cardozo. Ricaricò rapidamente il fucile e mirò con profonda attenzione. Il colpo partì. Questa volta il mostro, colpito alla congiunzione delle sue scaglie, fece un balzo di traverso, si rizzò sulle zampe, dimenò furiosamente la coda, poi s'irrigidì.

— Bel colpo! — esclamò una voce dietro di loro. — Ecco un animale, che i musei pagherebbero ben caro!