Il continente misterioso/5. Caccia al kanguro
Questo testo è completo. |
◄ | 4. Assediati su una tomba | 6. I grandi allevatori australiani | ► |
5.
CACCIA AL KANGURO
Coco, come si ostinava a chiamarlo quel mattacchione di Diego, aveva fatto dei veri miracoli e allestito un pranzo poco meno che luculliano. I due marinai che avevano una fame da lupi e il dottore, fecero molto onore alla zuppa di fagioli, al pesce salato in salsa verde, all'arrosto di kakatue, a un cosciotto di struzzo in stufato, alla testa del gigantesco volatile ai ferri e alle succolente radici worrangs cucinate sotto la cenere e in pentola.
Il bravo mastro, che aveva divorato per quattro, non potè fare a meno di stringere più volte le zampe di scimmia del selvaggio e di offrirgli un grande bicchiere di gin che il cuoco assorbì con una avidità senza pari. Il ghiottone non era però completamente soddisfatto e lamentò la mancanza di un cosciotto o di una coda di kanguro.
— Il kanguro sta per venire — disse il selvaggio, con aria misteriosa.
— Hai qualche altro piatto da offrirci, mio bravo Coco? — chiese il marinaio.
— Più tardi avrete il kanguro.
— Ne hai ucciso qualcuno?
— No, ma lo ucciderò.
— Bah! Allora è lontano e malsicuro il tuo piatto.
— Niro-Warranga ucciderà il kanguro.
— Ne hai veduto qualcuno?
— Ho scoperto le tracce.
— Dove?
— Sulla sponda del fiume.
— Ma non sarà così stupido da lasciarsi avvicinare.
— Si avvicinerà.
— Bella certezza che ha quel Coco! — esclamò il mastro. — Si direbbe che egli comanda ai kanguri.
— Se Niro-Warranga, dice questo, deve essere certo di offrirci la selvaggina — disse il dottore. — Questi selvaggi sanno molte cose che noi ignoriamo.
— Quando andremo a cacciare il tuo kanguro, Coco? — chiese il mastro.
— Quando desidereranno gli uomini bianchi — disse il selvaggio.
— Due passi li farei volentieri, per digerire il pranzo — disse Cardozo. — Prendiamo i fucili e andiamo, Niro-Warranga.
— Niente fucili — disse l'australiano.
— Vuoi prenderlo colle mani forse? — chiese il mastro.
— Ha le unghie robuste il kanguro e non si lascia prendere, ma Niro-Warranga ha le sue armi.
Salì nel dray, frugò in una cassa e poco dopo ridiscese portando con sé un bastone lungo circa un metro, grosso poco meno di due centimetri, arrotondato da una parte e piatto dall'altro.
— È quella la tua arma! — chiese il mastro ironicamente.
— Questa — rispose l'australiano.
— E vuoi con quel bastoncino prendere il kanguro?
— Gli romperò le gambe o la testa.
— Ti farà correre assai, Coco, prima di raggiungerlo.
— Non mi muoverò: correrà il curl-tur-ram.
— Il curl-tur-ram? Cosa è questo curl...
— Il boomerang — disse il dottore.
— Ne so meno di prima — disse il mastro.
— Meglio così, Diego; la tua sorpresa sarà più straordinaria.
Il marinaio guardò il dottore con sorpresa.
— Ma credete anche voi, signor Cristóbal, che Coco riesca ad abbattere un kanguro con quel bastoncino?
— Lo abbatterà, Diego.
— Ecco una cosa che non crederò mai, dottore.
— Vieni, incredulo, e vedrai il nostro australiano fare un colpo straordinario e che ti sorprenderà al massimo grado.
— Andiamo, dottore — disse Cardozo. — Ho udito parlare ancora delle meraviglie del boomerang, ma non vi ho mai prestato fede, sembrandomi assolutamente incredibile.
— Andiamo, Niro-Warranga — disse Alvaro. L'australiano non se lo fece ripetere due volte. Si passò il bastone nella cintura che stringevagli la camicia di flanella rossa, unica sua veste, e si diresse verso il fiume costeggiando il bosco.
Colà giunto, esaminò attentamente il terreno e indicò ai compagni delle tracce leggere che si dirigevano appunto verso la sponda.
— Il kanguro verrà a bere — disse. — Aspettiamo!
Si accomodarono dietro ad un folto cespuglio e attesero pazientemente l'arrivo della selvaggina, colle pipe in bocca.
Passarono due ore senza che nella foresta si udisse alcun rumore, all'infuori delle grida stonate di una banda di pappagalluzzi. Un'afa pesante regnava sotto quei grandi alberi, le cui foglie non offrivano un palmo d'ombra né la minima frescura. Già Diego e Cardozo, stanchi di attendere, stavano per chiudere gli occhi, quando si udì Niro-Warranga agitarsi e poi balzare agilmente in piedi.
— Viene — disse.
— Dov'è? — chiesero i due marinai riaprendo gli occhi e montando i fucili che avevano portato, poco fidandosi del bastoncino del selvaggio.
— Udite?
— O sono sordo o io non odo nulla — disse il mastro. — Cantano solamente i pappagalli.
— Niro-Warranga ha gli orecchi acuti — disse l'australiano, aprendo la sua immensa bocca irta di denti.
— Meglio per te, figliuol mio, ma io torno a schiacciare un sonnellino.
— Eccolo! — mormorò Cardozo. — Ah! Lo strano animale!
S'alzarono tutti e quattro senza far rumore e guardarono attraverso i rami del cespuglio.
Un bizzarro animale s'avanzava leggermente sotto i grandi alberi, spiccando dei salti lunghi che lo facevano rassomigliare, di primo colpo, ad un gigantesco rospo.
Era grosso, pesante almeno cento chilogrammi, lungo un metro e mezzo, col pelame folto, grigio-rossastro, liscio e morbido, colla testa somigliante a quella d'una gazzella, il corpo esile sul davanti e grosso di dietro, le zampe sproporzionate, corte le anteriori, smisurate le posteriori e fornito di una lunga coda che pareva dotata di una grande robustezza e che raggiungeva una lunghezza di circa ottanta e forse novanta centimetri.
Si avanzava con una leggerezza estrema, a sbalzi, distendendo le sue lunghe zampe posteriori aiutandosi colla coda, girando all'intorno degli sguardi sospettosi e drizzando le orecchie per raccogliere meglio i rumori della foresta. Giunto a circa sessanta metri dal cespuglio, si fermò come titubante e si rizzò sulle zampe deretane mostrando sotto il ventre una specie di borsa dalla quale si vedevano sporgere delle testoline che si muovevano con una certa rapidità e che cercavano di afferrare i gambi delle erbe che giungevano fino a loro.
— È una femmina gigantesca — sussurrò il dottor Cristóbal agli orecchi dei due marinai, che guardavano con crescente stupore quello strano animale. — Vedete i piccini che porta nella borsa?
— Paese misterioso! — mormorò Diego. — Vi offre ad ogni passo delle cose che non si sono mai vedute! Ehi! Coco! Non ti muovi?
— Non ancora — rispose l'australiano che fiutava attentamente l'aria come se volesse prima assicurarsi della sua direzione.
Il kanguro, dopo di essersi fermato alcuni istanti, si avanzò riprendendo i suoi stravaganti balzi e giunse a circa trenta metri dal cespuglio. Era il momento atteso da Niro-Warranga.
Si levò bruscamente in piedi tenendo il suo bastone dalla parte arrotondata, lo fece girare parecchie volte attorno con rapidità vertiginosa, poi lo scagliò innanzi a sé senza impiegare la menoma forza.
Il bastone si allontanò roteando e fischiando, toccò terra a trenta metri di distanza, ma, invece di rimanere colà inerte, come si aspettavano di vedere i due marinai, parve acquistare una forza misteriosa; rimbalzò di colpo, ritornò in dietro rasante terra, fracassò la testa al povero kanguro e tornò a cadere ai piedi di Niro-Warranga, dopo d'aver descritto una parabola allungata. Il selvaggio, senza perdere tempo, lo scagliò una seconda volta, e quella bizzarra arma, dopo d'aver toccato nuovamente il suolo, fracassò le gambe anteriori del kanguro e ritornò nuovamente al suo proprietario. I due marinai, sbalorditi da quel fenomeno meraviglioso, incredibile, sembravano pietrificati e pareva che avessero dimenticato perfino la preda che si dibatteva fra le strette dell'agonia, mentre i piccini, usciti dalla tasca materna e ignari del pericolo, succhiavano i gambi delle erbe.
— Ma è una cosa che stupisce! — esclamò finalmente Cardozo. — Non ho mai creduto che i selvaggi australiani giungessero a tale punto!
— Ma che contenga qualche cosa, quel bastone? — chiese il mastro. — È un animale e non un bastone, o meglio è un volatile.
— È un semplice pezzo di legno, amici miei — disse il dottore. — Un ramo di casuarina, dalle fibre tenaci e pesanti, foggiato ad arco e niente di più.
— Lascia che lo guardi, Coco — disse il marinaio. — Deve contenere qualche diavoleria, ne sono certo.
L'australiano gli porse il boomerang. Come aveva giustamente detto il dottore, era un ramo d'albero accuratamente levigato, un po' flessibile, ma pesante, arrotondato da una parte, piatto dall'altra, curvo verso il centro, ma in modo che la parte concava non superava i tredici o quattordici millimetri. Il mastro e Cardozo lo esaminarono accuratamente, lo voltarono e lo rivoltarono, ma nulla di notevole vi trovarono.
— È strano! — esclamava il mastro, grattandosi furiosamente il capo. — Non ci capisco nulla.
— Lo credo — disse il dottore ridendo.
— Ma la posseggono solamente gli australiani questa arma? — chiese Cardozo.
— Gli altri popoli non la conoscono.
— Ma chi ha insegnato a loro ad adoperarla?
— Ecco quello che si ignora. Da secoli l'adoperano ma non sanno chi fu il primo ad inventarla.
— Possiamo lanciarlo anche noi?
— Nessun europeo è riuscito a farle descrivere quella meravigliosa volata, Cardozo. Molti hanno provato e riprovato, ma inutilmente.
— E non sono riusciti a spiegare il come questo pezzo di legno rimbalza e ritorna nelle mani di chi lo lancia?
— Ecco: il commodoro Wilkes ritiene che questo fenomeno avvenga per la forma speciale dell'istrumento, il cui centro di gravità, essendo spostato, obbliga l'arma a roteare continuamente attorno al suo centro e che la forza centrifuga trascini la massa nella sua orbita costringendola a descrivere una elissi.
— Non comprendo nulla, dottore — disse il mastro. — Ho la zucca un po' dura.
— Mi spiego meglio. L'arma, ricevendo dal cacciatore un doppio movimento, una rotazione rapida e un impulso generale che solo la mano di un australiano sa imprimerle, parte conservando il suo piano fino all'esaurimento del suo moto di trazione. Cessato lo slancio, il boomerang gira in un punto qualunque dello spazio, e tende a cadere in causa della sua pesantezza, ma continuando a girare conserva ancora il suo piano inclinato e la resistenza che gli oppone l'aria lo costringe a ricadere parallelamente e quindi a ricondurlo al suo punto di partenza. La sua parabola e il suo ritorno si devono esclusivamente alla sua forma speciale e al colpo che imprime la mano del cacciatore. Una volata in aria, vi spiegherà forse meglio questo sorprendente fenomeno. Niro-Warranga, vedi quel pappagalluccio che canta sulla cima di quell'albero?
— Sì, padrone — rispose l'australiano.
— Uccidilo con un colpo di boomerang.
Niro-Warranga guardò l'albero che era alto trentadue o trentatré metri, prese l'arma e la lanciò senza sforzo apparente. Il pezzo di legno partì volteggiando, mantenendosi a sessanta centimetri dal suolo, poi tutto d'un tratto si sollevò in aria ad angolo retto senza aver toccato alcun punto, fracassò il povero pappagallo, e descrivendo una parabola ricadde ai piedi del cacciatore.
— È meraviglioso! — esclamò il mastro. — La vostra spiegazione sarà esatta, dottore, ma io sono certo che nessun altro uomo può fare altrettanto, e che forse la vera causa di questo sorprendente fenomeno non è stata ancora studiata.
— Può essere, mastro — disse il dottore. — Forse tutto dipende dal colpo di mano dell'australiano.
— Si servono del boomerang anche in guerra? — chiese Cardozo.
— Sì, amico mio, e se incontriamo dei selvaggi guardati dai loro bastoni animati; ti fracassano la testa come una nocciola.
— Conosco le bolas dei patagoni, signore, e mi guarderò bene anche dai boomerang degli australiani. Toh! E il kanguro? Noi lo abbiamo dimenticato.
— Ma non l'ha dimenticato Coco — disse Diego. — Il ghiottone ha già uccisi i piccoli e sta raccogliendo la preda. Aspetta, Coco, è un po' pesante per le tue spalle da tisicuzzo.
Il mastro accorse in aiuto dell'australiano e unendo le loro forze trascinarono la pesante preda fino all'accampamento, che non era lontano più di seicento passi. Il povero animale era già morto e perdeva sangue in abbondanza dal capo semifracassato dal terribile boomerang.
La notte calava rapidamente. Il buftalmo aveva già cominciato a imitare lo scoppiettìo della frusta, l'uccello-campana a far udire i suoi tocchi argentini e il fagiano beffeggiatore le sue strane grida, mentre sugli alberi cominciavano ad apparire gli uccelli delle tenebre, truppe di grossi pipistrelli e bande di podargus, bruttissimi uccelli dal becco corto e largo quanto la bocca di un uomo, la testa grossa e coperta da ciuffi di peli e le penne del dorso e del petto d'un color bigio sporco alternato a strisce nerastre.
La luna, la bella piangente degli australiani, che, secondo le loro stravaganti credenze, un tempo era stata una meravigliosa donna e che poi Barimai, il genio buono dei selvaggi, inchiodò barbaramente in cielo per punirla di non sappiamo quali delitti e che ora piange stelle, cominciava apparire sulle alte cime delle selve, specchiandosi nelle magre acque dello Stevenson, mentre i dingos lanciavano le loro lugubri urla, i loro richiami per cacce notturne.
I due marinai e il dottore, rosicchiato qualche biscotto e qualche succolenta radice, si sdraiavano nel dray sotto la guardia dell'australiano. Volevano fare una buona dormita, contando di ripartire ai primi albori, verso settentrione.
Dormivano da quattro o cinque ore, quando il dottore si sentì a tirar le gambe. Aprì gli occhi e scorse sopra di sé l'australiano che con un dito gli faceva cenno di tacere e di seguirlo.
— Cos'hai udito? — chiese il dottore sottovoce.
— Dei rumori nella foresta — mormorò l'australiano con un filo di voce.
— Dei selvaggi forse?
— No, Niro-Warranga sente da lontano i suoi compatrioti.
— Degli animali?
— No, dei bianchi forse.
— Dei bianchi qui!...
— Seguitemi, padrone.
Il dottore lasciò il dray portando con sé il suo fucile e una rivoltella. La notte era oscura essendo la luna tramontata e non si poteva vedere al di là di cento passi.
L'australiano, il cui udito finissimo aveva percepito qualche cosa, lo invitò a coricarsi per terra e ad appoggiare l'orecchio al suolo.
— Udite? — chiese dopo alcuni istanti.
— Sì — disse il dottore. — Si direbbe che dei cavalli si avvicinano. Che qualche pastore si trovi in questi dintorni?
— Pastori qui? I runs sono lontani e le praterie mancano in questa regione.
— Chi vuoi che siano dunque?
— I bushrangers sono dovunque, padrone.
In quell'istante si udì una detonazione, e al di là del bosco il galoppo precipitato di parecchi cavalli che si perdette in lontananza.