Il contratto sociale/Libro secondo/II

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Libro secondo - Cap. II

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Cap. II

La sovranità è indivisibile.

Per la medesima ragione per cui la sovranità è inalienabile, essa è indivisibile, perchè o la volontà è generale1 o non è, o è quella del corpo del popolo, o di una parte soltanto. Nel primo caso questa volontà dichiarata è un atto di sovranità e fa legge; nel secondo non è altro fuorchè una volontà particolare od un atto di magistratura, ed allora diviene tutt’al più un decreto. . [p. 42 modifica]

Ma i nostri politici non potendo dividere la sovranità nel suo principio, la dividono nel suo oggetto, in forza ed in volontà, in potere legislativo ed in potere esecutivo, in diritti d’imposta di giustizia di guerra, in amministrazione interna, ed in potere di trattare collo straniero: ora confondono tutte queste parti, ed ora le separano. Secondo essi il sovrano è un essere fantastico e formato di brani rappiccicati, ed è l’istessa cosa come se componessero l’uomo di parecchi corpi, dei quali uno avrebbe degli occhi, un altro delle braccia, un altro dei piedi e nulla più. Dicesi che i ciarlatani del Giappone spezzino un bimbo in presenza degli spettatori, e che dopo averne gittato in aria tutti li membri un dopo l’altro facciano ricadere il bambino vivo ed intero. Così press’a poco fanno i nostri politici ciurmadori, i quali dopo avere smembrato il corpo sociale con un prestigio degno di mercato, ne riuniscono le parti non si sa come.

Questo errore procede dal non avere nozioni esatte dell’autorità sovrana, e dall’avere ravvisato quai parti di codesta autorità delle [p. 43 modifica] emanazioni. Così per esempio si considerò l’atto di dichiarare la guerra e quello di fare la pace quali atti di sovranità, e non lo sono; perchè ciascuno di questi atti non è una legge, ma soltanto un’applicazione della legge, un atto particolare che determina il caso della legge, il che si vedrà chiaramente quando sarà fissa l’idea annessa alla parola; legge.

Così tenendo dietro alle altre divisioni si vedrebbe, che ogni qualvolta credesi di trovare la sovranità divisa, si è in inganno; che i diritti i quali si pigliano quai parti di quella sovranità le sono tutti subordinati, e sempre suppongono volontà supreme il cui eseguimento vien procacciato da quei diritti.

Dire non si potrebbe quanta oscurità abbia gittato questo difetto d’esattezza sulle decisioni degli autori in materia di diritto politico, allorchè vollero portar giudizio dei diritti rispettivi dei re e dei popoli basati sui principi da essi stabiliti. Ciascuno può vedere nei capitoli 3 e 4 del primo libro di Grozio quanto quest’uomo dotto ed il suo traduttore Barbeyrac si allaccino e si imbroglino nei loro sofismi per tema di dir troppo [p. 44 modifica] o dir poco secondo le lor viste, e di urtare gli interessi che si proponevano di conciliare. Grozio rifugiatosi in Francia, malcontento della sua patria e volendo far la corte a Luigi XII, cui dedicò il suo libro, non risparmia niente per ispogliare i popoli di tutti i loro diritti e per rivestirne i re con tutta l’arte possibile. Questo era pure il desiderio di Barbeyrac, il quale dedicava la sua traduzione al re d’Inghilterra Giorgio I. Ma disgraziatamente per l’espulsione di Giacomo II, che ei chiama abdicazione, dovette usare dei riguardi, non essere schietto, e tergiversare per non far comparire Guglielmo un usurpatore. Se questi due scrittori avessero adottato i veri principii, ogni difficoltà svaniva ed eglino sarebbero stati conseguenti: ma avrebbono tristamente detto la verità e non avrebbono fatto la corte se non al popolo. Ora, la verità non apre la via alla fortuna, ed il popolo non conferisce nè ambasciate nè cattedre nè pensioni.


Note

  1. Affinchè una volontà sia generale non fa sempre d’uopo che sia unanime, ma è necessario che si enumerino tutte le voci; qualunque formale esclusione rompe da generalità