Il dottor Antonio/XXIII

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Capitolo XXIII

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Giovanni Ruffini - Il dottor Antonio (1855)
Traduzione dall'inglese di Bartolomeo Aquarone (1856)
Capitolo XXIII
XXII XXIV


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CAPITOLO XXIII.

Il 15 Maggio 1848.


Il giorno seguente all’ora in cui soleva far la sua visita mattutina nell’osteria, il dottor Antonio presentossi nella sala di Lucy. Non dimentichiamo dire che allora sapeva il matrimonio e la vedovanza di Lucy; — e lo aveva saputo dalla lettera di sir John, che lady Cleverton, esatta alla parola, gli aveva spedito la mattina di buon’ora. Egli salutò la sua bella amica colla solita cordialità; e colla libertà del tempo di prima, cominciò a notare la mala scelta dell’abitazione di lei. — «Un seguito di camere magnifiche e grandiose, osserva il Dottore, ma sconvenienti per voi. Avete bisogno di aria fresca da respirare, e di qualcosa di meglio da vedere nella bella Napoli, che non siano delle belle case. C’è un albergo non molto distante da qui, a Santa Lucia, che vi converrà perfettamente. Certamente non tanto di moda, aggiunge con malizia il Dottore, come Toledo o Chiaja, ma meno rumoroso: nè questo è piccolo vantaggio. Conosco il padrone dell’albergo, che vi [p. 288 modifica]raccomando. È persona molto servizievole e rispettabile.» Lucy era pronta a quella mutazione. — «Venite e giudicatene da voi stessa,» le disse il Dottore; e andarono insieme. Piacque alla signora il sito che dominava sopra una veduta della baja e del Vesuvio; e andò fuor di sè dal contento per una loggia di marmo ampiamente sporgente, su cui mettevano le stanze. — «Così ci parrà di nuovo di essere in Bordighera,» disse ella arrossendo e guardando Antonio. — «Certamente,» risponde egli. «Adesso, mentre la vostra gente porta qui le vostre robe, che vi parrebbe se andassimo a fare una provvista di piante e di fiori per farvi un po’ di giardinetto?» — E usciti, la carrozza fu ripiena in modo di rose, di magnolie e di aranci nani, che il nostro eroe e la eroina non sapevano ove mettere i piedi. Questo impiccio fece ridere Lucy, come non aveva più riso da molto tempo. Antonio, per lei provvido come prima, propose di andare a comprar carta, pennelli e colori — che ella avrebbe presto desiderio di far bozzetti dalla sua finestra. — «E il pianoforte?» domanda egli, mentre la carrozza passava innanzi a una bottega in cui ce n’erano alcuni. — «Ah! davvero,» fu la pronta risposta, «chè voi dovete insegnarmi altre canzoni siciliane.» — E ordinato il pianoforte e gli oggetti per disegnare, se ne tornarono al nuovo albergo.

Or qui c’era lavoro in abbondanza per l’attivo Dottore: le piante e i fiori da disporre sulla loggia nel miglior modo; la cassetta dei colori e i pennelli da preparare, affinchè ella trovasse ogni cosa occorrente alla mano, — la miglior luce e il miglior posto da scegliere per il cavalletto; — e il miglior sito per il pianoforte giunto in quel momento: — e tutto questo fece con quella calma, e con quel metodo e gusto, che ricordava a Lucy il suo arrivo all’osteria. E mentre la si poneva al pianoforte seguendo cogli occhi ogni movimento di lui, e lasciava scorrer le dita sui tasti, quanto vivamente le tornavano in pensiero que’ primi giorni — e con quanta vivacità la memoria le dipingeva quella prima serata in cui egli mise alla finestra le cortine, e attaccò, con grande orror di suo padre, la carta alle fessure della porta. Oh! il suo cuore era strabocchevolmente pieno di gratitudine! E fu per il misterioso potere della reminiscenza, che le sue dita sbadate trovarono le note dell’aria siciliana, cantata la prima volta da lui, e mai più suonata dal giorno del suo sposalizio.

Ritornano di nuovo i bei giorni di Bordighera. Gli stessi fiori, lo stesso cielo, la stessa natura maravigliosa, fino il soave profumo dell’aria — tutto quello che aveva già [p. 289 modifica]ammirato e goduto, tornava suo ancora una volta. Era anche migliore e più caro il ritorno a quella salubre alternativa di occupazione e di riposo; a quella medesima conversazione, a quelle istesse serate tranquille sulla loggia; ma migliore e più di tutto cara era quella stessa cura, vigilante, instancabile, che ella sentiva adesso quanto allora: prova, se pur ne abbisognava, che Antonio come lei amava il passato. Pareva che la sua giovanil floridezza e la gentile sua gioja rifiorissero di nuovo. La felicità era medico migliore anche del dottore Antonio. Gli eventi degli otto anni passati sparivano dalla memoria della gentile Lucy, come non avvenuti. Quasi la si sarebbe potuto immaginare di essersi addormentata quel triste giorno in cui lasciò Bordighera, per risvegliarsi poi in Napoli, dopo un sogno lungo e penoso, e senza trovar nulla mutato intorno a sè.

Nulla prescriveva Antonio alla sua malata, ma le ordinava ora per ora il modo di vivere: tanto per la passeggiata, tanto per la corsa in legno, tanto per leggere, per disegnare e per suonare — suonare il pianoforte ma poco, che la stancava e riscaldava; — doveva respirare aria fresca e fare corte passeggiate, oltre la quotidiana corsa in carrozza per la campagna; non teatri, non luoghi di ritrovo, non sale riscaldate; e se dovesse andare a Corte, vi andasse meno possibile. Con tutte queste restrizioni e proibizioni, pure il tempo non correva nojoso per Lucy, nè si lamentava ella mai della monotonia del viver suo. Ogni lettera invece diretta a suo padre, conteneva la notizia che ella era felice e contenta; e che sir John non aveva inquietarsi, non potendo venire a raggiungerla presto quanto ambedue avrebbero desiderato.

Antonio invariabilmente veniva a veder Lucy due volte al giorno: una la mattina — visita da medico, come ella soleva chiamarla ridendo, e l’altra la sera — visita da amico. Parevano i pensieri suoi di continuo rivolti a lei, e incessante la sua ansietà per sollevarla o poterla divertire. Le portava vedute, stampe e abbozzi fatti da lui dei bei contorni che avevano a visitare un qualche giorno insieme; e nuovi libri italiani e inglesi, e i romanzi più alla moda, e gli opuscoli sugli argomenti più importanti del giorno. Nè certo era carestia in quel tempo di soggetti atti a eccitare la curiosità e ad attrarre l’attenzione di persona che amava tanto l’Italia, come Lucy. L’ultima insurrezione di Milano e di Venezia, l’ingresso dell’esercito piemontese in Lombardia, i casi della guerra, lo stato interiore del paese e dai varii partiti, Pio IX, Carlo Alberto e altri uomini [p. 290 modifica]principali di quel tempo; la Corte di Napoli, il Re e i suoi Ministri, tutto insieme, e ciascuno alla sua volta davano argomento alle rapide osservazioni, alle idee ingegnose e alle facoltà descrittive di Antonio. Lucy, prima d’ora aveva imparato ad apprezzare quella tranquilla effusione di animo, quei forti affetti di lui, e quella felice combinazione di ragione, di sensibilità e di buon umore, da cui era fatto tanto originale il conversare, e così piacevole la sua compagnia. Ora poi, innanzi a lei, egli metteva a nudo i tesori del proprio cuore, e iniziandola a tutti i misteri della sua anima ardente, e facendola depositaria delle sue speranze, de’ suoi timori, de’ suoi disinganni.

Le raccontava come una rottura era avvenuta nel Ministero, nel punto stesso che immaginavasi di veder rimosse tutte le difficoltà, onde gli era impedito lo scopo dell’intrapresa missione; e come proprio l’individuo su cui egli contava aveva lasciato il portafogli, e come conveniva riconquistare il terreno creduto già guadagnato. Sfiduciato, ma pur perseverante, egli rinnovava di sforzi; quando appunto giungeva la notizia avere il Parlamento siciliano deposto il Re, ed escluso dal trono qualunque della sua razza. Antonio allora avrebbe voluto tornar in patria a dividerne la sorte, ma il Re stesso lo sollecitò a rimanere. Malgrado gli attuali avvenimenti, Sua Maestà professava le più liberali e concilianti intenzioni rispetto ai Siciliani; però proponevasi spedir loro tali condizioni da un giorno all’altro, che ne sarebbero maravigliati; e Antonio doveva esserne il portatore. Ma quel giorno non veniva mai. — «Credo che si lusinghi corrompermi,» osservava Antonio. «Egli ha accennato più di una volta al suo desiderio di avere un medico del mio merito permanente presso la sua persona; ma non basta gittarmi la polvere negli occhi. C’è qualcosa di contorto in lui — di bieco nella sua guardatura e ne’ suoi modi; ha una certa sua maniera sonnecchiosa, e di tratto in tratto una luce sinistra negli occhi, che mi rammenta un gatto in atto di guatare un sorcio. M’inganno di molto, o costui un qualche giorno ci fa impiccare tutti quanti!»

Lucy non voleva sentire quelle predizioni, e chiuse molto efficacemente la bocca al Dottore ponendogli la mano sopra le labbra. Trovavasi mortificata, diceva, vedendolo dare accesso a siffatti pregiudizi. — «Bene, bene,» egli soleva risponderle sorridendo; e più di una volta essendo Antonio tornato su questo argomento, finiva sempre con un «vedremo.» Se liberamente bensì faceva le sue osservazioni [p. 291 modifica]intorno al Re, non risparmiava Antonio il suo partito ogni volta che ci trovava motivo di biasimo; e i liberali di Napoli paragonava qualche volta al cane della favola, che perdette la carne per correr dietro alla immagine. — «Per esempio,» diceva, «la Costituzione non è ancora stata messa in atto, che di già domandano ad alta voce che sia allargata. Il Parlamento non esiste ancora se non in carta, e gridano a più non posso contro la Camera dei Pari. Domandano che il Re invii un esercito in Lombardia a cooperare col Piemontese, e l’accusano nei loro giornali di essere Austriaco di cuore. E chi ne dubita? Ma a che giova il dirlo? È egli probabile, rinfacciandogli d’essere Austriaco, che si faccia diventare un patriota italiano?»

Il nuovo Ministero, precisamente su questo punto, a indurre cioè Ferdinando a prender parte attiva alla guerra di indipendenza, dirigeva i suoi sforzi: e nella speranza di potervi contribuire in qualche modo, Antonio restava ancora in Napoli. Questa decisione, se giovava alla causa dell’indipendenza italiana prediletta al cuor del Dottore, essa avrebbe anche portato con sè l’altro vantaggio — di rendere per allora impossibili le ostilità fra Napoli e Sicilia. Il tempo, quel grande pacificatore, avrebbe sanate poi di molte ferite, calmate molte passioni ardenti, e avrebbe spianato la via a qualche onorevole accordo futuro. La ripugnanza del Re a cedere anche una minima parte dell’esercito era estrema. Tuttavia era tanto forte su di ciò l’opinione della Capitale, i Ministri confessavano tanto vivamente l’impossibilità di continuare a governare se non vi si desse qualche soddisfazione, che il Re alla fine si decise. Fu spedito sul campo della guerra un corpo di truppe, forte di quattordicimila uomini; e una parte della flotta inviata nell’Adriatico, ad operare di concerto colle forze navali sarde e veneziane.

Compiutisi questi fatti, nulla più riteneva Antonio in Napoli, se non il dolce incanto sotto cui trovavasi, se non — aggiungiamo noi — il destino. Vicina era l’apertura del Parlamento napolitano. E perchè non vi assisterebbe egli a poter giudicare da sè dello spirito in esso dominante, e di ciò che se ne aveva a presagire per il futuro? E rimase.

Il Corpo legislativo doveva riunirsi il 15 di maggio. Il Ministero aveva pubblicato anticipatamente il programma della cerimonia da osservarsi in quel giorno; e diceva un articolo di quel programma che i deputati dovevano a giurar fedeltà al Re e alla Costituzione, ma non vi era fatta menzione di una clausola inserita dal Ministero del 3 aprile [p. 292 modifica]— la dichiarazione dei principii politici del Ministero di allora — per la quale era conferito alla Camera elettiva il diritto di modificare e allargare la Costituzione. Questa omissione parve piena di pericoli a molti Deputati, i quali si raccolsero nella sala municipale di Monte Oliveto a deliberare sull’argomento. Ci spiace dover notare un’illegalità sì flagrante, un’usurpazione di potere così grave. La Camera dei Deputati non essendo per anche legalmente costituita, a’ suoi membri non competeva il diritto di assumere il carattere e l’autorità di Assemblea deliberativa; e riunitisi i Deputati, fu rejetto il giuramento inserito nel programma ufficiale, e vennero intavolate trattazioni col Ministero, affine di trovare una formola soddisfacente per ambe le parti. Varie deputazioni seguitarono ad andar su e giù dalla Camera al Ministero e dal Ministero alla Camera. Era il 14 maggio. Le notizie di questo conflitto divulgatesi come un incendio sopra la città, produssero una grande commozione. Il sospetto e il timore predominavano nelle menti popolari, e già s’avevano a lamentare alcuni tentativi di aperta rivoluzione. Questi malaugurati segni facevano sentire ad ambe le parti la necessità di una conciliazione e dopo molte trattazioni, d’accordo si era convenuto che sarebbesi aperto il Parlamento senza dare o esigere alcun giuramento.

A passo lento, col cuore abbattuto, l’indomani, 15 maggio, di buon mattino, Antonio recossi alla dimora di Lucy. L’aveva pregato ella a venire appena giorno, per darle notizia dello stato delle cose. Ella nulla sapeva ancora del felice accomodamento della contesa, fatto a notte avanzata. Le vie, a traverso le quali doveva passare il nostro Dottore, erano gremite in modo straordinario per quell’ora sollecita, e l’aspetto e il portamento della moltitudine era tutt’altro che piacevole. Crocchi di persone formavansi qua e là — sintomo infallibile d’imminenti disordini: — e osservò il Dottore, che alcuni individui passavano di crocchio in crocchio, parlandosi all’orecchio. Evidentemente erano agitatori (da chi istigati?) affaccendati al lavoro. Malgrado le tristi previsioni, Antonio avvicinossi a Lucy coll’usata compostezza serena; e in risposta alle sollecite inchieste di lei, l’assicurava essere sparita ogni causa di timore, e tutto andare a seconda dei desiderii.

— «E adesso,» dice Antonio sorridendo, «mettiamo da parte la politica, che ne sono proprio stanco. Discorriamo de’ tempi andati — della nostra pacifica e verdeggiante Bordighera. Vorrei poterci tornare anche ora; ci stavo tanto contento.»

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— «E io pure,» risponde Lucy arrossendo vivamente. E prosegue dopo una breve esitazione: «Devo dirvi che non ho mai rinunziato all’idea di costruirmi un bel casino in uno de’ suoi quieti cantucci, e di andarvi a passare la vita. La donna può ora realizzare la fantasia della fanciulla. Che dite del mio progetto?»

— «È una bellissima idea,» dice Antonio. «Ma siete sicura di non stancarvi di quella vita di ritiro, un giorno o l’altro di non desiderare le vostre belle relazioni, i vantaggi del ceto e della ricchezza, le attrattive di Londra, la Corte...»

— «Non m’importa nè di ceto, nè di Corte,» interruppe Lucy, «finchè papà e... voi starete con me.» Antonio cominciò a strofinarsi la barba che non aveva più; e subitaneamente alzandosi, passeggiò alcune volte su e giù per la stanza.

— «Ne parleremo poi,» disse egli tornando al suo posto e rimettendosi con calma a sedere vicino a lei. «Vi ricordate di questo stesso giorno otto anni sono?»

— «Come no? Me ne ricordo come fosse jeri. Potrei farvi anche il ritratto nella posizione in cui mi dicevate: «Ora, miss Davenne, vedete un po’ di provarvi a camminare;» e rifece il modo di parlare di lui. «Mi risuona ancor nell’orecchio il tono della vostra voce.»

— «Cara, nobile amica!» esclama Antonio. «Giammai — no, giammai, la minima gentilezza andò perduta con voi. Confesso che io aveva in quel punto terribilmente paura; e mi rallegrai quindi in proporzione.»

— «Sì, avevate paura che restassi zoppa,» disse Lucy, «e vi rallegraste che io non lo fossi.»

Antonio la guardò come stupito.

— «Dite ora che non era vero, se ne avete cuore,» insiste Lucy scherzando.

«Non lo negherò davvero; — devo anzi render giustizia alla vostra penetrazione.

— «Le signorine,» prosegue Lucy nello stesso tono di scherzo, «non sono sempre nè tanto cieche, nè tanto semplici come voglion parere. Non ho creduto mai a quel vostro: «Non è altro che una slogatura di caviglia;» papà, sì, ma non la figlia sua. Sapevo fin da principio che la mia gamba era rotta.»

Antonio aprì tanto d’occhi.

— «Quale profondità di simulazione scopro ora in voi,» disse alla fine ridendo. «Veggo che mi ci prendeste. Sapevate che la vostra gamba era rotta, e non ne diceste nulla neppur a me!»

— «No,» replica Lucy, «aveva risoluto di lasciarvi [p. 294 modifica]godere pienamente il successo del vostro gentile inganno. E vi diedi anzi agio di illudermi quanto vi piacque.»

Antonio non rispose, ma prese la bianca manina abbandonata sopra uno de’ bracci della sedia di lei; la prese nella sua, e lentamente e deliberatamente la portò alle sue labbra.

La penetrante e distinta ripercussione di una scarica di moschetteria risuonò nell’aria quieta, facendo crepitare le porte e le finestre.

Antonio balzò in piedi, pallido come se ciascuno di quei colpi gli avesse passato il cuore.

— «Che sarà?» domanda Lucy mortalmente agitata.

— «Nulla d’importanza,» dice Antonio facendo un grande sforzo per mostrarsi indifferente. Probabilmente un po’ di polvere dal Governo bruciata per salutare l’apertura del Parlamento; A proposito, bisogna ch’io vada subito.»

Mentre prendeva il cappello, sentesi un’altra scarica seguita quasi immediatamente da una viva serie di colpi.

— «Si combatte, si combatte, ne sono sicura!» grida Lucy atterrita e tutta tremante. «Non ci andate per amor di Dio! A che serve che voi ci andiate? Che può fare un uomo, e un uomo solo?»

— «Soddisfare la propria coscienza, con fare quanto è in poter suo per impedire la guerra civile,» replica Antonio con tranquilla risolutezza. «Lasciatemi andare, ve ne prego.»

— «Voi non andrete!» esclama Lucy fuori di sè dalla paura, frapponendosi fra lui e la porta. Antonio la guarda.

— «Io debbo andare,» dic’egli. Era come avesse parlato il Destino. Lucy si sentì tosto incapace di combattere quella ferrea volontà. Piegò le mani come un fanciullo che prega, sollevò gli occhi alla faccia di lui, e disse: — «O Antonio!» C’era un mondo di cose in questa sola parola.

L’Italiano la trasse a sè, se la strinse fortemente al seno; e — «Lucy,» disse in tono solenne, «questo non è momento da far molte parole (il fuoco non rallentava punto mentre parlava), Lucy, io ti amo — ti ho amata ardentemente per tutti questi otto anni — ti amerò sino alla tomba. Ma la mia patria ha su di me diritti anteriori a’ tuoi. Questi diritti ho giurato di rispettarli più solennemente quel giorno, in cui il pregiudizio armato di ragioni genealogiche si frappose fra me e voi. In quel giorno mi dedicai di nuovo alla mia patria. Lasciatemi mantenere il voto — lasciate che faccia il mio dovere. — Ajutatemi a farlo, o Lucy. Lucy, mia nobile amica, ajutatemi a riuscir degno di voi e di me. In nome di quanto c’è di più santo, lasciatemi partire senza una lotta penosa.»

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Lo spirito d’eroismo che imponevagli quel sagrificio nel più dolce momento della sua vita, gli splendeva nella faccia e risuonava nella voce. Parve trasfigurato in modo sovrumano agli occhi di Lucy. La debole natura di lei si sollevò in questo supremo istante all’altezza che fa possibile ogni sacrificio di sè:

— «Nobil cuore!» dice in un impeto d’entusiasmo. «Andate! E Dio sia con voi e vi preservi. Io cercherò di esser degna di voi.» E cessò di ritenerlo.

— «E Dio vi benedica per queste parole!» esclama Antonio quasi trasumanato, prendendole le mani e stringendosele al cuore. «Dio vi benedica! — Il vostro amore sarà il mio scudo!» Così dicendo, la pose sopra il sofà, e in tono dimesso le disse: «Presto mi rivedrete, o avrete notizie di me.» Fermossi un istante guardando quella forma distesa quasi esanime innanzi a lui, si coprì colla mano gli occhi, e uscì senza dir parola.

Nell’anticamera trovò la Hutchins al suo solito posto; le chiese carta e calamajo; e scritte alcune poche righe, gliele porse. — «Ora andate subito dalla vostra padrona; ella non si sente bene. Se peggiora, mandate a prendere il medico di cui vi ho qui dato il nome e l’indirizzo.»

— «Che! partite, signore?» domanda la Hutchins, indovinando subito il perchè della malattia della padrona.

— «No, non parto propriamente; ma può darsi che non possa tornar qui per qualche tempo. Abbiate cura di lady Cleverton. Addio, Hutchins.» E Antonio porse la mano alla buona cameriera. Il volto della Hutchins cominciò a contrarsi nervosamente; ma obbedendo agli ordini, andò dalla padrona. Allora Antonio, sedutosi alla tavola di lavoro dalla Hutchins, scrisse in fretta una corta lettera, la sigillò, fece l’indirizzo, e, senza arrischiarsi a guardare alla porta chiusa, si mise il cappello e uscì.

Una gran quantità di gente correva forsennata per le vie; distaccamenti di soldati marciavano per ogni verso; la città si copriva, quasi per incanto, di barricate, e già si combatteva in molte di esse: insomma, la guerra civile in tutto l’orrore infuriava nella bella Napoli. Quale mano sacrilega aveva acceso la fiaccola della discordia? Da qual parte era stato tirato il primo colpo? Dai repubblicani ostinatamente impegnati a distruggere la monarchia, come affermò dippoi il partito della Corte, o dal partito della Corte, come asserirono i liberali, il quale aveva a mente fredda preparato la miccia, affidando al caso l’incarico di accenderla, e di sperdere ai quattro venti le libertà [p. 296 modifica]poco prima strappate alla mano ferrea del dispotismo? Nessuno il seppe allora, ed è un mistero anche al giorno d’oggi.

A mala pena si possono rintracciare le sorgenti dei fatti contemporanei, oscurati da contemporanee passioni. Che i repubblicani abbiano deliberatamente sfidato il Governo, sembra appena credibile a fronte di un fatto ammesso da tutti gl’imparziali scrittori, e comprovato da testimoni oculari: la pochezza del partito repubblicano, seppur alcun partito di tal fatta poteva ritrovarsi in Napoli nel 1848. Il grido di «Repubblica» non uscì mai di bocca ai combattenti; e nessuna persona nota di principii repubblicani figurò tra i molti prigionieri tratti poi innanzi ai Tribunali per accuse politiche. Se il proverbio: cui bono fuerit, riuscisse sempre vero, servirebbe a sostenere contro il Potere esecutivo l’accusa di aver egli procurata una collisione, da cui trasse tanto vantaggio, e che riuscì a lui tanto profittevole. Ma non intendiamo addurre argomenti congetturali; e vogliamo lasciare al Potere esecutivo il vantaggio della mancanza di prove dirette, sostanziali, irrefutabili. Vorremmo esser giusti anche verso il re Ferdinando II di Napoli. Ci erano ragioni sufficienti a provocar quella catastrofe del 15 di maggio; nè occorre asserire che fosse preparata, o premeditata, da alcuna delle due parti.

Un giornale politico di quel tempo, la chiamò con frase giusta e intelligibile: squilibrio di due paure; ed era letteralmente vero. Fin dal 29 gennajo, i sostenitori del diritto divino e i partigiani della libertà costituzionale, si erano riguardati scambievolmente con sensi di odio e di diffidenza mal dissimulata. Il popolo ricordava che più di una volta le fucilate e i colpi di bajonetta avevano risposto alle grida di Viva Pio IX! Viva la Riforma! Il Re si ricordava del pari che la Costituzione era stata strappata per forza da lui; pertanto egli stava perpetuamente sul qui vive! per le sue prerogative minacciate; e i liberali parimente all’erta per le loro libertà pericolanti. L’inopportuna Enciclica del 29 di aprile, l’atto fatale con cui Pio IX inaugurò la sua separazione dal movimento nazionale, fu valido mezzo per allargar quella breccia. Un partito la salutò con lieto animo e rinnovate speranze; l’altro manifestò aperto il suo risentimento, e per la lettera, e per le speranze da essa incoraggiate. Così stavan le cose, quando accadde il disgraziato malinteso fra il Potere esecutivo e i Deputati circa la formula di giuramento. Fu la scintilla caduta su materie combustibili da tanto [p. 297 modifica]tempo accumulate. L’attitudine presa dai Deputati parve al Potere esecutivo foriera di rivoluzioni; il contegno del Potere esecutivo parve ai Deputati denotare un imminente Colpo di Stato. Senza tener conto delle passioni sfrenate sovrabbondanti nelle grandi città, che in tempi di discordia vengono a galla; non c’era scarsità di spiriti ardenti da ambi i lati per tramutare in fiamma viva il fuoco latente. L’incendio si sparse largo e ampiamente, e tutta la città ne fu ravvolta.

— «Che cos’è?» domanda Antonio, giunto in istrada, ad un prete che passava via frettoloso.

— «È arrestato il Re — e il Principe ereditario chiuso in un convento; — la Camera dei Deputati si è dichiarata in permanenza.»

Passa poi un giovanotto correndo e gesticolando come un frenetico. Antonio lo ferma colla stessa domanda.

— «Tutti i Deputati riuniti sono stati assassinati; — e a quelli che si recavano alla Camera, si dà la caccia come a bestie feroci. Oh! se potessi trovare un fucile!» grida il giovane fuor di sè.

Il Dottore non credette a nessuna delle due asserzioni, ma augurò il peggio da entrambe. Traversò la Piazza Reale, ove una forza imponente di fanteria, artiglieria e cavalleria era spiegata in fronte del Palazzo. Affrettandosi verso la parte donde si sentiva il fuoco, non aveva ancora fatto un centinajo di passi in via Toledo che fu impedito di procedere da una barricata che si stava costruendo. Non si trattenne a far domande, ma si aprì a forza la strada sopra a quegli ingombri, e corse più presto che potè a un’altra barricata in distanza, e da dove venivano continue scariche di fucili. Il maggior numero di quei che la difendevano apparteneva evidentemente alla classe educata. Essi erano la maggior parte uomini giovanissimi, molti appena fuori dalla fanciullezza, e tutti insieme non più di quaranta. Gli assalitori, a causa della altezza della barricata, non potevano esser veduti dal luogo ove stava Antonio; ma il fuoco di fila ben nutrito mostrava provenisse da un grosso corpo di truppe regolari.

Antonio in un istante vide che non era possibile far ascoltare alcuna parola, e che era inutile ogni tentativo di conciliazione. Allora guardò all’intorno in cerca di un fucile. Ma la vista di un uomo giacente a’ suoi piedi seriamente ferito cangiò tosto la direzione de’ suoi pensieri. C’erano altri e più sacri doveri per lui da compiere che non l’uccidere o l’essere ucciso. Inginocchiatosi al lato di quel ferito, che era tuttavia un ragazzo, tirò fuori il suo [p. 298 modifica]astuccio di strumenti, e si mise a esaminare e a fasciar la ferita. Un altro e poi un altro, e altri de’ combattenti rotolarono a terra, e alcuni fuori di ogni ajuto umano. Antonio si trovava nel suo vero elemento. Stracciatosi l’abito, ne fece delle bende; e assorto interamente nella cura de’ feriti e de’ morenti, dimenticò persino che intorno a lui fischiavano le palle. Un alto grido dei difensori della barricata alla fine gli fece volgere lo sguardo, e li vide che stavano in faccia a lui agitando le mani e gesticolando. Girò il capo per vedere cosa indicassero. E un colpo di bajonetta lo gittò a terra immerso nel proprio sangue.