Il fiore di maggio/La zia Mary

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La zia Mary

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Harriet Beecher Stowe - Il fiore di maggio (1843)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1853)
La zia Mary
Il piccolo Edoardo Guglielmo e Maria

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LA ZIA MARY.



Incomincio ad inoltrarmi negli anni, e sono tuttora garzone; ed anzi tutto modesto e sobrio. Pure qualunque riserva possono fare molte donne a mio riguardo, io mi limiterò in proposito ad asserire, così per transazione che un uomo, può restare vecchio garzone tanto per aver troppo cuore, come per non averne abbastanza. Sono ora molti anni (la maggior parte de’ miei lettori non erano ancor nati) io era un fanciullo pieno di malizia. Apparteneva a quella schiatta sventurata, che dipende da tutti, e non cessa mai d’essere rimbrottata. Vegliavano su di me padre, madre ed una caterva di fratelli e sorelle di me più grandi. Fra i miei parenti ed il restante dell’umana specie correva grande somiglianza; vale a dire che non erano nè angeli nè demoni; ma eran ciò che i matematici chiamano “termine medio.„

Come sopra ho detto, era per loro una specie di zimbello: a me eran sempre attribuiti tutti i piccoli accidenti che accadevano in casa. Ne fossi sì o no l’autore, la risponsabilità cadeva sempre sulla mia testa. [p. 147 modifica]Questo stato di cose doveva, lo confesso, preparare al mio spirito una base solida e seria. Sia ch’io fossi nato sotto stella maligna, sia che un maleficio fosse stato gittato sulla mia culla, egli è certo che fino dai primi giorni di mia esistenza fui una specie di Cenerentola, un essere venuto molto male a proposito, e che non poteva riuscire a nulla.

Chi mai aveva lasciata socchiusa la porta, quando faceva freddo? — Enrico. Chi rovesciava a colazione la tazza del caffè, od a tavola il bicchiero, la saliera, o la senape, al solo muoversi col gomito? — Enrico. Chi rompeva tutti i tondi della casa? — Enrico. Chi ingarbugliava la seta od il cotone della mamma? chi lacerava il giornale al papà? Chi gittava a terra la coperta, od i ferri rilucenti di cui si serviva per stirare la vecchia Zebo? — Enrico. In tutto questo non eravi certo in me un cattivo istinto: poichè io posso dichiararlo altamente, era il miglior ragazzo al mondo. Ma fra di me e tutto ciò che m’era dattorno esisteva una certa attrazione di coesione o di gravità. Di qualunque maniera mi studiassi, gli oggetti dovevano di necessità essere rovesciati, rotti, in pezzi, o guastati, per poco ch’io loro mi avvicinassi.

Le mie sbadataggini parevano in ragione diretta delle cure ch’io mi studiava di mostrare. Eravi alcuno in casa che aveva male alla testa, od un’irritazione nervosa da esigere un profondo silenzio per certo era mio desiderio sincerissimo di non far subisso; ma io potevo star sicuro che al solo traversar una stanza sulla punta de’ piedi colpiva in una sedia, od imprimeva un urto nella paletta del camino, e questa alla [p. 148 modifica]molla, che cadendo sugli alari li facevano risuonare, mettendo in moto due o tre pezzi di legno, e questo rapido movimento, simile al giuoco di racchette, strascinava tutto ciò che eravi intorno, capace di produrre del romore.

Nell’istessa guisa era certo ch’io perdeva quanto mi capitava fra le mani o ciò che portava con me. Se alla mattina mi pavoneggiava d’avere una blouse nuova, era sicuro di cader disteso, andando alla scuola se pur non m’accadeva di peggio nel ritornarmene a casa. Mi si mandava per un servigio, non mancava mai di perdere cammin facendo il denaro, o l’oggetto comperato nel ritorno. In tali circostanze la madre mia per consolarmi era usa ripetermi, essere una fortuna che l’orecchie fossero rimaste ancora attaccate alla testa, altrimenti le avrei del pari perdute. In somma io era un tema consueto alle esortazioni ed ai rimbrotti non pure di mio padre e di mia madre, ma sibbene delle mie zie, de’ miei cugini fino alla terza o quarta generazione. Essi non si ristavano dall’ammonizioni e dal farmi assaporare i loro rimproveri e consigli con una litania di lamenti e di morale.

Tutto ciò sarebbe ito per lo meglio, se monna natura non m’avesse dotato d’una dose assai inutile ed incomoda di sensibilità. Quel dono, pari a quello di un orecchio musicale, non era di certo aggradevole: poichè in questo mondo, novantanove sopra cento non sanno distinguere un disaccordo da un suono armonioso. Ora, quanto più io dava occasione agli altri di rimprovero, meno io m’abituava ad essere rimbrottato, sì bene che tali cattivi trattamenti mi esasperavano [p. 149 modifica]tanto alla quarantesima volta, come alla prima. Nessuno era tanto filosofo com’io: era uno di quegli esseri irragionevoli che non sanno accomodarsi alla natura delle cose; era timido ad un tempo, concentrato e fiero per tutti coloro che mi avvicinavano io non era che uno sbadataccio, un fanciullo nato sotto funesti auspici; pe’ miei parenti non era che un’unità nella loro dozzina di figli, che dovevano ogni sabato pulire dalla testa ai piedi, ed accomodarne gli abiti: non mi davano rimedi, nè si chiamava il medico che in caso di grave malattia; ma se la mia non fosse stata che una indisposizione, limitavansi ad esortarmi ad essere paziente: è se mi pigliava male al cuore, m’abbandonavano a’ me stesso.

Fin qui era nulla: che ha mai di mestieri un fanciullo? Mangiare e bevere, giuocare in camera, ire alla scuola per imparare a leggere e scrivere; e qualche cura quando era sofferente. Ciò poteva bastargli. Ma se la sensibilità si sviluppa nella gioventù cogli anni, rinviensi però di frequente anche nell’infanzia, più che nol si creda. Dal canto mio fino da quella tenera età, io sentiva di già l’ingiustizia che ferisce il cuore. Era già tratto verso tutto ciò che si riferisce agli intimi sentimenti; provava ribrezzo per le idee e le sensazioni volgari, mentre con tutti i voti del cuor mio tendeva verso la simpatia. Idee generose che in ogni tempo, e sempre inutilmente, furono di moda in questo mondo. Fra le creature nate con simile costituzione avvene forse una che soffri più di un povero fanciullo, rejetto da tutti, in preda all’avversione ed all’ingiustizia?

Tutti abbiamo fino ad un dato limite affinità di età, [p. 150 modifica]di gusti, di sentimenti co’ nostri simili: ma ben pochi vi sono abbastanza buoni per adattarsi alla fralezza di un fanciullo! pochi che sappian comprendere i suoi dispiaceri di non esser ancor grande, d’esser mandato a letto alla scuola, ... infine mille piccole pene di simil genere, che il fanciullo non sa punto spiegare, ma che neppure gli adulti sanno intendere!

Avevo tocco il settimo anno. Un mattino, sorse un insolito movimento per la casa. Seppi, in mezzo alla confusione, che mia zia Maria doveva farci una visita. Quando la carrozza che la conduceva si fermò innanzi la nostra porta, io m’affrettai a svestire la mia blouse insudiciata, e corsi a frammischiarmi a’ miei fratelli e sorelle per esser testimonio dell’entrata della zia.

Non tenterò descriverla quale m’apparve la prima volta; poichè, quando il mio pensiero si ferma su di lei, io mi volgo al sentimento, ad onta dalla mia età e de’ miei occhiali, e mi potrebbe forse uscir di bocca qualche stranezza.

Ogni uomo, maritato e celibatario, giunto al suo cinquantesimo anno, dovette, ne’ suoi sogni aver visto una donna, che diventa per lui la donna per eccellenza. Tal donna non vi era certo parente, nè voi suo marito; essa non fa che spander da lungi dei raggi luminosi su di voi; nel lungo corso degli anni; voi potete rammentarvela come una stella scomparsa, come una melodia estinta, come una beltà ed una grazia svanita per sempre. Quella rimembranza, piena di voluttà, di grazia e gioventù si è conservata intatta: in cuor vostro, in un grado ancor più elevato che non si potrebbe esprimere a parole. [p. 151 modifica]

Per me non fuvvi che una sol donna somigliante a quelle poetiche visioni: ed è quella che mi studio di descrivervi.

Era avvenente? — mi chiederete voi.

Alla mia volta vi proporrò questa questione! Se un angelo lasciasse il celeste soggiorno per vestire umana forma, assumere volto umano, tal volto non sarebbe egli adorabile? Sarebbe adorabile anche se non fosse di una perfetta bellezza.

E di tal maniera era bella quella donna.

Oh! quanto è vivo in me la sua ricordanza! Parmi vederla quando stavasi assisa, tutta assorta in pensiero, come era solita, la testa appoggiata alla mano! Parmi vederne il volto mite e sereno, gli occhi cilestri che erano riflesso di un raggio di sole d’ottobre, e l’amabile sorriso che errava costantemente sulle sue labbra. Rammento ancora la dolcezza che brillava nel suo sguardo, quando le si volgeva la parola, e la viva intelligenza con cui afferrava il senso delle cose, prima ancora che si fosse terminato di esporglielo. E nemmeno ho scordato la premura che davasi, abbandonando qualsiasi occupazione, per rendere servigio ad alcuno.

Coloro che scambiano la meditazione colla mestizia inarcheranno le ciglia se io dicessi che mia zia Mary era sempre felice. Eppure nulla di più vero. Il suo spirito non si innalzava fino alla passione: ma al tempo stesso non scendeva fino allo scoraggiamento. Io so che è di regola, in materia di sentimento, che un tal carattere non dovrebbe essere interessante. Quest’idea non manca certo di qualche fondamento. La calma di una natura usuale, ha nulla infatti di attraente; ma [p. 152 modifica]quella d’un’anima forte e retta tocca il sublime. La mobilità di impressioni è dote di spiriti deboli; ma è degno d’ammirazione, ed offre l’immagine della perfezione quello che fu, è e sarà sempre la stessa, jeri, oggi e sempre. Se non vi ha nulla di più bello che l’idea d’un Dio onnipossente, assiso sul trono d’un’immutabile pace, eppure spiegando tutta la sua forza pe’ bisogni dell’umanità; si può pensare che un riflesso della Divinità rischiara ed anima l’umana creatura che nel suo interno si è imposta tanta calma, ed una così savia direzione, che nulla venne ad assorbire la sua simpatia e distrarla dalle cure ed affezioni ch’ella pone a tutto ciò che l’avvicina. Mary era esattamente la donna che testè ho descritta. La sua calma placida era il risultato non meno dell’indole sua che della sua volontà. Ella ebbe dapprima una decisa disposizione a sopportar difficilmente i disagi; e ciò era cagione della natura nobile e delicata del suo spirito. Ma diresse così bene i suoi pensieri, che in luogo d’occuparsi di sè sola esclusivamente, non attendeva che al bene degli altri. Anzi tutto ella traeva l’universale simpatia men l’indole sua, come il verde in un paesaggio, era meno rimarchevole in sè stessa, che per la perfetta armonia coll’ombre e i lumi sparsi d’attorno.

Altre donne ebbero talenti e virtù: ma non mi fu mai dato di conoscerne pur una, che avesse, ad un’egual grado il talento e la virtù così intimamente collegati col dono di comprendere i bisogni altrui, e alla facoltà di adattarvi meravigliosamente il suo pensiero. Non avvi al mondo maggior noja, che esser costretto a vivere con una persona che non sa comprendere ciò che gli [p. 153 modifica]dite, se voi non glielo spiegate tondo al pari dell’O di Giotto, chiosando le parole mano mano che voi le pronunciate. Al contrario, ciò che avvi di più gradevole, è la società d’una persona, che quasi indovinando ciò che state per dirgli, vì risparmia la pena di parlare.

Questa facoltà io la rinvenni nella mia zia Maria, con mia grande soddisfazione, quand’essa venne a far visita alla mia famiglia. Io ricordo che fin dalla prima sera, assisa al fuoco e circondata da tutti i membri della famiglia, ella fissò gli occhi sopra di me, con un espressione che pareva volesse asserirmi d’avermi veduto. All’istante che la pendola segnava otto ore ed in cui la mamma disse che era tempo ch’io andassi a dormire, la mia fisonomia tradì il coruccio ch’io provava nell’allontanarmi dal fianco di mia zia, e nell’esser privato dall’ascoltare le belle istorie che avrebbe raccontate dopo la mia partenza. Ella mi volse uno sguardo in così perfetta armonia, con ciò ch’io sentiva in me, che me ne partii col cuore più alleviato, ciò che fin’allora non m’era occorso mai. Quanto si inganna il mondo sulle sensazioni del cuore! Quanto spesso non accade di stringere stretti nodi con una persona per un sol gesto, per un sol sguardo, o fors’anco per una sol parola sospesa alle labbra, più che per benefici materiali! Nella vita sociale, i benefici materiali concernano i bisogni della vita animale, mentre i bisogni inerenti all’anima, e di cui, per legge d’armonia, non puossi fare a meno, sono considerati come cose di puro sentimento, e che la soddisfazione che loro è data può far nascere appo noi, una viva riconoscenza in realtà più che in teoria. La zia Mary non [p. 154 modifica]erasi fermata fra di noi più di un mese ch’io già l’amava sopra ogni cosa. Uno statistico avrebbe preso di calcolo di tutti i piccoli favori che avevan prodotto in me quel risultato. Era uno sguardo — una parola — un sorriso; ora pareva compiacersi nel mirare il mio cervo volante; ora mi applaudiva quando m’era dato di far dormire il mio ghiro. Ella sola pareva stimare i miei progressi nell’arte di giuocare alle pallottole: non si corucciava mai se rovesciava al suolo il suo paniere da lavoro; le mie goffe galanterie, le mie premure malaccorte erano da lei accolte come se fossero del miglior gusto; soffriva? non voleva altro che me a tenerle compagnia qualunque devastazione io mi facessi, secondo la mia abitudine, fra le ampolle e le tazze che si trovavano nella sua camera; benchè, ad onta del mio zelo, lo ponessi nel curarla un’inesperienza straordinaria. Ella era parimenti la sola persona che mi facesse l’onore di discorrere con me, ed io stupiva d’assai che potendo intrattenersi su ogni oggetto, su ogni questione con gente di giudizio, ella degnasse di prendere interesse o delle pallottole, de’ cerchi, od altri oggetti destinati a trastullo d’un ragazzo. E, così di passaggio, mi sia permesso il dire che tali gusti sono alle volte comuni ai vecchi. Ella conosceva quale varietà d’istruzione abbisogna a fare non una pedante, ma una donna amabile, socievole, com’era ella medesima. Pussedeva anche l’arte conversando di innalzare gli altri al suo livello; sicchè molte volte io mi sentiva sovente d’una rara eloquenza, quando parlava, e nel corso del colloquio io chiedeva a me medesimo se non fossi ancora un piccolo garzoncello. [p. 155 modifica]

Dopo aver, per qualche mese, sparso sulla nostra casa la dolcezza di sua presenza, dovette abbandonarci. Ma pregò la madre mia, a cedermi a lei per suo compagno. Lascio pensare qual fosse lo stupore di tutta la famiglia. Che poteva adunque amare la zia Mary in Enrico il malaccorto?... Ah se ella m’amava, non era certo perchè vi fosse una ragione; era semplicemente perchè mi amava.

Da quell’ora la mia vita si passò al suo fianco. Ella operò sull’indole mia i miracoli che un buon genio ha solo il dono e la potenza di produrre. Calmò il mio cuore; diresse la mia mente, e sviluppò il mio spirito in una parola ella mi crebbe, non colla forza ed il rigore, ma come il benefico raggio di sole anima e nutre i fiori, per guidarmi ad una vita perfetta e soddisfacente — e quando tutto ciò che in lei era caduco abbandonò questo mondo, le sue parole e le sue azioni improntate d’un’inalterabile amore, spandono ancora attorno alla sua memoria un dolce chiarore, che si confonde col limpido azzurro del cielo!