Il geloso avaro/Lettera di dedica

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Lettera di dedica

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Il geloso avaro L'autore a chi legge
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A SUA ECCELLENZA

IL SIGNOR

ALVISE VENDRAMINI

PATRIZIO VENETO.


S
ANNO tutti quelli che mi conoscono, ch’io scrivo in Venezia presentemente le opere mie per uso di quel Teatro, di cui è Padrone l’Eccellentiss. Signor Francesco, Padre di V. E., e mio benignissimo Protettore. Tutti però non sanno con quanta generosa bontà mi tratti il Cavaliere umanissimo, e questo avrei voluto che si sapesse, ringraziandolo con una lettera mia ossequiosa, posta in fronte ad alcuna delle mie Commedie. Egli che, fra le altre Virtù, ha quella della più esemplare modestia, col più grazioso artifizio del mondo ha penetrato sin nell’animo mio, e mi ha impedito di farlo, temendo forse sentirsi dir quelle lodi ch’ei merita, e che in faccia sua sdegna di sofferire. Buon per me, che in un sì rigoroso divieto non ha compreso la venerata persona di Vostra Eccell., onde a Lei potrò rivolgermi impunemente, e favellando col Figlio, mi sembrerà in un tempo di favellare col Padre, essendo, e per natura, e per legge, una stessa persona considerati.

Pure per questa istessa ragione dovrò trattenere il corso della mia penna, ove lodar tentassi o la di Lei Famiglia, o i di Lei meriti personali, perch’egli, se non lo aggradisce, non condanni almeno quest’atto del mio sincero rispetto. Ma che giova parlare della Famiglia antichissima de’ Vendramini, s’ella è bastantemente conosciuta dal Mondo? Ne parlai brevemente, vivente ancora l’Eccellentiss. Signor Antonio, Zio Paterno di Vostra Eccell., di onorevole ricordanza, e fra le lettere della edizione mia Fiorentina non lasciai di dargli in allora un pubblico testimonio [p. 28 modifica]del mio ossequio e della mia gratitudine1. Ora dunque dovrei parlare soltanto dell’Eccell. Vostra, ma nell’età giovanile in cui tuttavia si ritrova, non potrei che additare i semi di quelle Virtù, che luminose un giorno risplenderanno a pro della Patria e del suo glorioso Casato.

Vedesi in Lei accoppiato all’avvenenza della persona il brio dello spirito; e la dolcezza de’ suoi costumi, e la chiarezza della sua mente presagiscono in Lei ai gradi eminenti della Repubblica un degno erede de’ suoi gloriosi antenati. Ma questo rispettoso mio foglio non ha da essere un panegirico alle di Lei Virtù, che io atto non sono per sì grand’opera, e male collocato vedrebbesi fra le Commedie. Mia intenzione è soltanto manifestare per questa via il mio sincero giubbilo, per l’onore onde vengono le mie fatiche illustrate. Sono oramai quattr’anni2 ch’io scrivo per il Teatro rinomatissimo de’ Vendramini, e spero di continuar fin ch’io viva, o almeno fin che avrò lena per scrivere. Il nuovo mio Reale Padrone lasciami in libertà di poterlo fare, e tanto più volentieri lo faccio, quanto veggo le opere mie dalla comica compagnia valorosamente eseguite.

Il Teatro de’ Vendramini sempre fu rispettabile e accreditato, ma ora più che mai può vantarsi di essere di egregi attori fornito, capaci di ogni più difficile Rappresentazione, Tragica sia, o sia Comica, trovando in essi partitamente l’abilità di rappresentare i caratteri più originali del mondo. Non ho riguardo di replicare in pubblico una proposizione detta da me sinceramente in privato: Se le mie Commedie recitate da una tal compagnia non incontreranno, non sarà per difetto dei Comici, ma di me soltanto. Sono parecchi anni ch’io mi struggo in un tal mestiere, ed è eccedente il numero delle cose fatte da me sinora, e però il mondo ha da aspettare di quando in quando dei frutti secchi. Le piante ancora, dopo un abbondante prodotto de’ loro frutti, in qualche anno si mostrano meno feconde, e il Giardiniera le soffre, colla speranza di rivederle più fertili nell’avvenire. Chi mai [p. 29 modifica]creduto avrebbe, Eccellenza, ch’io dar dovessi in quest’anno al di Lei Teatro una Commedia si fortunata qual fu l’Ircana in Ispaan?3Io lo stesso non me ne sarei lusingato. Dopo la Sposa Persiana, dopo il seguito alla medesima, intitolato Ircana4, dopo un argomento consumato in due rappresentazioni, fu temerario l’azzardo di lavorarvi sopra la terza; e pure sa l’Eccellenza Vostra se miglior esito si poteva desiderare. Voglio dire con ciò, che lavorando quasi continuamente, con animo di far il meglio che far si possa, escono dei parti più e meno felici, e di questi non si ha l’uomo da insuperbire, siccome per la sfortuna degli altri non dee avvilirsi. Ma io l’averò ben bene annoiata con questo foglio, in cui saltando, come dir si suole, di palo in frasca, dirà Ella che prima di scrivere non sapeva io medesimo l’argomento della mia lettera. Ma se mi hanno traviato alcune cose fuor del proposito, l’argomento è però soltanto per manifestare al mondo l’ossequio mio verso la di Lei Eccellentissima casa, e protestarmi col più profondo rispetto

Di V. E.


Umiliss. Dev. Obblig. Servidore
Carlo Goldoni.


  1. Vedasi la lettera di dedica dell’Adulatore, nel vol. IV della presente edizione.
  2. Vedasi la nota nella pagina che segue.
  3. Si deve intendere l’anno comico 1756-57. L’Ircana in Ispaan fu recitata la prima volta sul teatro di S. Luca ai 24 nov. del 1756. La presente lettera di dedica uscì nel primo tomo del Nuovo Teatro Comico dell’Avv. C. G. (Venezia, Pitteri), che porta la data del 1757.
  4. Più nota col titolo di Ircana in Iulfa.