Il secolo d'Oro

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Gabriello Chiabrera

XVII secolo Indice:Opere (Chiabrera).djvu Poemetti Letteratura Il secolo d’Oro Intestazione 7 settembre 2023 75% Da definire

Il presagio de' giorni La caccia dell'Astore
Questo testo fa parte della raccolta Poemetti di Gabriello Chiabrera
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X

IL SECOLO D’ORO

ALL’ILLUSTRISSIMO SIGNORE

IL SIGNOR MAFFEO BARBERINI

Allora cardinale, ed oggi papa Urbano VIII.

Tolto dagli occhi altrui movea pensoso
Là, dove di Savona il mar tranquillo
La bellissima Legine vagheggia,
E nel riposto sen d’antro ederoso,
5Dal vario calle, e dal pensier già vinto,
M’assisi; ed ecco a me mostrossi Euterpe,
Quale in cima di Pindo apparir suole,
O tra i boschi d’Eurota e d’Aracinto:
Cinta di rose entro ceruleo manto,
10Ove eran delle stelle i rai notturni
Trapunti d’oro, ella mostrava il seno,
Quasi svelato, e delle belle gambe
Il purissimo avorio in bei coturni;
E con sembiante, a rimirar sereno,
15Sciolse l’amabil voce a confortarmi:
Nostro fedel, che non sì tosto al Sole
I lumi apristi, che desir ti prese
Di tesserti sul crin fronda Febea,
Acerbamente, ed a ragion, mi dole
20L’avverso tempo, che ti move incontra;
Che non sorge per noi stagion sì rea,
Come quella di Marte, ed ora ei gonfia
Con fiato inferno le tartaree trombe,
Vago di riversar fiume di sangue,
25Ed i campi gravar di membra sparte:
Ma sia teco speranza, e volgi in mente,
Che siccome di qui sparvero gli anni,
Già detti d’oro, han da sparir non meno
Questi, che noi veggiam, carchi d’affanni.
30Tempo già fu, che tra la mortal gente
Del sommo Dio ben s’adorava il nome,
E ciò che intorno la Giustizia giva
Dettando al mondo con eterea voce,
Ascoltando ogni cor pronto ubbidiva.
35In quella età non distinguean confini
Ampia campagna, e tra’ pensieri avari
Non tuo s’udiva risonar, non mio
In bocca de’ dolcissimi vicini;
Nè per tesor, nè per solcare i mari
40Si vedevan cader l’alte foreste
Sotto l’acciar di rusticana scure;
Nè s’era posto ancor nome alle stelle,
Per vincer di Nereo l’alte tempeste.
Allor senz’altra fossa eran sicure,
45E senza torre le città; fornace
Non sapeva temprare aste ferrate,
Che gli arnesi di morte erano ignoti
Per la virtù della perpetua pace.
Anzi nè pur sulle percosse incudi
50Formossi aratro; nè martel sonante
Apparecchiava al villanel le marre,
Sì cortese il terren dava le biade,
E cari frutti producean le piante.
O fortunata a rimembrarsi etade!
55Scorgea da’ larghi fonti in vece d’onde
Correr Falerni, e dalle dure querce
Mel più soave distillar le fronde:
Ma non fremevano orsi, o fier leoni
Traean ruggito, o vomitando tosco
60Giva serpente: in mezzo a’ prati erbosi
Chiudeva gli occhi, e si dormia la gente,
Gente, di cui le danze erano eterne,
Eterni i canti, a cui sorgean l’aurore
Senza oltraggio di nubi, a cui serene
65Volgean le stelle nel notturno orrore.
Venne poi manco, e passo passo sparve
Il secol d’ôr tanto innocente; e rea
Più sempre feasi la malizia umana;
Però sdegnando le gridava Astrea:
70Onde torcete, sconsigliati, i passi?
Ed ove gli volgete? in tanto obblio
Abbandona il cor vostro i miei consigli?
Dunque non vi sovvien, siccome liete
Per me traeste l’ore, e per qual modo
75Io rimossi da voi danni e perigli?
Ah che cadrete d’ogni male in fondo
Vedrete i cari dimagrar inendici:
Vi assaliran le febbri: i vostri tetti
Con ferro e fiamma prederan nemici
80Ingiurïosi: le consorti amate
Non faran parti d’Imeneo ne i letti
A’ padri lor per onestà sembianti.
Ogni cosa fia froda, i vostri risi
Torneranno in cordoglio; amare strida
85Dall’auree cetre sbandiranno i canti.
Così gridava, e con turbati accenti
Scoteva l’alme, e ne i malvagi petti
Mai non lasciava tranquillare i cori.
Ma non per tanto le perverse menti
90S’affrettavano dietro al rio costume:
Onde schernita al fin la bella Diva,
Prendendo sdegno, abbandonò la terra,
E vêr l’Olimpo dispiegò le piume.
Ma dire ardisco, ed il mio dir non erra,
95Che, trascorrendo il Sol, non andrà molto,
Quando a’ preghi d’un grande ella commossa
Dimostreravvi il desiato volto,
E farà cara l’odiosa etate.
Sul fin del così dir fece ritorno

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100In sulle piagge di Parnaso amate
Là, dove lava d’Ippocrene all’onda
Le terse trecce, e con nettarei fiori
Tesse fulgidi fregi a sua beltate.
Al suo partir sulla solinga sponda
105Muto io rimasi, e su quel dir pensoso,
In cor mi venne il singolar tuo nome,
Nobil Maffeo, cui non Sidonia, o Tiro,
Ma sacro il Vatican tinse quell’ostro,
Di che t’adorni l’onorate chiome.
110Già lungo il Tebro per tua man rimiro
Farsi flagello onde percosso in bando
Sen va l’Oltraggio e la Malizia, ed odo
Astrea discesa divulgar sua legge
Fra i sette Colli, e l’Innocenzia è seco,
115Da che vegghiando il tuo saper corregge:
Ma quando al sommo degl’Imperj giunto
A’ sacri baci offerirai le piante,
Roma non pur, non pur vedran suoi colli
Splendere l’oro del buon tempo antico,
120Ma ciascun regno, ove il gran Dio s’adora,
Tornerà lieto, e di virtute amico.