Vai al contenuto

Il vero nella matematica/Note

Da Wikisource.
Note

../Discorso IncludiIntestazione 21 febbraio 2017 100% Da definire

Discorso

[p. 27 modifica]



NOTE



(1) Anche questo dimostra quali conseguenze abbia nel pensiero di coloro, che non proseguono gli studî matematici oltre la scuola classica, un insegnamento di matematica razionale elementare che pretende di avere per fine di insegnare a ragionare esattamente, e contiene invece, senza alcuna avvertenza, gravi errori ed incertezze logiche nei concetti e nelle dimostrazioni fondamentali.

(2) E ciò indipendentemente, così pel numero come per lo spazio o pel moto, da ogni ipotesi filosofica intorno alla genesi di queste idee, anche se per la formazione della prima idea di numero è necessaria l’esperienza, o se per quella dello spazio l’esperienza non fosse necessaria — V. A. Fondamenti di Geometria, Padova 1891 — Trad. tedesca di A. Schepp, ed. Teubner, Lipsia 1894.

(3) Se pure si ammette che l’idea di successione, anche di oggetti astratti successivamente pensati, ottenuti per es. colla ripetizione dello stesso atto del pensiero, provenga dalle sensazioni, che, secondo l’Ardigò, ne danno il ritmo, il passaggio però dalla successione limitata fornita dalle sensazioni a quella illimitata (nei miei Fond. ho distinto fin dal principio diverse specie di successioni illimitate - pag. 12 e 16) dipende, se vuolsi, da una legge mentale di generalizzazione, colla quale dai casi particolari, ad es. dall’aggiunta di un’unità ad un dato numero, passiamo al caso generico, cioè ad ogni numero; ma questa legge di generalizzazione, se è suggerita dall’esperienza, appare però un prodotto proprio del pensiero. E il concetto dell’illimitato è fondamentale, perchè esso ci fornisce dapprima l’infinito in potenza, e insieme col principio che ogni cosa generata [p. 28 modifica]dal pensiero possiamo supporla come già un tutto dato al pensiero stesso, ci dà, da un lato i numeri transfiniti di G. Cantor, dall’altro, gli infiniti e infinitesimi attuali. Il Poincaré sostiene che la regola aritmetica del ragionamento per ricorrenza, o, comunemente detto, dell’induzione completa, non è dimostrabile, e che, non potendo questa regola essere data dall’esperienza, essa è un giudizio sintetico a priori. Ma nei miei Fondamenti (pag. 18 - anzichè «dall’elemento di δ fuori di δ») nell’ultima riga del ragionamento bisogna dire «dalla prima forma di δ fuori di δ'») parmi di avere dimostrata la regola suddetta, facendo uso del concetto di successione illimitata di 1a specie; quindi anche questa regola, che, secondo il Poincaré, sarebbe un giudizio sintetico a priori, si riduce al concetto di successione illimitata di 1a specie. Così la questione filosofica è resa più semplice, bastando dimostrare l’origine sperimentale del concetto di illimitato. Tuttavia, se la matematica pura non può rimanere indifferente dinanzi al puro empirismo, che confinerebbe necessariamente il pensiero matematico nella sola successione limitata, può però non occuparsi delle altre ipotesi filosofiche, che ad essa concedono quanto è sufficiente al suo svolgimento. Non è così invece della geometria e della meccanica, che hanno necessariamente un’origine sperimentale, sebbene se ne rendano indipendenti nelle loro costruzioni, e tanto meno delle applicazioni della matematica nello studio dei fenomeni naturali (Vedi nota 12).

(4) Ho dato il postulato delle parallele indipendentemente dal piano per dimostrare di questo le proprietà fondamentali, evitando così la lacuna notata dal Gauss e uniformandone la trattazione a quella degli spazi a tre e a più dimensioni (A. l. c. ed Elementi di Geometria, Drucker, IIIa ed., 1905). La mia definizione delle parallele soddisfa alla condizione di esser verificata con grande approssimazione nel campo delle nostre osservazioni, ma il postulato si fonda praticamente sulla verifica dei segmenti eguali mediante il trasporto della riga o del compasso. Ora, una tale verifica non è che approssimativa; può darsi che qualora la si potesse eseguire in un campo più esteso, essa conducesse ad un altro postulato, anche supponendo sempre vero il principio del movimento dei corpi perfettamente rigidi: principio che è pure praticamente approssimativo. [p. 29 modifica]

(5) V. Helmholtz: Die Thatsachen in der Wahrnemhung, Berlin 1879, pag. 55 e seg. — Poincaré: a) La science et l’hypothèse, pag. 68 e seg. b) La valeur de la science, ad es. pag. 127 e seg., Paris, 1905.

(6) Con questa definizione dello spazio geometrico cade pure l’affermazione dell’Helmholtz, che le forme geometriche a più dimensioni possono esser svolte sicuramente soltanto coll’analisi.

(7) Il concetto di eguaglianza delle figure, come quello di due cose qualsiasi, deriva dal concetto logico di eguaglianza, e postulata nella geometria l’esistenza di segmenti eguali, si può dare una definizione generale dell’eguaglianza delle figure, che comprende pure le figure simmetriche nello spazio.

Era invero strano che non fossero riconosciuti eguali due triedri opposti al vertice, che, in sè considerati, corrispondono perfettamente al criterio logico dell’eguaglianza, solo per il fatto che non si possono sovrapporre movendosi nello spazio, mentre possono geometricamente essere sovrapposti con un movimento attraverso lo spazio a quattro dimensioni, come due triangoli simmetrici del piano (che pur si riconoscevano eguali) non possono sovrapporsi che con un movimento attraverso lo spazio ordinario. Avevo poi anche notato, che, addottando il principio del movimento senza deformazione o dei corpi rigidi, per definire l’eguaglianza si cade in una petizione di principio, perchè non si può definire quel movimento senza il concetto di eguaglianza oltre che di altri concetti geometrici complicati.

Anche il Poincaré (l. c., a) pag. 60) nota come la definizione dell’eguaglianza delle figure colla sovrapposizione contiene un circolo vizioso, e che la possibilità del movimento di una figura invariabile non è una verità evidente per sè stessa, o almeno non lo è che allo stesso modo del postulato di Euclide. Anzi, come ho osservato nella nota 3, la verifica empirica di questo postulato si può far dipendere dal movimento di una figura invariabile.

Ma per la distinzione che noi facciamo di spazio geometrico da spazio fisico e quindi tra la geometria pura, per la quale il suddetto principio non è necessario, e le sue pratiche applicazioni, non siamo d’accordo coll’eminente matematico francese, quando egli sostiene [p. 30 modifica]che «en étudiant les definitions de la géométrie, on voit qu’on est obligé d’admettre, sans les demontrer, non seulement la possibilitè de ce mouvement, mais encore quelques unes des ses propriétés».

(8) Vedi Pasch: Ueber neuere Geometrie — A. Fondamenti di Geometria, Appendice.

(9) Due tratti a e b si dicono finiti fra loro quando: se a > b vi è sempre un numero intero n tale che b n > a.

Nella geometria non-archimedea esistono anche segmenti a e b tali che non vi è alcun numero n intero finito, per quanto grande esso sia, che il multiplo di b secondo il numero n sia maggiore di a. Allora il segmento a dicesi infinito rispetto a b e b infinitesimo rispetto ad a — V. A. Fondamenti di Geometria, introduz. ecc.

(10) La superficie sferica verifica la possibilità logica della geometria del Riemann, quando due rette che si incontrano in un punto abbiano un altro punto comune. Se chiamiamo rette i circoli massimi, mantenendoci sulla superficie della sfera, noi vediamo che questa superficie soddisfa appunto alle proposizioni fondamentali del piano euclideo tranne a quella delle parallele, perchè non esistono sulla sfera due circoli massimi paralleli, chè a due a due questi circoli si incontrano sempre in due punti.

La stella di rette, sostituendo la retta al punto, il piano della stella alla retta del piano (come il piano all’infinito improprio dello spazio euclideo), ci dà invece una rappresentazione del piano del Riemann, nel quale due rette si incontrano in un punto solo.

Altre prove della geometria del Lobatschewsky e del Riemann furono date anche per lo spazio ricorrendo alla geometria a più di tre dimensioni. Vedi, ad es., A. Fond. di Geometria. Appendice.

(11) Il signor Pasch che tentò di fondare la geometria, nella sua opera citata, sul puro empirismo, è pure condotto nel suo bel libro alle tre ipotesi delle parallele.

(12) Il Poincaré (l. c. a) sostiene che nessuna nuova esperienza possa contraddire nè l’ipotesi euclidea nè le altre due. Ricorrendo [p. 31 modifica]all’astronomia, il Poincaré osserva che, verificandosi una delle due altre ipotesi, sarebbe più comodo ammettere che la luce non si propaghi in linea retta. A noi sembra che sarebbe questione di comodità ma non di verità; ad ogni modo, basterebbe provare con mezzi più perfezionati, senza ricorrere all’astronomia, che le distanze eguali misurate per stabilire il postulato delle parallele nella forma da me data o in altre analoghe non sono effettivamente eguali, come ho sopra osservato (nota 2).

Pur accordandomi coll’Helmholtz sulla critica alle forme trascendenti a priori del Kant, essa però non è esente dall’obiezione che, non avendo egli ben distinto lo spazio geometrico dallo spazio intuitivo, appoggia sul principio del movimento dei corpi rigidi (nota 3) la definizione di eguaglianza delle grandezze fisiche, ritenendo tale principio necessario per la geometria.

Ci siamo associati nei Fondamenti (pref., p. 14) all’osservazione del Wundt contraria all’opinione dell’Helmholtz, il quale, combattendo la teoria Kantiana, osserva che lo spazio potrebbe considerarsi quale forma a priori dell’intuizione senza che lo fossero anche i postulati. Vedi anche C. Cantoni: L’apriorité de l’espace dans la doctrine critique de Kant. Revue de Métaphisique et de Morale, Paris. Ma meno ancora possiamo concedere che, riconoscendo l’origine empirica della geometria, e che quindi nel mondo fisico il postulato di Euclide è meno sicuro degli altri, si attribuisca poi a questo postulato una necessità intuitiva subiettiva, perchè la intuizione in tal caso dipende necessariamente dall’elemento empirico e può variare con esso. (Vedi Enriquez: Sulla spiegazione psicologica dei postulati della geometria. Rivista fil. di C. Cantoni, 1901).

Abbiamo certo la facoltà di intuire lo spazio, ma questa facoltà non è ancora l’intuizione. Si può ammettere anche un’intuizione logica distinta da quella proveniente dai sensi, e per quanto abbiamo detto nel testo sulla legge dell’illimitato, che è una necessità mentale, non possiamo ancora dire se la prima intuizione derivi necessariamente dalla seconda; certo è che nè l’una nè l’altra, o ambidue combinate insieme, ci conducono a una necessità intuitiva del postulato di Euclide. Il geometra non ha alcuna ragione di preferire questa o quella ipotesi filosofica sulla genesi delle sue idee, ma deve essere contrario a ipotesi come questa della necessità subiettiva del postulato di Euclide. Riconosciamo bensì la validità approssimativa di [p. 32 modifica]questo postulato nello spazio fisico, lo traduciamo poi in un postulato di un campo limitato dello spazio geometrico (nel quale può essere però sostituito anche dai non euclidei), ma pur lavorando in questo spazio coll’intuizione combinata coll’astrazione, se vogliamo estendere il postulato a tutto lo spazio illimitato geometricamente non possiamo affidarci ad una necessità intuitiva, non concessa da tutti, come è invece concessa la necessità dei principi della logica; dobbiamo bensì provare in qualche modo che tale estensione è possibile logicamente.

Si possono ammettere bensì, come assiomi, le proposizioni fondamentali semplici che derivano dall’osservazione diretta pel campo esteriore; ma per l’estensione di queste proposizioni allo spazio illimitato di altre, più propriamente dette postulati o ipotesi, che non possiamo verificare direttamente, dobbiamo dimostrarne la possibilità logica.

Come ho sopra osservato (nota 2), la matematica pura non ha che da rigettare il puro empirismo, perchè esso sarebbe un impedimento al suo sviluppo; invece la geometria e la meccanica non possono accettare quelle ipotesi filosofiche che contrastano con l’origine sperimentale di esse e con le loro conseguenze, pur creando anche delle forme che non trovano riscontro nel mondo fisico, mentre nelle applicazioni allo studio dei fenomeni fisici il matematico deve attenersi scrupolosamente all’interpretazione sperimentale della Natura. Sono quindi tre modi diversi che il matematico segue di fronte alle ipotesi filosofiche sulla conoscenza, secondo che si tratta della matematica pura, della geometria e della meccanica teorica, e delle applicazioni di esse allo studio del mondo fisico.

Il pensiero, la psiche e il senso sono così intimamente connessi fra loro, che la separazione di ciò che è un prodotto di ciascuno è quasi sempre un problema arduo, se non di impossibile soluzione; di guisa che spesso la filosofia vi gira intorno da secoli, senza potervi penetrare completamente e raggiungere una soluzione definitiva. Soltanto con la specificazione e semplificazione delle ricerche e con un indirizzo sperimentale e scientifico, come accade ad es. nei principî della matematica, si potrà sperare di arrivare, in alcuni problemi almeno, ad una sintesi filosofica chiara e sicura, onde gli scienziati specialisti potranno diventare così i veri filosofi, preparando gli [p. 33 modifica]elementi di una tale sintesi. Ma se essi, come specialisti, stabiliti i loro principî e le loro costruzioni in modo inappuntabile, possono procedere nelle questioni filosofiche per via di eliminazione delle varie ipotesi che si contendono il campo, non debbono però lasciarsi tentare a dare come definitive, sintesi filosofiche per le quali essi non abbiano ancora gli elementi necessari e sufficienti.

Così il popolarizzare la scienza è certo un compito sociale nobilissimo e utilissimo, che lo scienziato serio, quando può, non deve trascurare e tanto meno sdegnare; ma se pure non possa seguire in questo ufficio un metodo strettamente scientifico, non deve mai oltrepassare i giusti limiti. Non mancano bellissimi esempi, e nella popolarizzazione delle scienze esatte va segnalato anche quello recente dato dal Poincaré nei libri sopra citati, per quanto si possa anche in alcuni punti dissentire da lui.

(13) Occorre però provare che possiamo assoggettare i punti dello spazio ordinario ed un punto fuori di esso agli stessi postulati che derivano dall’esperienza ed agli altri già necessari per la costruzione dello spazio ordinario. E ciò può farsi non solo coll’analisi, ma anche colla geometria, costruendo nello stesso spazio ordinario, coi metodi della geometria descrittiva a più di tre dimensioni, una varietà a quattro dimensioni, che soddisfa appunto a quegli assiomi.

Un punto dello spazio ordinario in questa varietà rappresenta una semplice infinità di punti, che mediante certe convenzioni vengono distinti fra loro.

(14) Dal punto di vista della deduzione, l’uso dei metodi analitico o geometrico non è importante, se non in quanto esso può servire a risolvere difficili questioni; ma da quello dei principî della scienza, la costruzione puramente geometrica degli spazi a più dimensioni, che deriva dalla distinzione dell’idea di spazio geometrico da quella di spazio fisico e di spazio intuitivo, è invece di molta importanza, perchè ci dà effettivamente il contenuto geometrico della geometria a più di tre dimensioni, come l’analoga costruzione ci dà quella del piano e dello spazio ordinario, dalla quale deduciamo le loro proprietà.
[p. 34 modifica]

Inoltre tale costruzione ci permette di formarci con molta semplicità il concetto di spazio generale a infinite dimensioni, mentre colla sola analisi non si avevano dapprima che varietà ad un numero finito di dimensioni — V. A., l. c., pref.

(15) Vedi anche V. Volterra, Sui tentativi di applicazione delle matematiche alle scienze biologiche e sociali. Discorso inaugurale. Roma, 1901.

(16) Vedi A. Capelli: La matematica nella sintesi delle scienze. Disc. inaug. Napoli, 1889.