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Il vicario di Wakefield/Capitolo settimo

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Capitolo settimo

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Oliver Goldsmith - Il vicario di Wakefield (1766)
Traduzione dall'inglese di Giovanni Berchet (1856)
Capitolo settimo
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CAPITOLO SETTIMO.


Descrizione dello spirito cittadinesco. Anche più gran gaglioffo può imparare ad esser piacevole per una sera o due.

Venuto il giorno nel quale dovevamo banchettare il nostro giovane padrone, per far grandezze e sfoggi si diede il guasto al serbatoio; ed è facil cosa l’indovinare come mia moglie e le figliuole si dessono a far pompa dei loro più gai ciuffetti di piume. Il signor Thornhill arrivò in compagnia di due amici, il suo cappellano e ’l falconiere; ed avendo seco di molti servi, ordinò loro pulitamente d’andarne all’osteria vicina; ma mia moglie nel trionfo del di lei cuore volle che si fermassero tutti, per la cui ghiottornía patì poscia digiuno la famiglia per ben tre settimane. Il dì innanzi ci aveva Burchell avvisati segretamente che il signor Thornhill stava facendo alcune proposizioni di matrimonio a madamigella Wilmot, l’amante un tempo del mio figliuolo Giorgio; per la qual cosa s’era alquanto rabbruscata la famiglia ed intiepiditane la cordialità. Ma presto la fortuna ci trasse, in parte, [p. 42 modifica]d’impiglio; perchè alcuno della brigata nominando a caso quella fanciulla, il signor Thornhill mise gridi giurando ch’egli non sapeva come vi avessero cotali baccelloni cui desse l’animo di chiamare quello spauracchio una Venere. “E frustatemi a sangue,” aggiunse egli, “se a me non piace altrettanto qualunque bella raccomandatami dalla lampada del campanile di san Dunstano.1” In così dire egli scoppiò dalle risa, e noi pure, perchè lo scherzo del ricco trova sempre buona ventura. Olivia anch’ella non si tenne di dir pian piano fra’ denti, ma in modo d’essere udita, ch’egli era pieno di vivacità. Seguendo il mio costume, dopo il pranzo feci brindisi alla Chiesa, per lo che venni ringraziato dal cappellano che diceva quella essere l’unica donna del suo cuore. Allora rivoltosi a lui lo scudiero con que’ suoi modi maliziuti così gli disse: Dimmi in fede tua, Frank, se per avventura ti si ponesse da l’un lato questa tua dama la chiesa colle braccia coperte di rensa finissima, e dall’altro madamigella Sofia senza rensa veruna, a chi t’appiglieresti tu delle due?” — “Ad entrambe per Dio!” rispose il cappellano. — E lo scudiero: “Tu hai senno, perchè una bella fanciulla vale tutte le fraudi ecclesiastiche della terra; e possa questo bicchiere soffocarmi se la cosa non cammina così. Che altro, in fatti, sono le decime e tanti viluppi e trovati fuorchè una giunteria per imporre ai semplici, una impostura? E ne darei ben cento prove.” — “Bramerei che ella lo facesse,” disse il mio figliuolo Mosè, “perchè dal canto mio parmi di sentirmi in lena da risponderle. Lo scudiero soggiunse che volentieri, ed accennando alla brigata di prepararsi a quello spasso, diede tosto principio alla disfida così: “Io accetto l’invito, se tu se’ pronto ad argomentare sulla materia freddamente; e prima di ogni cosa è d’uopo che tu dica quale metodo tu scelga, se l’analitico od il dialogico.” Mosè, tutto gioia perchè gli fosse accordato il disputare, rispose voler egli [p. 43 modifica]usare indistintamente della ragione. “Benissimo!” esclamò lo scudiero: “in primo luogo dunque tu non mi negherai che esista tutto ciò che esiste, perchè, se tu non me lo concedi, io non posso proseguire.” Diceva Mosè nulla importargli l’accordarglielo: e chiedendo l’altro che in ciò pure egli convenisse, essere la parte minore del tutto, il mio figliuolo come ragionevol cosa l’approvava. “Io spero,” disse lo scudiero, “che tu non negherai inoltre equivalere i tre angoli di un triangolo a due retti.” E Mosè, girando intorno lo sguardo con alquanto sussiego, rispose che nulla vi aveva di più piano. Lo scudiero allora affrettando il discorso replicò: “stabilite queste premesse, io dico che la concatenazione degli enti procedendo in ragione reciproca duplicata, produce naturalmente un dialogismo problematico,2 il quale in certa maniera prova che l’essenza della spiritualità può riferirsi al secondo predicabile.” — “Piano piano,” esclamò l’altro, “io lo nego. Crede ella ch’io voglia così vigliaccamente sommettermi a codeste dottrine eterodosse?” E lo scudiero quasi montando sulle furie: "Che c’è? che c’è? tu non ti vuoi sottomettere? Rispondimi a questa quistione semplicissima: credi tu che Aristotile abbia ragione quando dice che i relativi sono relativi?” — “Gli è fuor di dubbio,” disse l’altro. “Dunque,” continuò lo scudiero, “rispondi direttamente alle mie proposte. Pensi tu che l’investigazione analitica della prima parte del mio entimema sia deficiente secundum quoad, oppure quoad minus? Su su! presto ragioni, ragioni dirette.” — Protestava Mosè di non intender bene la forza del di lui raziocinio; ma che se egli lo avesse ridotto a proposizione semplice, gli pareva di potergli dare una risposta. E lo scudiero gli replicò: “Padron mio, ti fo profondissimo inchino. Tu non hai nè intelletto nè argomenti, nè io te li voglio imboccare. Vanne con Dio, [p. 44 modifica]chè sei un capocchio.” Allora fu uno sganasciarsi per le risa universale: e ’l povero Mosè era l’unica figura trista in un gruppo di giovialoni; nè più osò aprir bocca per tutto il dì.

Quantunque quel dialogo a me non fosse piaciuto gran fatto, ebbe tutt’altro accoglimento da Olivia la quale scambiò per talento ciò che non era meramente che un atto della memoria. Ella quindi giudicò il signor Thornhill come gentiluomo pieno di compitezza e d’ingegno. E chiunque pon mente a quanto i begli abiti, un avvenente aspetto e i borselli ricolmi contribuiscano a formare un uomo compitissimo, perdonerà facilmente alla fanciulla. Ad onta però della sua vera ignoranza, lo scudiero parlava con alquanta facilità, e facondamente spaziava per tutti i luoghi comuni del conversare; e non è da maravigliarsi se quelle doti si procacciarono l’affezione d’una giovinetta che educata ad apprezzare in sè medesima l’apparenza, dell’altrui pur anco la ne faceva gran conto.

Quando il giovane scudiero se ne fu andato, noi entrammo in dibattimento intorno alla stima che se ne dovesse fare: e come egli aveva sovente indirizzato sguardi e parole ad Olivia, così non vi fu più dubbio ch’ella fosse l’oggetto del di lui bazzicare a casa nostra; nè a lei dispiacque l’innocente motteggio della famiglia su questa scoperta. Debora istessa pareva partecipare della gloria di quella giornata, ed esultava della vittoria della figliuola come di ventura propria; e rivolgendosi a me, mi diceva essere tutta opera della di lei destrezza, se le fanciulle avevano saputo cattivarsi le moine dello scudiero, e ch’ella aveva poi ragione d’essere orgogliosetta anzi che no. “E chi sa,” soggiungeva, “a che fine uscir debba questa faccenda?” — “E davvero chi mai lo sa?” replicai io sospirando. “In quanto a me, ciò non garba nè punto nè poco; e mi sarebbe andato più a genio un uomo povero ed onesto, che costui ricco e irreligioso. Ma bada [p. 45 modifica]bene, che s’egli è tale com’io lo sospetto, giuro che niuna anima negra s’avrà mai una mia figliuola.”

“Ma per verità, padre mio,” gridò Mosè, “tu se’troppo severo; perchè il cielo non farà mai processo de’ pensamenti, ma delle opere. Ad ogni uomo insorgono de’ pensieri viziosi ch’egli non può a posta sua sopprimere. Questa di lui libertà di pensare in cose di religione può essere involontaria: però quantunque lo si confessi in errore, essendo puramente passivo il di lui assenso, non gliene si può dare più carico di quello che si recherebbe ad un castellano il quale fosse costretto a ricettare in città smantellata un esercito possente d’assedianti.”

“Gli è verissimo,” diss’io: “ma se il castellano v’invita egli stesso il nemico, non viene esso accusato a buon diritto come colpevole della sconfitta? E questo è sempre il caso di chi abbraccia gli errori; chè il vizio non istà nell’assentire alle prove di quelli, ma nel chiudere gli occhi alle prove in contrario. A guisa di giudici corrotti eglino danno favore alla prima evidenza, non le volendo udire tutte: di qui, figliuol mio, quantunque ogni nostra opinione erronea sia a prima giunta involontaria, per la nostra negligenza nell’ammetterla o caparbietà nel rimanerci in quella, o vizio o follía ch’ella sia, noi ne meritiamo gastigo.”

S’intromise mia moglie, la quale sviando alquanto dell’argomento ci trasse a considerare come molti nostri amici, sebbene liberi pensatori, fossero pure ottimi mariti; poi disse che molte fanciulle ella conosceva le quali con bella maniera avevano de’ loro sposi fatti tanti convertiti. “E a che non potrebbe arrivare,” soggiungeva, “il senno della nostra Olivia? Ella si comporta assai bene in ogni incontro; e per quanto e’ mi pare, di controversie la ne sa a bizzeffe.”

“O cara moglie mia,” diss’io, “che razza di controversie può ella mai aver lette? Non mi sovviene d’averle prestati di così fatti libri iu vita mia; e tu per certo la [p. 46 modifica]lodi più ch’ella non merita.” — “No, no, caro padre,” replicò Olivia; “mamma mia non s’inganna; ne ho lette tante di dispute, e quelle tra Thwackum e Square, e l’altre tra Robinson Crusoè e ’l selvaggio Venerdì: ed ora mi sto divorando il libro della galanteria religiosa.” Me ne congratulai con essolei dicendole, che ella mi pareva in istato da operar conversioni, e l’avviai a far focacce insieme alla madre.

Note

  1. Luogo da bagasce in Londra.
  2. Ammira bei paroloni del nobil uomo, e com’ei sputa senno. Ma non vi ha penuria di Thornbills anche fuor d’Inghilterra; ed io ne conosco, e n’odo tutto dì — Nota del Casamia.