In mezzo alle ragioni
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Signor Cardinale,
In mezzo alle ragioni di letizia e di conforto che fino dai primordi del Nostro Pontificato avemmo in gran numero, per le non dubbie significazioni di riverenza e di affetto che Ci giunsero da ogni parte del mondo, non Ci mancarono gravi amarezze per le condizioni generali della Chiesa sottoposta quasi da per tutto a fiera persecuzione, e per quello che vedevamo accadere nella stessa Città di Roma centro del cattolicismo e Sede augusta del Vicario di Cristo. Qui una stampa senza freno e giornali intesi del continuo a combattere col sofisma e col dileggio la fede, ad impugnare le sacre ragioni della Chiesa e a menomarne l’autorità; qui templi di Protestanti sorti coll’oro di società bibliche anche nelle vie più popolose quasi ad insulto; qui scuole, asili ed ospizi aperti all’incauta gioventù coll’apparente filantropico intendimento di giovarla nella coltura della mente e nei suoi materiali bisogni, ma col vero scopo di formarne una generazione nemica della religione e della Chiesa di Cristo. E quasi tutto ciò fosse poco, per opera di coloro che per debito di ufficio son tenuti a promuovere i veri interessi della romana cittadinanza, fu testé decretato il bando del Catechismo cattolico dalle Scuole municipali. Provvedimento riprovevole, che viene a togliere anche quest’argine all’eresia e all’incredulità irrompente, e lascia aperta la via ad un nuovo genere di straniera invasione, tanto più funesto e pericoloso dell’antico, quanto più direttamente mira a rapire dal cuore dei Romani il prezioso tesoro della fede e dei frutti che ne derivano. Questo novello attentato alla religione e alla pietà del Nostro popolo Ci riempie l’animo d’un vivo e pungente rammarico e Ci costringe di scrivere a Lei, Sig. Cardinale, che fa le Nostre veci nello spirituale governo di Roma, la presente lettera sul doloroso argomento, per richiamarcene altamente in faccia a Dio e agli uomini. E qui fin dal principio, in virtù del Nostro pastorale ministero, Ci è d’uopo tornare alla mente di ogni cattolico il dovere gravissimo, che per legge naturale e divina gl’incombe d’istruire la sua prole nelle soprannaturali verità della fede, e il debito che in una città cattolica stringe coloro che ne reggono le sorti ad agevolarne e promuoverne l’adempimento. E mentre in nome della Religione alziamo la Nostra voce a tutela dei suoi più sacri diritti, vogliamo altresì che si rilevi quanto questa improvvida deliberazione sia contraria al vero bene della stessa società.
Certamente non si saprebbe immaginare qual pretesto abbia potuto consigliare una tale misura, se non forse quella irragionevole e perniciosa indifferenza in fatto di religione, nella quale ora si vorrebbe che crescessero i popoli. Fino ad ora la ragione e lo stesso naturale buon senso insegnò agli uomini di mettere da parte e fuori di uso ciò che in pratica non avesse fatto buona prova, o per mutate condizioni fosse diventato inutile. Ma chi potrà affermare, che l’insegnamento del Catechismo non abbia fatto fin qui buona prova? Non fu il religioso insegnamento che rinnovellò il mondo, che santificò e ringentilì in mezzo agli uomini le scambievoli relazioni, che fece più delicato il senso morale, ed educò quella coscienza cristiana, che reprime moralmente gli eccessi, riprova le ingiustizie, ed innalza i popoli fedeli sopra tutti gli altri? Si dirà forse che le condizioni sociali dell’età che corre lo hanno reso inutile e nocivo? Ma la salute e la prosperità dei popoli non ha sicura tutela fuori della verità e della giustizia, delle quali la presente società sente così vivo il bisogno, e alle quali il Catechismo cattolico conserva pienamente intatti i loro sacri diritti. Per amore pertanto dei frutti preziosi, che già si raccolsero e giustamente si sperano da quell’insegnamento, non che bandirlo dalle pubbliche scuole, vi si dovrebbe anzi promuovere a tutto potere.
E questo esige altresì la natura del fanciullo e la condizione tutta speciale, in cui viviamo. Non si può a nessun patto rinnovare sopra il fanciullo il giudizio di Salomone e dimezzarlo con un taglio irragionevole e crudele tra la sua intelligenza e la volontà: mentre si prende a coltivare la prima, fa d’uopo avviare la seconda al conseguimento degli abiti virtuosi e dell’ultimo fine. Chi nell’educazione trascura la volontà, concentrando tutti gli sforzi alla coltura della mente, giunge a fare dell’istruzione un’arma pericolosa in mano dei malvagi. È l’argomento della mente che si aggiunge al malvolere e sovente alla possa, contro cui non si può fare alcun riparo.
E la cosa apparisce così chiara, che la riconobbero, sebbene a prezzo di contraddizione, quelli medesimi che vogliono escluso dalla scuola l’insegnamento religioso: i quali non limitano i loro sforzi alla sola intelligenza, ma li estendono anche alla volontà, facendo insegnare nelle scuole un’etica che chiamano civile e naturale, ed avviando la gioventù all’acquisto delle virtù sociali e cittadine. Ma oltre che una morale così fatta non può guidare l’uomo all’altissimo fine destinategli dalla divina Bontà nella visione beatifica di Dio, neppure ha forza bastevole sull’animo del fanciullo per educarlo a virtù e mantenerlo saldo nel bene, né risponde ai veri e sentiti bisogni dell’uomo, il quale è animale religioso nel modo che è animale socievole, e nessun progresso di scienza può mai svellergli dall’animo le radici profondissime di religione e di fede. Perché dunque, per educare a virtù i cuori dei giovanotti, non valersi del Catechismo cattolico nel quale si rinvengono i semi più fecondi il modo più perfetto di una santa educazione?
L’insegnamento del Catechismo nobilita ed innalza l’uomo nel suo proprio concetto, conducendolo a rispettare in ogni tempo sé medesimo e gli altri. È grande sventura che molti di quelli, i quali sentenziano il Catechismo ad uscire dalle scuole, abbiano posto in dimenticanza, o non considerino quello che il Catechismo appresero nell’età infantile. Altrimenti sarebbe loro assai facile l’intendere come l’insegnare al fanciullo, che egli uscì dalle mani di Dio, frutto dell’amore che Questi liberamente gli pose; che tutto quanto si vede è ordinato per lui Re e Signore del creato; ch’egli è sì grande e tanto vale, che l’Eterno Figlio di Dio per riscattarlo non isdegnò di prendere la sua carne; che del sangue dell’Uomo-Dio è bagnata la sua fronte nel battesimo; che delle carni dell’Agnello divino si alimenta la sua vita spirituale; che lo Spirito Santo dimorando in lui come in vivo suo tempio gli infonde vita e virtù affatto divina; è lo stesso che dargli impulsi efficacissimi a custodire la qualità gloriosa di figliuolo di Dio e ad onorarla col virtuoso contegno.
Comprenderebbero altresì ch’è lecito di aspettarsi ogni gran cosa da un fanciullo, il quale nella scuola del Catechismo apprende di essere destinato ad un fine altissimo nella visione e nell’amore di Dio; che è fatto accorto a vegliare del continuo sopra sé stesso, e confortato con ogni maniera di aiuti a sostenere la guerra che gli fanno nemici implacabili; che viene addestrato ad essere docile e soggetto, imparando a venerare nei genitori l’immagine del Padre che sta nei cieli, e nel Principe l’autorità che viene da Dio e da Dio prende la ragione di essere e la maestà; che è tratto a rispettare nei fratelli la divina somiglianza che brilla sopra la stessa sua fronte, ed a riconoscere sotto le misere apparenze del povero il medesimo Redentore; che è salvato per tempo dai dubbi e dalle incertezze per beneficio del cattolico magistero, che i titoli di sua infallibilità ed autenticità porta scolpiti nella sua divina origine, nel fatto prodigioso del suo stabilimento sulla terra, nella copia dei frutti dolcissimi e salutari che arreca.
Finalmente intenderebbero che la morale cattolica, munita del timore del castigo, e della certa speranza di altissimi premi, non corre la sorte di quell’etica civile, che si vorrebbe sostituire alla religiosa; ne avrebbero mai preso la funesta risoluzione di privare la presente generazione di tanti e sì preziosi vantaggi, col bandire dalle scuole l’insegnamento del Catechismo.
E diciamo bandire, poiché il temperamento preso di apprestare l’istruzione religiosa solamente a quei fanciulli, pei quali i genitori ne faranno espressa domanda, è del tutto illusorio. Non si riesce infatti a capire come gli autori della malaugurata disposizione non si siano avveduti della sinistra impressione, che deve fare sull’animo del fanciullo il vedere posto l’insegnamento religioso in condizioni cosi diverse dagli altri. Il fanciullo che per essere stimolato ad uno studio diligente ha bisogno di conoscere l’importanza e la necessità di ciò che gli viene insegnato, quale impegno potrà avere per un insegnamento, verso del quale l’autorità scolastica si mostra o fredda od ostile, tollerandolo a malincuore? E poi, se vi fossero (come non è difficile a trovarne) genitori che o per malvagità di animo, o molto più per ignoranza e negligenza, non pensassero a chiedere per i loro figli il benefizio dell’istruzione religiosa, resterebbe una gran parte di gioventù priva dei più salutari documenti, con estremo danno non pure di quelle anime innocenti, ma della stessa civil società. E stando le cose in tali estremi, non sarebbe un dovere di chi presiede alla scuola rimediare all’altrui malizia o trascurando? Sperando vantaggi senza dubbio men rilevanti, si pensò testé di rendere obbligatoria per legge l’istruzione elementare, costringendo anche con multe i genitori ad inviare i loro figli alla scuola: ed ora come si potrebbe aver cuore di sottrarre ai giovani cattolici l’istruzione religiosa, che indubitatamente è la più salda guarentigia di sapiente e virtuoso indirizzo dato alla vita? Non è crudeltà pretendere che questi fanciulli crescano senza idee e sentimenti di religione, finché sopravvenuta la fervida adolescenza si trovino in faccia a lusinghiere e violente passioni, disarmati, sprovveduti d’ogni freno, colla certezza di venire travolti nei lubrici sentieri del delitto? È una pena pel Nostro cuore paterno vedere le lagrimevoli conseguenze di quella sconsigliata deliberazione: e la Nostra pena s’inacerbisce, considerando che oggi sono più che mai forti e numerosi gli eccitamenti ad ogni sorta di vizi. Ella, Sig. Cardinale, che per l’alto suo ufficio di Nostro Vicario seguita da vicino lo svolgimento della guerra che nella nostra Roma si muove a Dio ed alla Chiesa, sa bene, senza che Noi ci tratteniamo a parlarne lungamente, quali e quanti siano i pericoli di pervertimento che incontra la gioventù: dottrine perniciose e sovversive di ogni ordine costituito, audaci e violenti propositi a danno e scredito d’ogni legittima autorità; finalmente l’immoralità, che senza ritegno procede sviatamente per mille vie a contaminare gli occhi ed a corrompere i cuori. Quando questi e somiglianti assalti si danno alla fede ed al costume, ciascuno può farsi ragione quanto opportunamente siasi scelto il momento per cacciare dalle pubbliche scuole la religiosa educazione. Si vuole per avventura con queste disposizioni, invece di quel popolo romano, che per la sua fede si celebrava in tutto il mondo fin dai tempi apostolici, ed era fino ai nostri giorni ammirato per l’interezza e la religiosa coltura dei suoi costumi, formare un popolo senza religione, dissoluto, e condurlo così a condizione di barbaro e di selvaggio? Ed in mezzo a questo popolo, con insigne slealtà pervertito, come potrebbe il Vicario di Gesù Cristo, il Maestro di tutti i fedeli, veder riverita la suprema sua autorità, tener con onore l’augusto suo Seggio, e attendere rispettato e tranquillo alle incombenze del suo Pontificai ministero? Ecco, Sig. Cardinale, la condizione, che in parte Ci si è già fatta e che Ci si apparecchia nell’avvenire, se Iddio pietoso non vorrà porre un limite a questo incalzare di attentati, l’uno più riprovevole dell’altro.
Ma finché la Provvidenza per i suoi giudizi adorabili lascia che duri questa prova, se non è in Nostro potere di mutare la condizione delle cose, è però debito Nostro di fare ogni sforzo per addolcirla, e perché tornino meno sensibili i danni. Quindi è d’uopo, che non pure i Parrochi raddoppino di diligenza e di zelo nell’insegnamento del Catechismo, ma che si supplisca con nuovi ed efficaci mezzi al vuoto che si fece per colpa altrui. Non dubitiamo che il clero di Roma neppur questa volta verrà meno ai sacri doveri del suo sacerdotal ministero, e si adoprerà con le cure più affettuose a preservare la romana gioventù dai pericoli che minacciano la sua fede e la sua moralità. Siamo certi altresì che le cattoliche Associazioni, fiorenti in questa Città con tanto profitto della religione, concorreranno con tutti i mezzi posti nelle loro mani alla santa impresa d’impedire, che quest’alma Città, perdendo il carattere sacro ed augusto di religione e l’invidiato vanto di essere la città santa, addivenga vittima dell’errore e teatro d’incredulità. Ed Ella, Sig. Cardinale, colla sagacia e colla fermezza, onde va adorna, procuri che si accrescano gli oratorii e le scuole, dove si raccolgano i giovanotti per essere istruiti intorno alla santissima Religione cattolica, nella quale per insigne grazia del cielo son nati. Cerchi, secondo che già si fa con buon frutto in qualche chiesa, che virtuosi e caritatevoli Laici, sotto la vigilanza di uno o più Sacerdoti, prestino l’opera loro per insegnare il catechismo ai fanciulli; e procuri che i genitori siano dai rispettivi Parrochi esortati ad inviarvi i loro figliuoli, e che sia loro ricordato anche il dovere, che a tutti incombe, di esigere nelle scuole pei proprii figli l’istruzione religiosa. Gioveranno altresì i catechismi agli adulti da stabilirsi nei luoghi, che si crederanno più acconci, affine di mantener sempre vivi negli animi i salutari ammaestramenti, che appresero sin da fanciulli. Non lasci giammai di rinfuocolar la pietà, e di avvivare sempre meglio l’impegno dei Sacerdoti e dei Laici, ponendo loro sott’occhio l’importanza dell’opera, i meriti che si acquisteranno presso Iddio, presso Noi, e presso l’intera società. Faccia altresì loro intendere, che Noi Ci studieremo di tenere nella dovuta considerazione i più operosi.
Non Ci sfugge da ultimo che a riuscire meglio nel Nostro intendimento occorre anche il sussidio dei mezzi materiali, i quali non rispondono in proporzione ai bisogni. Ma se Noi costretti a vivere dell’obolo dei fedeli, posti essi stessi in grandi angustie per i tempi che corrono torbidi e luttuosi, non potremo largheggiare quanto vorrebbe il Nostro cuore, non lasceremo però di fare tutto quel più che Ci sarà consentito, per istornare il danno che dalla negletta educazione religiosa viene prima al fanciullo, e poi alla stessa civile società.
Del resto a tutti i disegni e sollecitudini Nostre è necessario mandare avanti l’invocazione del divino aiuto senza del quale è vana ogni speranza di riuscimento felice. Ci rivolgiamo pertanto a Lei, Sig. Cardinale, raccomandandole caldamente che esorti il popolo romano ad innalzare a Dio Signor Nostro fervide preghiere, che in questa santa Città mantenga intera la luce della fede cattolica, che pretenderebbero d’oscurare o spegnere affatto le sette ereticali accolte ad onore, e l’empietà, cospiranti insieme a rovesciare la fermissima Pietra, contro la quale, siccome è scritto, le porte dell’inferno non prevarranno. Nel cuore dei Romani è antica la devozione verso l’Immacolata Madre del Salvatore; ma adesso, incalzando vieppiù il pericolo, ricorrano e più spesso e con ardore più intenso a Lei, che schiacciò il serpe e vinse tutte le eresie. Nei giorni che riconducono la memoria solenne dei gloriosi Apostoli Pietro e Paolo, si prostrino riverenti nelle loro Basiliche, e li scongiurino ad intercedere presso Dio per la Città che santificarono del proprio sangue, e che lasciarono depositario delle loro ceneri, quasi a pegno della loro incessante protezione. Facciano dolce violenza di suppliche ai celesti patroni di Roma, i quali o col sangue, o colle opere del ministero apostolico, o coi santi esempi rendettero più ferma nel cuore dei loro Padri la fede che si vorrebbe strappare dal seno dei figli; e Dio si muoverà a pietà di noi, ne lascerà che sia fatta ludibrio di uomini malvagi la sua religione.
Intanto riceva, Sig. Cardinale, l’Apostolica Benedizione, che dall’intimo del cuore impartiamo a Lei, al clero, ed a tutto il Nostro dilettissimo popolo.
Dal Vaticano, li 26 Giugno 1878.