Invito a Lesbia Cidonia ed altre poesie/Ottave

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Ottave

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La fabbricazione degli istromenti de' martirii Adamo scacciato dal Paradiso terrestre
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OTTAVE.


Quel dì, Musa, rimembra, in cui sospinto
Fuor dalla patria terra in strania parte,
Vidi in vere sembianze quel che finto
4Altri chiama da te, da tua bell’arte.
Tu fa che sia per me così dipinto,
Che il ver credenza acquisti a parte a parte;
E quel che suona ne’ tuoi detti ciliari
8Dileggiar no, ma venerar s’impari.

Ben tu in guise favelli al volgo ascose,
Ma sempre il vero in sacri accenti veli;
Chè non vuoi tu, che tue sublimi cose
12Un vil dispregiatore occhio disveli.
Però di tue ricchezze prezïose
A saggio sguardo avvien nulla si celi:
Ch’egli li arcan del ver gusta e penetra
16Ne’ dolci carmi di tua bella cetra.

D’Olimpo monte nobil fama suona
Nelle pagine sacre de’ poeti;
Non men che di Parnaso e d’Elicona,
20O d’altri d’onor molto adorni e lieti:
Che il ciel sostenti, e al capo suo corona
Compongono le stelle ed i pianeti;
E lasciati sull’imo e nubi e venti,
24Entri del sol ne’ circoli lucenti.

Io quivi dal desìo, ch’oltre gran tratto
Può greve soma sollevar sull’ali.
Venni portato a voi celere e ratto,
28Com’escon d’arco li pennuti strali.
Il bel monte a mirar, che sopra fatto,
Sta l’aria bassa e la region de’ mali;
E dissoggetto a misere vicende,
32Al turbo sopra e a la tempesta ascende.

Tu fosti meco, o Musa, a la salita,
E invisibil parlasti a’ pensier miei:
E mi hai scoperto alti mister di vita.
36Poichè d’ogni scïenza arbitra sei.
Tu mi dicesti, che Bontà infinita
A mortali consente iniqui e rei
Qui sormontar de le procelle il flutto.
40Che contro dessi uscì dal primo frutto.

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Miser chi sceglie di restar quaggiuso,
Per ostinato amor di sua condanna;
E l’ale avendo di salir lassuso
44Vuol quell’aura abitar che si l’affanna!
Di Lete il miser ha sopore infuso;
Sogno infernal con vane ombre l’inganna:
Da l’ultimo dei mal chi l’assecura,
48S’egli a mina sua primo congiura?

A piè del monte in ogni lato intorno
Amplissima si stende orrida selva,
In cui teme d’entrare il puro giorno;
52Sol fioca e smorta luce qui s’inselva.
Al suo barlume appare aver soggiorno
E tana quivi ogni più cruda belva.
Mille facce crudeli e mille mostri,
56D’unghie armati, di corna e zanne e rostri.

Con faville focose il drago fischia;
Mugge orribil leon da cavo speco;
L’aspide di veleno il suolo invischia;
60Fulmina il basilisco il guardo bieco;
Il lupo col cinghial fa cruda mischia;
Già stanca d’ulular si sente l’eco:
Non son per tutto il bosco a correr tardi
64Orsi, pantere, tigri e leopardi.

Di questa selva in sulla nuda sabbia,
Nudo esce all’aria ogni mortal che nasce.
Quivi nate al dolor schiude le labbia,
68E del pianto d’Adam riga le fasce;
Se cresce, pur si duol che in dura gabbia
Chiuso è con tante fere: e se d’ambasce
Non muor, viver lo fa destin peggiore,
72Perchè duri più lungo il suo dolore.

Con l’animo di duol trafitto ed egro,
I crudeli pericoli mirava.
Sorgea col viso affumicato e negro,
76Il cornuto Demon da bassa cava:
Fuora repen lo in torte spire integro,
Della coda lo strascino tirava.
Ei viene, e punge, e stuzzica ogni belva,
80A più danno dell’uom, nell’ampia selva.

Qui fu ch’io vidi ed unghie agute e scane
Mille, in un tempo, ai miseri avventarsi;
E tornar rosse dalle membra umane,
84E rosso il suolo in vaste macchie farsi,
Chi fugge orsa crudel che non lo sbrana.
Di morso viperin sente gelarsi;
E va a trovare ampio dragon da l’ale
88Col tossico, colui che un albor sale.

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Così i nocchieri nell’oceano perdono,
In notte involti, a mezzodì le tracce:
Veggon la morte, e invan grida disperdono,
92Alzando al sordo ciel le bianche facce:
Or sale il flutto agli astri e ne rinverdono;
Or par che aprir l’Inferno a lor minacce;
Or fuggono la morte, ed or la chiamano:
96Che di fuggir da tante morti bramano.

E perchè sia più vasta e più sicura
La strage, di sua bocca apre la puzza;
E vomita il demon nube si oscura,
100Che i pochi rai del dubbio di rintuzza:
Via non trova alla fuga la paura.
Che invano per veder l’occhio s’aguzza:
L’aria mena tempesta; e van mugghiando
104Fulmini e venti; e cade orrida grande.

Di mezzo al sen de le tenebre orrende,
Vivida luce all’occhio allor mi giunge.
Cessa e ritorna, e a spessi lampi fende
108L’orror che dietro lei si ricongiunge:
Qual fuor de la campal polvere splende
Brunito acciar’ e guerra annunzia lunge.
M’accosto al lume: e veggo avvolto in esso
112Uom che a fuggir la selva rea s’è messo.

Ha scudo in man di solido adamante;
E con quel, giorno fa dove lo gira:
Con quello il buon cammin scopre d’avante;
116Con quel de’ mostri copresi dell’ira:
Muove al fuggir quanto più può le piante;
E sul vicino Olimpo si ritira;
Ma tal gli fanno i mostri aspra battaglia,
120Che avrà molto a sudar prima che saglia.

Fuor che lo scudo arme non ha d’intorno,
Con che difenda sè, con che ferisca;
E benchè ov’ei rivolge il vivo giorno,
124Abbagliato ogni fer cada e languisca;
Pur tanto fan di qua di là ritorno
I mostri a lui, che assai la vita arrisca:
Spesso con quello ancor egli ha percosso,
128E fatto l’ha di brutal sangue rosso.

Onde segue minore il chiaro effetto,
Quando lo volge ad abbagliar le viste;
Però a percoter più si vede astretto,
132Che omai ciascuno al lume suo resiste.
Il diamante durissimo e perfetto
Fa sempre al suo cader le belve triste;
E dopo molti colpi par che un poco
136Siasi sgombrato in quella parte il loco.

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Ma ahimè! ch’io veggo, a quel sanguigno lume,
Un ceffo di leon che a lui sen viene.
A la bocca gli bollono le schiume;
140Scuote la giubba e le torose schiene.
Che far? Se egli a fuggir non ha le piume;
Se di sudor, se di stanchezza sviene.
Non che coll’adamante or abbia lena
144A portar alla bestia acerba pena.

Presso è il crudel che l’ha veduto e gode,
Tutta aprendo ver lui la gola ingorda:
Rizza la chioma, e corre, e ruggir s’ode,
148Qual tuon che il cielo e le campagne assorda.
Pur anco in senno è l’uom, si che a le sode
Piastre qui gli sovvien la macchia lorda
Levar; e in fretta il manto in man si tolle,
152Che a tempo di sudor tutto esce molle.

Terge la liscia gemma colla veste,
E quella facil torna ai primi lampi:
Poi la volge al leon con mano presta.
156Che già gli avea quasi levati i scampi.
L’abbagliante fulgor si lo molesta,
Che par che crolli e dubbie l’orme stampi:
Già cade al suolo; e (o rara meravigliai!)
160Nuove sembianze e nuova forma piglia.

Qual nel suo nido, l’unica fenice
Del sol si rinnovella a’ caldi rai;
Augel ch’essere al mondo ognuno dice,
164Dove si trovi alcun non seppe mai.
Dal cenere fecondo, il raggio elice
Verme diverso da la madre assai;
Ma anch’egli veste già piumoso velo,
168E altra e istessa ne va fenice al cielo.

Non altrimenti, al chiar di quello scudo.
L’orrido bruto trasformarsi vedi.
Capo uman con celata il muso crudo
172Ti appar, che quasi all’occhio tuo non credi
Tutto d’acciar si veste il dorso nudo.
Un uom s’è fatto; ed è guerriero in piedi:
Ma non nemico più; che fa il comando
176Or de l’altr’uomo, e per lui stringe il brando.

Guerriero ora non è terribil meno
Di quel che fu leon: sol si soggetta
A chi il trasforma, obbediente appieno;
180E fa di lui, sugli animai vendetta.
Quello i nemici suoi scopre al baleno,
E questo i colpi de la spada affretta:
Portan sul monte entrambi uniti il passo,
184E lascian l’atra selva e l’aer basso.

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Io pur li seguo. Il dir lungo sarìa
Tutte le memorande loro imprese,
Onde al monte divin s’aperser via,
188Ed ebber mille bestie a terra stese.
Ma impazïente l’animo desia
Rimembrare il dolcissimo paese
La sublime region ch’anime serra.
192Benchè figlie d’Adam, felici in terra.

Nel passar da quel fosco all’aer puro,
Prima si mira delle nubi il nido;
Vasto antro aperto dentro il fianco duro
196D’Olimpo; quinci vanno ad ogni lido.
Di Noto e d’Aquilon mostre ne furo
Le chiuse stanze. Indi si sente un grido
Cupo, uno scroscio di catene scosse;
200E sibilare il suon d’alte percosse.

Chiusa nel nero suo manto la notte,
Qui aspetta che all’Occaso il dì si meni,
Qui odoran zolfo le petrose grotte,
204Ove s’aggruppan fulmini e baleni;
Qui grandin, pioggie e nevi son ridotte,
Congregazioni immense in vari seni:
Se n’empion quindi l’ampie nubi, e vanno;
208E d’esse, o tristo, o lieto il mondo fauno.

Lo sguardo allor giù volsi, e vidi i regni,
E le terre giacenti de’ mortali.
Regni non di piacer, ma d’ire e sdegni,
212D’odio, d’invidia e d’infiniti mali;
Onde sul capo lor piombano i degni
Giusti supplizi, e morte affretta l’ali.
Passan ira colpe e fra castighi, intanto
216Gli uomini i di, non mai voti di pianto.

Gli occhi tergeami di pietà compunto;
Poi di novo rivolsi i passi all’alto.
Cinger il monte apparvemi in quel punto
220Un muro impenetrabile di smalto:
Di guerrier su la porta un stuol congiunto
D’ogni fiero animal chiude l’assalto.
Quel che avea l’arme, e fu leone in pria,
224Qui stette: noi seguimmo entro la via.

Ecco il beato regno della pace:
Ecco il bene del ciel disceso in terra.
Quivi hanno a’ suoi desir tregua verace
228Chi alle bestie del bosco han fatto guerra.
Quanto l’alma rallegra, e quanto piace,
Entro a questo confin tutto si serra.
È bella la campagna oltre il costume:
232E bellissimo è l’anno e ’l cielo e ’l lume.

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A quel prode, ch’io tacito seguiva,
Allor mi volsi, e dissi: Oh te beato,
Che non solo a mirar l’aura giuliva
236Sei, come par, ma ad alitarla entrato;
Ringrazia chi ti die la luce viva.
Ben ti fu allor propizio il cielo e ’l fato!
Deh come, in quella selva d’ogni guai,
240Dïamante si bel trovasti mai?

A tutti, in volto umano a dire ei piglia,
Simil scudo laggiù dona e destina
La del volto divino inclita figlia,
244Che del nostro mortal siede regina.
Ma chi alle fiamme un pazzo error consiglia
Gittar la rara gemma peregrina;
E chi di fango e loto reo la copre,
248Raro addivien che bene uomo l’adopra

Si disse: e poi sen gio dove l’aspetta
Di fortunati eroi lieta compagna,
Posata in grembo de la molle erbetta;
252Gente fedel che mai non si scompagna.
Del sommo Olimpo qui piana è la vetta;
E sopra la amenissima campagna,
La coppia a larga man comparte e dona
256Tutti i tesor di Flora e di Pomona.

Augei dipinti dei color dell’Iri
Gorgogliando sen van di fronda in fronda;
Ora intreccian nell’aria mille giri.
260Or calan dove ha più di tior la sponda.
Qui aprendosi cammin fra bei zeffiri,
Di nettare e di mel fluisce l’onda;
Al ventilar dell’aure in lago pieno.
264L’ambrosia increspa l’odoroso seno.

Mille albe li gentili, a rami chini,
I pomi d’oro già maturi porgono:
Nè temon restar nudi, chè vicini
268A questi verdeggianti altri ne sorgono.
Sbuccian dal melo punico i rubini:
Di novi frutti intanto i fior si scorgono:
Tinte in grana di ciel l’uve rosseggiano;
272E nuovi grappi i primi grappi ombreggiano.

Senza spin verginella esce la rosa,
E timidetta s’apre in poche strisce;
Poi la corona sua spiega pomposa,
276E a lume pien farsi mirare ardisce:
Nè allor che il sol dal corso in mar si posa,
Languida si discioglie o scolorisce;
Ma intatta cade, e al suolo infiora il manto:
280Altra ne sorge più leggiadra intanto.

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Ride il ligustro: ma l’antico duolo,
Scritto ancora nel sen porta Giacinto;
Minute violette umili il suolo
284Hanno qua e là di porpora dipinto:
Alza il candido crin sopra lo stuolo,
Di verginali onori il giglio cinto:
Bella rassembra Clizia in volto esangue;
288Ma Cariofillo gocciola di sangue.

Quanti altri fiori, e quanti, il vago piano
Ornano a la bellissima contrada!
Gli innaffia Aurora colla rosea mano
292De le stille di sua dolce rugiada:
Nè qui a’ frutti verun giudichi strano,
Chè la stagion de’ fiori unita vada:
Chè questi colli del piacer governa
296Autunno e Primavera in lega eterna.

Nè mancano, se brami, amene valli
Di fresco orezzo e di solinghe vie.
Qui per il musco, liquidi cristalli
300Scendon da l’alte lor rupi natie:
Spine non hanno, o fiere belve i calli:
Nè alcun’ombra funesta asconde il die.
Lusinga l’aura mormorante e pura
304Il sonno e la mollissima verdura.

Quivi han cittade i prodi eroi, qui ville,
Qui palagi d’eccelsi e fini marmi:
I sonni lor non rompono le squille
308Belliche, ed è qui ignoto il suon dell’armi:
In belle opre d’onor l’ore tranquille
Passano, e in feste ed in perpetui carmi.
Di sincero piacer l’anima è lieta,
312E godono il favor d’ogni pianeta.

In così amena piaggia il lor destino
Aspettan l’alme elette a eterna vita;
Chè qui sorge la scala al ciel vicino,
316Breve a salir quando lo sposo invita.
Ma già mi sento ii natural confino
Varcar col volo della voce ardita;
Però le piume fervide raccolgo.
320E d’onde son partito in giù mi volgo.