Invito a Lesbia Cidonia ed altre poesie/Sonetti filosofici
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SONETTI FILOSOFICI.
(recitato nell’accademia degli eccitati in bergamo li 19 luglio 1789.)
Il tema del quale era: Ut pictura poësis erit.
Veggio, il veggio, o Maron, quel tuo Polite
Correr per gli atrj mille giri, e mille;
E, sitibondo delle regie vite,
Presso anelargli il rio figliuol d’Achille.
Veggio il rosso ruscel di sue ferite
Al lume dell’Iliache faville:
Veggio fra l’ira e la pietà smarrite,
Morte spirar di Priamo le pupille:
E il caldo acciar che contro il Re si volta;
E nel sangue del figlio il piè che trema;
E la man greca al crin canuto avvolta.
Orror mi stringe gli occhi: invan; che intanto,
Più che pennel, quell’atra notte estrema
All’attonito cor dipinge il canto.
I pesci.
Tu pur che cingi, ampio elemento infido,
La ferma Terra; e nel tuo centro stai,
Senza tregua agitando al vento vai
Il sen, di mille vite albergo e nido.
Che se de’ flutti con orrendo grido,
A periglio dell’uom ti levi mai;
Ben da tue furie i figli asconder sai
Nei cavernosi sen tra lido e lido.
Sol tra sè stessi a divorarsi intenti
Vivon. Nè però alcuna il muto impero
Di tante spezie sue perder paventi.
Ch’oltre ogni uman pensier fece feconde
Le umide spiagge, allor che il dì primiero
L’eterno Spirto riposò sull’onde.
I consoli aratori.
Queste man rozie ed incallite, e piene
Della polve di rustica fatica,
Pria che tu spregi, lascia ch’io ti dica,
Se onorar tu le puoi quanto conviene.
Questo, onde illeso ancor traluce, e viene
Lume di nobiltà verace antica;
Spesso in pugna atterrar squadra nemica,
E la patria salvar dalle catene.
Queste, in cui Roma volle il fren deporre,
Intiman legge a Lei, che già s’accinge
Leggi, per opra d’esse, all’orbe imporre.
Forti il vizio domar che Roma stringe;
Forti l’oro a sprezzar, più che a raccorre:
L’oro, che più del fango imbratta e tinge.
La storia corona un buon re.
Nell’Accademia degli Affidati sopra la Storia.
Gran Re, che riverente il secol mira
Segnar di pace, e di giustizia i giorni;
E a noi discendi, e in un balen ritorni,
All’altezza ove l’aquila s’aggira.
Se sprezzi vil lusinga e suon di lira,
De’ raggi proprii al par del Sol t’adorni:
Al dolce freno, di che il cor n’attorni,
La consolata umanità respira.
Verrà, verrà, della fedele Istoria
Non istrutto a mentir l’eterno suono;
E porterà nel ciel di te memoria.
Pronto l’ardir: pronte le trombe sono.
Quanti regi arderan de la tua gloria!
Quanti n’invidieran l’ombra del trono!
I pensieri.
Onde, o pensier diversi.
Nascete; e quai color mille vestite?
Chi vi spinge, o perversi
Indocili fratelli, a tanta lite?
Ora lucenti e tersi,
Più d’Icaro superbi al ciel salite;
Or da Aquilon dispersi,
Cader vi veggo alla magion di Dite.
Chi dell’amor col foco,
E chi dell’ira armato in campo viene;
A voi del coro il vacuo immenso è poco.
Perfidi, chi v’induce
Un crudo gioco a far d’ogni mio bene;
E quel sen lacerar che vi produce?
Ai pensieri.
Onde, pensier, nascete? E quai diversi
Mille color dell’alma in sen vestite?
E chi vi spinge ad or ad or perversi,
Indocili fratelli a tanta lite?
Or su veloci penne, agili e tersi,
Più d’Icaro superbi, al ciel salite.
Or, come stormi da Aquilon dispersi,
Cader vi veggio alla magion di Dite.
Altri di gelo, altri di fiamma e foco,
V’armate, seguitando Amor per duce:
A voi del core il vacuo immenso è poco.
O perfidi pensieri, e chi v’induce
A far d’ogni mio bene un crudo gioco,
E quel sen lacerar che vi produce?