Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XIV

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CAPO XIV.

Belisario, guernite Napoli e Cuma, piglia la via di Roma; arrendimento de’ costei cittadini; descrizione della via Appia — I Gotti abbandonano la città; entrata in essa delle armi imperiali, e provvedimenti del capitano per sostenere un assedio.

I. Nel mentre che Vitige operava queste cose Belisario volgendo i suoi pensieri a Roma disponesi alla partenza, fidando Napoli alla custodia di trecento guerrieri presi tra’ fanti, e capitanati dal prefetto Erodiano: manda pure nel forte di Cuma tanta truppa, quanta giudica sufficiente a guardarlo; nè eranvi nella Campania, di Napoli e Cuma all’infuori, altri luoghi moniti. In quest’ultima città poi gli abitatori mostrano una [p. 75 modifica]grotta in cui al dir loro vaticinava la Sibilla Cumana, situata alla marina e lontana da Napoli stadj centoventotto1. I Romani all’avviso che Belisario metteva in punto l’esercito per la partenza, temendo incontrare sciagure simili a quelle di Napoli, dopo maturo esame, instigati soprattutto a comportarsi com’e’ fecero dal vescovo Silverio, deliberarono per lo meglio loro di accogliere le truppe imperiali entro le proprie mura. Laonde spediscono Fidelio originario di Milano, città della Liguria, ed assessore in prima di Atalarico (magistrato detto qnestore in lingua romana) a Belisario invitandolo nella città, colla promessa che avrebbongliela ceduta senza far pruova delle armi. Il duce condusse l’esercito per la via Latina2, lasciando a sinistra la Via Appia fatta accomodare, dandole il suo [p. 76 modifica]nome, da Appio console3 romano, nove cento anni prima. Voglionvi poi cinque giorni di spedito cammino a trascorrere questa via che da Roma procede sino a Capua, ed è sì larga per tutta la sua lunghezza da potervi a loro bell’agio passare due carra moventisi di fronte. Nè havvene altra più magnifica, sendo tutta lastricata di pietre molari durissime, le quali Appio fe di certo condurvi da qualche lontana cava, non avendovene di cosiffatte nel suolo vicino; ed appianate e riquadrate unìlle con arte somma insieme senza frapporvi metallo o altro cemento; eppur sono tuttavia sì legate e connesse tra loro, che al vederle diresti quella unione opera non dell’arte, ma della stessa natura. Ed avvegnachè per tanti secoli abbiano fornito il passo a gran numero di carra e somieri d’ogni maniera, serbano ancor nondimeno il perfetto ordine loro; nè appresentansene all’occhio di crepate o frantumate, e che più si è nulla hanno tampoco perduto della primiera nitidezza. Tanto è uopo sapersi della Via Appia.

II. I Gotti di presidio in Roma avvisati che procedevan oltre i nemici e consapevoli della intenzione del popolo erano costernatissimi, vedendosi non forti abbastanza da tenere in freno la città e da resistere in pari tempo ai venienti. Abbandonate pertanto quelle mura col pieno consenso de’ Romani ripararono tutti in Ravenna, ad eccezione del loro capo Leuderi, il quale mi do a credere si rimanesse per vergogna della presente sciagura. Nello stesso giorno pertanto mentre che [p. 77 modifica]Belisario coll’imperiale esercito entrava dalla porta nomata Asinaria, i Gotti uscivano per l’altra detta Flaminia4. Così fu riconquistata Roma nel dì nove dicembre e nell’anno undecimo dell’imperio di Giustiniano, correndo l’anno sessantesimo dall'epoca della sua caduta in nemiche mani. Belisario quindi mandò Leuderi comandante dei Gotti e le chiavi della città all’imperatore, e tutto applicóssi al risarcimento delle mura, per la maggior parte diroccate, costruendovi i merli foggiati ad angolo nell’estremità loro. V’aggiunse parimente dal sinistro lato un secondo bastione, affinchè i custodi non fossero da quivi esposti ai dardi degli assalitori, e circondollo di profonda e larga fossa. Per le quali cose andavano i Romani encomiando la provvidenza del condottiero ed il perspicacissimo ingegno suo, risplendente soprattutto nella forma di que’ merli; affliggevansi non di meno e si facevano di grandi maraviglie che fossegli venuto in mente di entrare in una città, nel dubbio d’esservi rinchiuso, incapace di sostenere un assedio tanto per la malagevolezza d’introdurvi i bisogni della vita, quanto per la enorme circonferenza delle sue mura, e per la sua posizione sopra un pianissimo suolo, il quale di per sè dà facile accesso agli assalitori. Il duce imperiale avvegnachè informato appieno d’ogni loro diceria condusse a termine quanto era mestieri per non temere un assedio, e tenne ascoso ne’ pubblici granai il frumento portato seco dalla Sicilia. Volle di più che i Romani, sebbene a loro malincuore, facessero venire in città l’annona messa in serbo nelle proprie campagne.

Note

  1. Stadj cento ventiquattro, che sono miglia sedici al modo romano, ha l’Egio.
  2. Questa via cominciava dall’Appia, presso la città di Casilino, distante diciannove stadj da Capua, e da lei disgiungevasi inclinando a sinistra, mentre era tuttora vicina a Roma; poi valicava il monte Tosculano, fra la città di Toscolo e il monte Albano, discendeva alla piccola città d’Algido ed alla stazione di Picta; quindi si univa alla via Livia, la quale cominciava dalla porta Esquilina, d’onde movea anche la via Prenestina: ma lasciando poi a mano manca così quella strada come il territorio Esquilino procedeva per più che centoventi stadj, e dopo essersi avvicinata all’antico Lavico, castello diroccato sopra un’altura, sel lasciava a destra insieme con Tosculo, e finalmente a Picta si confondea colla via Latina, lontano da Roma dugento dieci stadj. (Strab. lib. 5, pag. 64.)
  3. Dovrebbesi leggere censore.
  4. L’anno 536 dell’Era volgare.