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Istoria delle guerre gottiche/Libro quarto/Capo XXIV

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CAPO XXIV.

Nella Sicilia valorose gesta di Artabano a pro de’ Romani. Vani esperimenti de’ Gotti per riappattumarsi coll’imperatore. Felici imprese dei Franchi nell’Italia. — Leonzio imperiale ambasciatore a Teudibaldo di Teudiberto. Dicerie d’entrambi. — La Corsica e la Sardegna in potere dei Gotti. Nella prima delle isole uomini e cavalli di piccolissima taglia.

I. In questo mezzo le romane cose nella Sicilia procedevano dei seguente modo: Giustiniano [p. 534 modifica]richiamato Liberio in Bizanzio conferì la capitananza delle truppe dimoranti nell’isola ad Artabano, il quale assediatevi tutte le guernigioni de’ luoghi forti e vinti quelli che facevansi assalitori, costrinseli per estrema penuria di annona a deporre le armi. Tanto bastò perchè al nemico, sfiducciato e forte ancor lamentando la strage tocca nella pugna navale, invilisse l’animo di continuare la guerra, disperandone affatto, e si destasse nella mente il pensiero che, dopo le gravi perdite ed ignominiose sconfitte riportate, ei più non avrebbe potuto al sopraggiungnere di nuovi aiuti ai Romani resister loro un attimo di tempo, e rimanere nell’Italia. Era inoltre vana ogni speranza di composizione con Augusto; essendo che mandatigli spesso ambasciadori da Totila, i quali di presenza esponessero come il più dell’Italia fosse in potere dei Franchi, poco meno che tutto il resto, colpa la guerra, desolato, ed il Gotto pronto a cedergli la Sicilia e la Dalmazia, unico suolo non travagliato dalle comuni sciagure, coll’obbligo di farsi tributario di annuaria pecunia a compensagione di quanto riterrebbe, con promessa in fine di addivenirgli aiutatore in guerra ed onninamente suggetto, Giustiniano fermo nel niego aveali accommiatati, della gottica genia udendo a malincuore lo stesso nome, e bramoso nell’animo suo che non ve ne avesse più traccia nell’impero; così le siciliane faccende.

II. Leonzio pervenuto alla corte del Franco dicea: «Hannovi per ventura di tali cui manda il fato mai più attese vicende; con tutto ciò sono d’avviso mancare l’esempio che ad altri accadesse quanto ebbero i [p. 535 modifica]Romani a sofferire da voi. Ed a provarlo ricorderò che Giustiniano prima di romper guerra ai Gotti volle dai Franchi promessa d’aiuti, dando loro a titolo di amicizia e lega sovrabbondante danaro. Ma eglino, anzichè parte alcuna compiere delle contratte obbligazioni, di tante ingiurie ne arrecarono quante non potrebbonsi tampoco di leggieri imaginare. Tuo padre Teudiberto, a dirne, punto non si ristette dall’occupare violentemente e contro ogni diritto le provincie da Giustiniano ricondotte senza l’opera vostra, con molta fatica e gravissimi pericoli, compagni indivisibili delle armi, alla sua obbedienza. Ma lasciate da banda simili querele ed accuse ora a te mi presento per chiedere e proporre cose a voi stessi vantaggiosissime; affinchè provvediate in ottima guisa alla felicità vostra, nè vi opponiate a quella de’ Romani volendosi d’altronde convenire che gli ingiusti possedimenti, datone pur comunque tu vuoi il poco spogliato d’ogni lor patrimonio eziandio i forti e potenti usurpatori, ben rara essendo la unione della prosperitade e dell’ingiustizia. Chieggoti pertanto che parteggi con noi in questa guerra contro a Totila, e purghi così da ogni reato il genitore; alla vera e legittima prole soprattutto addicendosi il fare ammendamento delle colpe di lui, ed il rendere fermo e costante ogni ottimo suo precetto, il primo desiderio dei sapientissimi personaggi essendo quello di lasciare una discendenza imitatrice delle onorate azioni di cui eglino stessi riportarono somma lode; che se per lo contrario tal fiata [p. 536 modifica]avessero sconsigliatamente operato, la prole, non altri, è d’obbligo di apporvi riparo. Sarebbevi di più tornato bene anche non richiesti il confederarvi co’ Romani per debellare i Gotti vostri nemici di antica data, misleali, ed avvezzi ad assalirvi con obbligato ed inespiabile odio. Questi ora sbigottiti non rifiutansi di careggiarvi; ma finito ch’e’ s’abbian con noi mostreranno prontamente l’animo loro verso le genti vostre. I malvagi alla buona fe non cangiansi di proposito nè favoriti da seconda fortuna, nè da contraria oppressi; li vedi ben sai nelle sciagure dissimulare con arte bellissima ed in ispecie coi prossimani se bisognosi del costoro aiuto, costretti in allora d’infingersi ad essi. Fattivi pertanto a ponderare le addotte cose non dubiterete un istante dell’utile vostro amicandovi l’imperatore, prendendo seco vendetta, come potrete il meglio, di chi aveste a patire sì lungamente gli oltraggi.» Di questo modo parlò Leonzio, e Teudibaldo rispondeagli. «Non avrebbevi giustizia nè equitade in noi se tenessimo l’invito a confederarci con Giustiniano per guerreggiare i Gotti. Eglino sono già nostri amici, laonde mancando loro di fede non serberemmola neppure a voi; essendo che l’uomo giunto a contaminarsi di turpissima frode raro si può rattemperare dalla trasgressione dei proprj doveri. Quanto poi a’ luoghi da te ricordati bastimi dire che mio padre, Teudiberto, non ebbe unqua in animo di fare oltraggio a chicchessifosse de’ prossimani e di usurpare l’altrui, e chiaro argomento ne fia il non avermi lasciato grandi ricchezze. Nè [p. 537 modifica]tampoco egli armata mano vi privò di quei dominii, cedutigli manifestamente dal re gotto lor possessore; mercè di che ben si conveniva ad Augusto l’applaudire ai Franchi, non potendo noi a meno di allegrarci in mirando il nostro rapitore spogliato de’ suoi mali acquisti, nella persuasione ch’egli a diritto paghi il fio delle commesse violenze; se pure non invidiamo lor buona sorte a chi prendono a vendicarci, e vogliamo giustificare i nostri nemici approvandone le difese col proposito, come pur troppo è in usanza, di procacciare malevoli a chi ne giova. Possiamo del resto sommettere entrambi ad un arbitrato le nostre contese, acciocchè i Romani, se favoriti dalla sentenza, abbiano issofatto a ricuperare il tolto loro ingiustamente; nè guari andrà che manderemo a Bizanzio per comporre simiglianti alterchi». Leonzio ebbe di questo modo commiato, e quindi un’ambasceria di quattro individui, essendone capo un Leudardo franco di schiatta, pervenuta colà e presentatasi all’imperatore eseguì con ottimo successo la sua mandata.

III. Totila voglioso di occupare le isole vicine all’Africa ragunò a fretta un’armata di mare, e postavi sopra la soldatesca necessaria all’uopo le ordinò di spiegare le vele. Questa innanzi tutto afferrato alla Corsica ne fece la conquista senza opposizione, e quindi v’aggiunse la Sardegna, rendendole così ambedue tributarie de’ Gotti. A tal nuova Giovanni, maestro de’ militi per l’Africa, spedisce ver l’ultima altr’armata di mare con truppe, le quali di poi accostatesi a [p. 538 modifica]Cagliari città e messo il campo s’apprestavano ad un assedio, estimando lor forze insufficienti a tentarne le mura guardate da copioso presidio. Questo conosciutine i divisamenti le assale, e fugatele a suo bell’agio con improvviso attacco molti ne uccide; i salvi allora tornati alle navi dirizzarono poco stante lor prode a Cartagine per vernarvi, e proseguire sul far di primavera con maggiore apparato la guerra contro le prefate isole. Nell’una di esse, già nomata Sardo e detta ora Sardegna, crescevi un’erba apportatrice all’istante di mortal convulsione a chiunque ne gusta, e le sue vittime partonsi di questa vita con tutte le apparenze d’incessante riso, che ha comune coll’isola il nome, sardonico detto. Nella Corsica poi, un tempo Cirno, vedrai la umana specie abbondar di nani, e mandrie di cavalli ben poco delle pecore superiori in grandezza; or basti il poco narrato di esse.