Istoria delle guerre vandaliche/Libro primo/Capo XXI

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CAPO XXI.
Taglia di Gilimero sopra le teste de’ romani soldati — Valore di Diogene — Mura di Cartagine ristaurate da Belisario.

I. Gilimero, sendo Belisario padrone dell’Africa, tirò i costei villani dalla sua, e col danaro e co’ bei modi persuaseli ad ammazzare tutti i romani soldati a cui s’avvenissero, promettendo un aureo di guiderdone per ogni testa che fossegli presentata. E quelli accopparono molti dell’imperiale esercito, non però guerrieri, ma bagaglioni e saccardi, tendendo loro insidie mentre che vedevanli sbandati ne’ villaggi d’intorno a raccorne preda, e portandone i capi spiccati dall’imbusto al Vandalo ricevevano la promessa mercede, tenendo costui gli uccisi veri soldati e non già servi di truppa.

II. Fra questo mezzo Diogene, lancia a cavallo di Belisario, fe azione meritevole di ricordanza. Egli mandato con ventidue cavalieri pavesai ad esplorare il nemico arrivò in tal villaggio posto a due giornate di cammino dalla capitale; i terrazzani lo seppero, nè credendosi ben forti per assalirli di per sè, rendonne avvertito Gilimero, il quale subito vi spedisce trecento scelti cavalieri, perchè venissero arrestati e condotti al suo campo vivi. E però sorprendente come riuscisse colui alla testa di soli ventidue pavesai a torsi d’impaccio in virtù del seguente artifizio. I Romani raccoltisi in certa casa vi passavan dormendo le ore notturne [p. 379 modifica]entro una camera nel piano superiore, ed in piena sicurezza, credendo il nemico ben lunge; ma questo arrivato col nuovo dì e prima dell’aurora nel villaggio, non opinò impresa certa il gittare a terra l’uscio dell’abitazion loro per sorprenderveli, paventando non venuti alle mani in tanta oscurità e’si trucidassero a vicenda, piuttosto che menar colpi contro l’assalito, il quale avrebbe così agio e tempo di campare la vita; rimestavano però tai cose per ascondere la dotta loro di azzuffarsi co’ nostri, potendo per lo contrario assai bene, muniti di fiaccole, impossessarsi d’uomini lontani da ogni sospetto e, che peggio, sì è, inermi, anzi nudi, stesi in terra, ed in profondissimo sonno avvolti; stabilito adunque di circondare unicamente l’abitazione attendono col numero maggiore a guardarne le porte. Se non che uno de’ Romani svegliatosi come per fatto rumore, sente i Vandali a bucinare tra loro ed un movere d’armi; nè sapendo congetturare che mai ciò fosse desta alcuni compagni e piglia a ragionarne insieme. In questa il duce stesso accortosi dell’agguato ordina a suoi di vestire chetamente le vesti, d’armarsi, di scendere nella corte e d’imbrigliare i cavalli; saltati quindi pian piano in sella per non dare il menomo indizio al nemico, soffermaronsi in bella ordinanza nell’androne, e spalancatone di poi l’uscio all’improvviso tutti di gran impeto ne balzano fuori. I Vandali correndo lor sopra con quante forze hanno li combattono, ma sempre indarno; imperciocchè i Romani cogli scudi riparavansi dalle frecce, e ributtavano a gara colle aste gli assalitori. Di tal guisa Diogene perduti [p. 380 modifica]soli due cavalieri si sottrasse al nemico; e’ tuttavia non ne uscì senza sangue avendo riportato una ferita nella mano sinistra, che gl’impedì l’articolazione del dito mignolo, e tre nel collo e volto, per le quali non guari dopo venne a morte.

III. Belisario poi, come accennavamo prima d’ora, rivolto ogni suo pensiero al restauramento delle mura, vi spese molto danaro cogli operai, scavatovi inoltre al di fuori un grandissimo fosso, lo munì di palancato e di fitti cancelli, portando a termine tutto il lavoro in così breve tempo da farne le meraviglie persino gli abitatori. Gilimero stesso quando fu condotto prigioniero in Cartagine approvò d’assai quell’opera, e non potè a meno di condannare la sua trascuratezza, ripetendo apertamente da lei tutte le sofferte sciagure.