Istorie fiorentine/Libro ottavo/Capitolo 28

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Libro ottavo

Capitolo 28

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Non furono ancora a Genova e in Toscana le cose quiete: perché i Fiorentini tenevano il conte Antonio da Marciano con gente alle frontiere di Serezana, e mentre che la guerra durò in Lombardia, con scorrerie e simili leggieri zuffe i Serezanesi molestavano, e in Genova Batistino Fregoso, doge di quella città, fidandosi di Pagolo Fregoso arcivescovo, fu preso con la moglie e con i figliuoli da lui; e ne fece sé principe. L’armata ancora viniziana aveva assalito il Regno, e occupato Galipoli, e gli altri luoghi allo intorno infestava. Ma seguita la pace in Lombardia, tutti i tumulti posorono, eccetto che in Toscana e a Roma; perché il Papa, pronunziata la pace, dopo cinque giorni morì, o perché fusse il termine di sua vita venuto, o perché il dolore della pace fatta, come nimico a quella, lo ammazzasse. Lasciò per tanto questo pontefice quella Italia in pace la quale, vivendo, aveva sempre tenuta in guerra. Per la costui morte fu subito Roma in arme: il conte Girolamo si ritirò con le sue genti a canto al Castello; gli Orsini temevano che i Colonnesi non volessero vendicare le fresche ingiurie, i Colonnesi ridomandavano le case e castelli loro: onde seguirono, in pochi giorni, uccisioni, ruberie e incendii in molti luoghi di quella città. Ma avendo i cardinali persuaso al Conte che facesse restituire il Castello nelle mani del Collegio, e che se ne andasse ne’ suoi stati e liberasse Roma dalle sue armi, quello, desiderando di farsi benivolo il futuro pontefice, ubbidì, e restituito il Castello al Collegio, se ne andò ad Imola. Donde che, liberati i cardinali da questa paura, e i baroni da quello sussidio che nelle loro differenze dal Conte speravano, si venne alla creazione del nuovo pontefice; e dopo alcuno disparere, fu eletto Giovanbatista Cibo, cardinale di Malfetta, genovese, e si chiamò Innocenzio VIII; il quale, per la sua facile natura, ché umano e quieto uomo era, fece posare le armi, e Roma per allora pacificò.