Istorie fiorentine/Libro primo/Capitolo 23

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Libro primo

Capitolo 23

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Stette la Italia quieta, tanto che successe al pontificato Adriano V. E stando Carlo a Roma, e quella governando per lo ufizio che gli aveva del senatore, il Papa non poteva sopportare la sua potenza, e se ne andò ad abitare a Viterbo, e sollecitava Ridolfo imperadore a venire in Italia contro a Carlo. E così i pontefici, ora per carità della religione, ora per loro propria ambizione, non cessavano di chiamare in Italia umori nuovi e suscitare nuove guerre; e poi ch’eglino avieno fatto potente uno principe, se ne pentivano, e cercavano la sua rovina; né permettevano che quella provincia la quale per loro debolezza non potevano possedere, che altri la possedesse. E i principi ne temevano, perché sempre, o combattendo o fuggendo, vincevono; se con qualche inganno non erano oppressi, come fu Bonifazio VIII e alcuni altri, i quali, sotto colore d’amicizia, furono dagli imperadori presi. Non venne Ridolfo in Italia, sendo ritenuto dalla guerra che aveva con il re di Buemia. In quel mezzo morì Adriano, e fu creato pontefice Niccolao III di casa Orsina, uomo audace e ambizioso; il quale pensò, ad ogni modo, di diminuire la potenza di Carlo; e ordinò che Ridolfo imperadore si dolesse che Carlo teneva uno governatore in Toscana rispetto alla parte guelfa, che era stata da lui, dopo la morte di Manfredi, in quella provincia rimessa. Cedette Carlo allo Imperadore, e ne trasse i suoi governatori; e il Papa vi mandò un suo nipote cardinale per governatore dello Imperio; tale che lo Imperadore, per questo onore fattogli, restituì alla Chiesa la Romagna, stata da’ suoi antecessori tolta a quella, e il Papa fece duca di Romagna Bertoldo Orsino. E parendogli essere diventato potente da potere mostrare il viso a Carlo, lo privò dello ufizio del senatore, e fece uno decreto che niuno di stirpe regia potesse essere più senatore in Roma. Aveva in animo ancora di torre la Sicilia a Carlo, e mosse, a questo fine, secretamente pratica con Pietro re di Ragona, la quale poi, al tempo del suo successore, ebbe effetto. Disegnava ancora fare di casa sua duoi re, l’uno in Lombardia, l’altro in Toscana, la potenza de’ quali defendesse la Chiesa da’ Tedeschi che volessero venire in Italia, e da i Franzesi che erano nel Regno. Ma con questi pensieri si morì; e fu il primo de’ papi che apertamente mostrasse la propria ambizione, e che disegnasse, sotto colore di fare grande la Chiesa, onorare e benificare i suoi. E come da questi tempi indietro non si è mai fatta menzione di nipoti o di parenti di alcuno pontefice, così per lo avvenire ne fia piena la istoria, tanto che noi ci condurreno a’ figliuoli; né manca altro a tentare a’ pontefici se non che, come eglino hanno disegnato, infino a’ tempi nostri, di lasciargli principi, così, per lo avvenire, pensino di lasciare loro il papato ereditario. Bene è vero che, per infino a qui, i principati ordinati da loro hanno avuta poca vita, perché il più delle volte i pontefici, per vivere poco tempo, o ei non forniscono di piantare le piante loro, o, se pure le piantano, le lasciano con sì poche e deboli barbe, che al primo vento, quando è mancata quella virtù che le sostiene, si fiaccano.