Istorie fiorentine/Libro primo/Capitolo 29

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Libro primo

Capitolo 29

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Campeggiando Attila re degli Unni Aquileia, gli abitatori di quella, poi che si furono difesi molto tempo, disperati della salute loro, come meglio poterono, con le loro cose mobili, sopra molti scogli, i quali erano, nella punta del mare Adriatico disabitati, si rifuggirono. I Padovani ancora, veggendosi il fuoco propinquo, e temendo che, vinta Aquileia, Attila non venisse a trovargli, tutte le loro cose mobili di più valore portorono dentro al medesimo mare, in uno luogo detto Rivo alto; dove mandorono ancora le donne, i fanciugli e i vecchi loro e la gioventù riserborono in Padova, per difenderla. Oltre a di questi, quegli di Monselice, con gli abitatori de’ colli allo intorno, spinti da il medesimo terrore, sopra scogli del medesimo mare ne andorono. Ma presa Aquileia, e avendo Attila guasta Padova, Monselice, Vicenza e Verona, quelli di Padova, e i più potenti, si rimasero ad abitare le paludi che erano intorno a Rivo alto. Medesimamente tutti i popoli allo intorno, di quella provincia che anticamente si chiama Vinezia, cacciati dai medesimi accidenti, in quelle paludi si ridussero. Così, constretti da necessità lasciorono luoghi amenissimi e fertili, e in sterili, deformi, e privi di ogni commodità abitorono. E per essere assai popoli in un tratto ridotti insieme, in brevissimo tempo feciono quelli luoghi, non solo abitabili, ma dilettevoli; e constituite infra loro leggi e ordini, intra tante rovine di Italia, sicuri si godevano. E in breve tempo crebbero in riputazione e forze; perché, oltre ai predetti abitatori, vi rifuggirono molti delle città di Lombardia, cacciati massime dalle crudeltà di Clefi re de’ Longobardi; il che non fu di poco augumento a quella città, tanto che a’ tempi di Pipino re di Francia quando, per i prieghi del Papa, venne a cacciare i Longobardi di Italia, nelle convenzioni che seguirono intra lui e lo Imperadore de’ Greci fu che il duca di Benevento e i Viniziani non ubbidissino né all’uno né all’altro, ma, di mezzo, la loro libertà si godessero. Oltre a di questo, come la necessità gli aveva condotti ad abitare dentro alle acque, così gli forzava a pensare, non si valendo della terra, di potervi onestamente vivere, e andando con i loro navigi per tutto il mondo, la città loro di varie mercanzie riempievano; delle quali avendo bisogno gli altri uomini, conveniva che in quel luogo frequentemente concorressero. Né pensorono per molti anni ad altro dominio che a quello che facesse il travagliare delle mercanzie loro più facile; e però acquistorono assai porti in Grecia e in Sorìa, e ne’ passaggi che i Franciosi feciono in Asia, perché si servirono assai de’ loro navigi, fu consegnato loro in premio l’isola di Candia. E mentre vissono in questa forma, il nome loro in mare era terribile, e dentro, in Italia venerando di modo che di tutte le controversie che nascevano il più delle volte erano arbitri; come intervenne nelle differenze nate intra i collegati per conto di quelle terre che tra loro si avevano divise, che, rimessa la causa ne’ Viniziani, rimase a’ Visconti Bergamo e Brescia. Ma avendo loro, con il tempo, occupata Padova, Vicenza, e Trevigi, e di poi Verona, Bergamo e Brescia, e nel Reame e in Romagna molte città, cacciati dalla cupidità del dominare, vennono in tanta opinione di potenza, che, non solamente a’ principi italiani, ma ai re oltramontani erano in terrore; onde, congiurati quelli contro a di loro, in uno giorno fu tolto loro quello stato che si avevano in molti anni con infinito spendio guadagnato; e benché ne abbiano, in questi nostri ultimi tempi; riacquistato parte, non avendo riacquistata né la reputazione né le forze, a discrezione d’altri, come tutti gli altri principi italiani, vivono.