Istorie fiorentine/Libro quarto/Capitolo 22

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Libro quarto

Capitolo 22

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Messer Rinaldo degli Albizzi dall’altra parte era diffamato ch’egli faceva la guerra non per utilità del popolo fiorentino, ma sua, e come, poi che fu commissario, gli era fuggito dell’animo la cupidità del pigliare Lucca, perché gli bastava saccheggiare il contado e riempire le possessioni sue di bestiame e le case sua di preda; e come non gli bastavano le prede che da’ suoi satelliti per propria utilità si facevano, che comperava quelle de’ soldati, tale che di commissario era diventato mercatante. Queste calunnie, pervenute agli orecchi suoi, mossono lo intero e altiero animo suo più che ad uno grave uomo non si conveniva, e tanto lo perturborono che, sdegnato contro al magistrato e i cittadini, sanza aspettare o domandare licenza, se ne tornò a Firenze. E presentatosi davanti a’ Dieci, disse che sapeva bene quanta difficultà e pericolo era servire ad un popolo sciolto e ad una città divisa, perché l’uno ogni romore riempie, l’altra le cattive opere perseguita, le buone non premia e le dubie accusa; tanto che vincendo niuno ti loda, errando ognuno ti condanna, perdendo ognuno ti calunnia, perché la parte amica per invidia, la nimica per odio ti perseguita; non di meno non aveva mai per paura d’un carico vano, lasciato di non fare una opera che facesse uno utile certo alla sua città. Vero era che la disonestà delle presenti calunnie avevano vinta la pazienzia sua, e fattogli mutare natura. Per tanto pregava il magistrato che volesse per lo avvenire essere più pronto a difendere i suoi cittadini, acciò che quegli fussero ancora più pronti a operare bene per la patria; e poi che in Firenze non si usava concedere loro il trionfo, almeno si usasse dai falsi vituperii difenderli; e si ricordassero che ancora loro erano di quella città cittadini, e come ad ogni ora potria essere loro dato qualche carico, per il quale intenderebbono quanta offesa agli uomini interi le false calunnie arrechino. I Dieci, secondo il tempo, s’ingegnorono mitigarlo; e la cura di quella impresa a Neri di Gino e Alamanno Salviati demandarono. I quali, lasciato da parte il correre per il contado di Lucca, s’accostorono con il campo alla terra; e perché ancora era la stagione fredda, si missono a Capannole; dove a’ commissari pareva che si perdesse tempo; e volendosi strignere più alla terra, i soldati, per il tempo sinistro, non vi si accordavano, non ostante che i Dieci sollecitassino lo accamparsi e non accettassino scusa alcuna.