Istorie fiorentine/Libro quarto/Capitolo 27

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Libro quarto

Capitolo 27

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Queste così fatte cose e modi estraordinari di procedere erano ottimamente da Niccolò da Uzano e dagli altri capi della Parte cognosciuti, e molte volte avevano ragionato insieme de’ rimedi; e non ce gli trovavano, perché pareva loro il lasciare crescere la cosa pericoloso, e il volerla urtare difficile. E Niccolò da Uzano era il primo al quale non piacevano le vie straordinarie; onde che, vivendosi con la guerra fuora e con questi travagli dentro, Niccolò Barbadori, volendo disporre Niccolò da Uzano ad acconsentire alla rovina di Cosimo, lo andò a trovare a casa, dove tutto pensoso in uno suo studio dimorava, e lo confortò con quelle ragioni seppe addurre migliori a volere convenire con messer Rinaldo a cacciare Cosimo. Al quale Niccolò da Uzano rispose in questa sentenza: - E’ si farebbe per te, per la tua casa e per la nostra republica, che tu e gli altri che ti seguono in questa opinione avessero più tosto la barba d’ariento che d’oro, come si dice che hai tu, perché i loro consigli, procedendo da capo canuto e pieno di esperienza, sarebbero più savi e più utili a ciascheduno. E’ mi pare che coloro che pensono di cacciare Cosimo da Firenze abbino, prima che ogni cosa, a misurare le forze loro e quelle di Cosimo. Questa nostra parte voi l’avete battezzata la Parte de’ nobili, e la contraria quella della plebe: quando la verità correspondesse al nome, sarebbe in ogni accidente la vittoria dubia, e più tosto doverremmo temere noi che sperare, mossi dallo esemplo delle antiche nobilità di questa città, le quali dalla plebe sono state spente. Ma noi abbiamo molto più da temere, sendo la nostra parte smembrata e quella degli avversarii intera. La prima cosa, Neri di Gino e Nerone di Nigi, duoi de’ primi cittadini nostri, non si sono mai dichiarati in modo che si possa dire che sieno più amici nostri che loro. Sonci assai famiglie, anzi assai case, divise; perché molti, per invidia de’ frategli o de’ congiunti, disfavoriscono noi, e favoriscono loro. Io te ne voglio ricordare alcuno de’ più importanti: gli altri considererai tu per te medesimo. De’ figliuoli di messer Maso degli Albizzi, Luca, per invidia di messer Rinaldo, si è gittato dalla parte loro; in casa e Guicciardini, de’ figliuoli di messer Luigi, Piero è nimico a messer Giovanni, e favorisce gli avversarii nostri; Tommaso e Niccolò Soderini apertamente, per lo odio portono a Francesco loro zio, ci fanno contro. In modo che, se si considera bene quali sono loro e quali siamo noi, io non so perché più si merita di essere chiamata la parte nostra nobile che la loro. E se fusse perché loro sono seguitati da tutta la plebe, noi siamo per questo, in peggiore condizione, e loro in migliore; e in tanto che, se si viene alle armi o a’ partiti, noi non siamo per potere resistere. E se noi stiamo ancora nella dignità nostra, nasce dalla reputazione antica di questo stato, la quale si ha per cinquanta anni conservata; ma come e’ si venisse alla pruova, e che e’ si scoprisse la debolezza nostra, noi ce la perderemmo. E se tu dicessi che la giusta cagione che ci muove accrescerebbe a noi credito e a loro lo torrebbe, ti rispondo che questa giustizia conviene che sia intesa e creduta da altri come da noi; il che è tutto il contrario; perché la cagione che ci muove è tutta fondata in sul sospetto che non si faccia principe di questa città: se questo sospetto noi lo abbiamo, non lo hanno gli altri; anzi, che è peggio, accusono noi di quello che noi accusiamo lui. L’opere di Cosimo che ce lo fanno sospetto sono: perché gli serve de’ suoi danari ciascuno, e non solamente i privati ma il publico, e non solo i Fiorentini ma i condottieri; perché favorisce quello e quell’altro cittadino che ha bisogno de’ magistrati; perché e’ tira, con la benivolenzia che gli ha nello universale, questo e quell’altro suo amico a maggiori gradi di onori. Adunque converrebbe addurre le cagioni del cacciarlo, perché gli è piatoso, oficioso, liberale e amato da ciascuno. Dimmi un poco: quale legge è quella che proibisca o che biasimi e danni negli uomini la pietà, la liberalità, lo amore? E benché sieno modi tutti che tirino gli uomini volando al principato, non di meno e’ non sono creduti così, né noi siamo sufficienti a darli ad intendere, perché i modi nostri ci hanno tolta la fede, e la città, che naturalmente è partigiana e, per essere sempre vivuta in parte, corrotta, non può prestare gli orecchi a simili accuse. Ma poniamo che vi riuscisse il cacciarlo, che potrebbe, avendo una Signoria propizia riuscire facilmente: come potresti voi mai, intra tanti suoi amici che ci rimarrebbono e arderebbono del desiderio della tornata sua, obviare che non ci ritornasse? Questo sarebbe impossibile, perché mai, sendo tanti e avendo la benivolenzia universale, non ve ne potresti assicurare; e quanti più de’ primi suoi scoperti amici cacciasse tanti più nimici vi faresti in modo che dopo poco tempo e’ ci ritornerebbe; e ne aresti guadagnato questo, che voi lo aresti cacciato buono, e tornerebbeci cattivo; perché la natura sua sarebbe corrotta da quelli che lo revocassero, a’ quali sendo obligato non si potrebbe opporre. E se voi disegnassi di farlo morire, non mai per via de’ magistrati vi riuscirà, perché i danari suoi, gli animi vostri corruttibili, sempre lo salveranno. Ma poniamo che muoia, o cacciato non torni: io non veggo che acquisto ci facci dentro la nostra republica; perché, se la si libera da Cosimo, la si fa serva a messer Rinaldo; e io, per me, sono uno di quelli che desidero che niuno cittadino di potenza e di autorità superi l’altro; ma quando alcuno di questi duoi avesse a prevalere, io non so quale cagione mi facesse amare più messer Rinaldo che Cosimo. Né ti voglio dire altro, se non che Dio guardi questa città che alcuno suo cittadino ne diventi principe; ma quando pure i peccati nostri lo meritassero, la guardi di avere ad ubbidire a lui. Non volere dunque consigliare che si pigli uno partito che da ogni parte sia dannoso; né credere, accompagnato da pochi, potere opporti alla voglia di molti: perché tutti questi cittadini, parte per ignoranza, parte per malizia, sono a vendere questa republica apparecchiati; ed è in tanto la fortuna loro amica, ch’eglino hanno trovato il comperatore. Governati per tanto per il mio consiglio: attendi a vivere modestamente; e arai, quanto alla libertà, così a sospetto quelli della parte nostra, come quelli della avversa, e quando travaglio alcuno nasca, vivendo neutrale, sarai a ciascuno grato; e così gioverai a te, e non nocerai alla tua patria.